INTRODUZIONE (Progresso Fotografico N°1/99 del Febbraio 1999)

introd01.jpg (12946 byte)
Foto Dario Mitidieri

Reportage significa fotogiornalismo.
Essere un fotoreporter vuol dire essere giornalista ed essere fotografo.
Significa saper condurre un’inchiesta, fare cioè un lavoro di informazione e di documentazione, vuol dire conoscere e saper usare il linguaggio fotografico, cioè tutti gli elementi, gli strumenti e i modi della comunicazione attraverso la fotografia.

Ma come si ottiene la comunicazione?
Supponiamo, ad esempio, che abbiate l’esigenza di parlare con un giapponese: per prima cosa chiarirete nella vostra mente cosa dovete dirgli (un messaggio), secondariamente penserete ad un modo per dirlo, modo che consenta a voi di esprimervi e a lui di capire, ad esempio tramite l’utilizzo della lingua inglese (un codice), in terzo luogo sceglierete il mezzo con cui dirlo, mezzo che garantisca a voi l’invio e a lui l’arrivo del messaggio, ad esempio il telefono (un canale).
Per comunicare, dunque, è necessario avere qualcosa da dire (il messaggio), avere un modo per dirlo (il codice) e avere un mezzo per dirlo (il canale).
E’ cioè necessario emettere un messaggio, ma è altrettanto necessario renderne possibile la ricezione.
Nel caso del fotogiornalismo il messaggio è ciò che il fotografo vuole o deve raccontare, il codice è il linguaggio fotografico, il canale è il mondo dell’editoria.
In questa serie di articoli noi esamineremo nel dettaglio queste tre componenti fondamentali della comunicazione e della foto di reportage.

Dunque per dedicarsi professionalmente al fotogiornalismo occorre conoscere sia la fotografia che l’editoria per poi utilizzare questo codice e questo canale ed inviare un messaggio tramite le immagini.

Ma cosa vuol dire conoscere la fotografia?
Come ormai tutti sanno, etimologicamente la parola "fotografia" significa "scrittura con la luce" e come in ogni forma di scrittura quello che più conta è il contenuto ed il modo con cui esso viene esposto.
Così come nella comunicazione verbale vengono utilizzate convenzioni, regole, invenzioni, intuizioni, proprie del linguaggio parlato per esporre concetti e sensazioni, non solo in maniera comprensibile ma anche in modo piacevole ed originale, lo stesso avviene o dovrebbe avvenire in fotografia, tramite l’utilizzo del linguaggio fotografico.
Per fare un discorso mettiamo insieme delle parole seguendo una impostazione mentale ormai consolidata e spontanea (uniamo sillabe, usiamo regole grammaticali, utilizziamo la sintassi, etc. etc.), questo dovrebbe avvenire anche per le nostre foto: riusciremo a comunicare solo realizzando una serie di immagini che formano il nostro discorso, il messaggio che vogliamo inviare.
Le singole belle foto sono come le singole belle parole: non comunicano.
Se dico "libertà" oppure "amore" oppure "fantasia", pronuncio delle bellissime parole, ma non comunico niente, nè concetti, nè tantomeno sensazioni.
Cosa voglio dire: "Viva la libertà" oppure "Non deve esistere libertà" (concetti assai diversi)?
Per comunicare devo fare un discorso, devo costruire un discorso. Lo stesso dovrei fare con la fotografia: nella pratica cioè dovrei riuscire a costruire una storia con le immagini, l’insieme delle quali dovrebbe raccontare esattamente ciò che voglio dire, dovrebbe comunicare.
Dunque ciò che più serve conoscere per saper esprimere un valido contenuto in modo piacevole è il linguaggio, nella fattispecie il linguaggio fotografico.
Come già detto il linguaggio fotografico è l’insieme di strumenti, elementi, modi e mezzi di comunicazione tramite la fotografia.
Questo vuol dire che conoscere il linguaggio fotografico non significa soltanto essere al corrente di informazioni tecnico/pratiche su materiali ed attrezzature, ma significa, ad esempio, sapere quali sono tutti gli elementi caratterizzanti un’immagine e, soprattutto, saper scegliere ed utilizzare questi strumenti per il raggiungimento di uno scopo, quello della comunicazione.
Un professionista è una persona in grado di fornire un risultato. Professionalità significa progettualità, cioè capacità di scelta preventiva di modi e mezzi adatti al raggiungimento di un risultato.
Per un fotogiornalista la tecnica è solo una componente della professione, una componente fondamentale, ma sicuramente secondaria: è solo uno degli elementi del linguaggio fotografico.
Nessuno chiede e chiederà mai ad Umberto Eco o ad Indro Montanelli se scrivono i loro libri con una vecchia macchina da scrivere o con un moderno computer. Così dovrebbe accadere per i fotografi: le immagini non vengono fatte dalle macchine, ma da chi vi sta dietro. L’importante per un fotogiornalista è tendere ad un risultato: quello di raccontare per immagini, di comunicare, il che vuol dire progettare, realizzare e magari vendere un servizio fotografico sì valido tecnicamente, ma anche giornalisticamente valido, commercialmente valido e stilisticamente valido.

E cosa vuol dire invece conoscere l’editoria?
Significa sapere cosa vogliono i giornali ed i loro lettori; significa sapere cosa chiedono le riviste alla fotografia.
In nessun altro dei suoi settori la fotografia è così strettamente correlata con il mondo dell’editoria come nel reportage.
In generale possiamo dire che senza un documento visivo un evento non può definirsi tale.
E possiamo anche dire che la fotografia non può competere con i mezzi e le tecnologie a disposizione della televisione, la quale riesce a coprire tutti gli eventi con grande velocità e precisione, tanto che spesso arriva perfino a crearli.
Quindi la fotografia per colpa della (o grazie alla) televisione deve essere approfondimento.
Tutte le fotografie degne di nota pubblicate oggi possono essere considerate un approfondimento di quanto già passato in televisione: un approfondimento visivo o di contenuto.
La televisione è la grande nemica del fotogiornalismo, ma, paradossalmente e proprio per questo, è anche il suo punto di riferimento.
Dalle smorfie dei politici agli ampi servizi su grandi e piccoli eventi, dai nudi di attrici e showgirl alle "paparazzate", tutto diventa un modo per ampliare una notizia, per scavare nell’evento, per approfondire, appunto, ciò che è già stato stra-visto in televisione.
Questo è dimostrato anche dai lavori di fotografi contemporanei (come Robert Frank, Tony Ray Jones, Martin Parr) che hanno preferito abbandonare la documentazione di fatti di cronaca per passare all’analisi di fenomeni di costume, all’approfondimento, appunto, di situazioni e modi di vita quotidiani, quasi banali, ma emblematici di una certa società in un determinato momento storico.

Alla luce di tutto quanto detto e visto finora c’è da dire che per essere un fotografo occorre prima di tutto avere voglia di conoscere e di sapere. Un fotogiornalista deve leggere e informarsi (per essere un buon giornalista), deve vedere e guardare (per essere un buon fotografo), deve saper parlare (per essere un buon venditore).
Questi articoli quindi partiranno con alcune considerazioni a proposito del linguaggio fotografico.
Successivamente verranno impostati in modo da affrontare nel dettaglio tre aspetti fondamentali di questa professione: la preparazione di un servizio fotografico (dunque come essere e tenersi informati, come reperire un buon soggetto sui mass-media, l’analisi dei giornali e delle riviste, l’analisi di servizi pubblicati, etc. etc.), la realizzazione di un servizio (dunque la costruzione di una storia per immagini, il comportamento del fotografo, i diversi tipi di reportage, il diritto all’immagine delle persone fotografate, il ritratto, etc. etc.) e infine la commercializzazione di un servizio fotografico (dunque la scelta delle foto, la presentazione del servizio, le persone a cui rivolgersi per proporlo, i prezzi di foto e servizi, gli aspetti fiscali, etc. etc.).
Tutto ciò verrà affiancato da esempi visivi e da pareri di addetti ai lavori o operatori del settore: per cui vedrete immagini tratte da libri o riviste e leggerete opinioni attinenti all’argomento trattato.
Inoltre abbiamo l’intenzione di farvi partecipare direttamente a questa iniziativa: periodicamente cercheremo di proporvi dei temi o delle piccole e divertenti esercitazioni che voi dovrete realizzare e che noi cercheremo di pubblicare commentandole e criticandole, sempre in maniera costruttiva, al fine di farvi crescere e migliorare.
Farvi lavorare a casa significa calarvi nella situazione tipica di chi deve dedicarsi professionalmente a questa attività: vi costringerà cioè a cercare argomenti validi, a trattarli fotograficamente, ad inviarli in tempi brevi ad un giornale (questo) in piena solitudine ed in assoluta autonomia.
Scopo di questi articoli, sarebbe quello di permettere ad ogni lettore interessato di muoversi e promuoversi professionalmente in quel campo del fotogiornalismo che più gli interessa.
Qualche anno fa è stata allestita a Milano una mostra fotografica il cui titolo, riferito agli autori, era "Testimoni e visionari". Questo deve essere il fotogiornalista: un testimone visionario. Si può essere testimoni di tante cose (di un paesaggio, di un fatto di cronaca, di un volto, di un elemento della natura, di un modo di vivere e di tanto altro ancora) e si può essere visionari in tanti modi diversi. L’importante è saper raccontare per immagini,
raccontare un argomento interessante, raccontarlo in maniera comprensibile e piacevole, raccontarlo in modo personale.


indice home prosegui