RIVOLTA
CONTRO IL MONDIALISMO MODERNO
di Carlo Terracciano
(Parte D)
LA TRADIZIONE E’
RIVOLUZIONE, etimologica e reale.
Essa
“re-volve” e ritorna alle Origini, ma non prima di aver completato il suo
Ciclo, la sua rotazione, la sua astronomica “ri-voluzione” appunto!
La
vera Tradizione non ha niente da conservare, ma tutto da distruggere, puntando
al compimento “rivoluzionario” del ciclo, per arrivare ad un
Nuovo inizio, alla nuova “Età dell’Oro”.
La Conservazione è
il contrario della Tradizione/Rivoluzione, se è intesa non nel senso dei
Valori ma in quello del mantenimento, della difesa delle strutture del passato,
delle forme oramai superate, ridotte a vacue parvenze, a vuote formule e forme,
a scheletri anneriti dal tempo che celano il nulla.
E questo vale per le forme
politiche e sociali come per le religioni e le culture, oramai residuali e
inutili se non al perpetuare vani simulacri e i loro custodi.
Ripetiamolo: nel mondo
moderno non c’è nulla da conservare, tutto da distruggere.
A cominciare da quanto è
rimasto fossilizzato in istituzioni di un passato appena più distante, che non
era se non il frutto del modernismo del suo tempo: si pensi al nazionalismo
frutto della “Rivoluzione” Francese e degli “Immortali Principi” dell’89,
termini presi a prestito dal pensiero tradizionale e rovesciato nel loro
opposto.
Se la conservazione è il
contrario della Tradizione che è rivoluzionaria, la Sovversione, come
tutti i fenomeni di ribellismo del mondo moderno, è una rivoluzione di segno
contrario, una Contro-rivoluzione, sempre nel senso tradizionale del termine.
Essa infatti, nel momento stesso in cui pretende di
distruggere le forme del presente (e questo è il suo aspetto più positivo) lo
fa nel nome e nel segno della “modernità”, come categoria mentale e
spirituale.
Il chè si traduce non in
un’accelerazione verso la fine della decadenza presente e quindi nel
raggiungimento del punto catarchico che segna il passaggio rivoluzionario
ciclico, bensì nel perpetuarsi sotto nuove forme della decadenza stessa, che
tende naturalmente a cristallizzarsi in ennesima conservazione, all’avvento di
un’ulteriore ondata sovvertitrice. La sovversione tende a ribaltare le forme
del passate per conservare l’essenza del presente, cioè il modernismo
antitradizionale, cercando così di arrestare il vero processo rivoluzionario
che chiuda un ciclo e ne apra uno nuovo. E’ insomma un’altra forma della
conservazione.
Un serpente che continua a
mordersi la coda.
Conservazione e Sovversione
sono quindi funzionali l’un l’altra nell’attuale fase del ciclo; anche se,
da un più elevato punto di vista metastorico, il compimento rivoluzionario dell’ultima
fase ciclica è scritto nel Destino: Come sempre “fata volentes ducunt,
nolentes trahunt”.
Le conseguenze dei due
atteggiamenti mentali sono comunque diverse, per chi non vuol essere semplice
spettatore passivo degli eventi, ma ha nella sua stessa natura il marchio di un’impersonalità
attiva, la fierezza del
guerriero della Tradizione che oggi non può che manifestarsi nel
combattente politico rivoluzionario.
Valori a parte, ripetiamolo
per la terza volta: nel mondo moderno non c’è nulla da salvare e tutto da
distruggere.
Nel mondo moderno, alla
fine di un ciclo, ogni distruzione del passato e del presente è propedeutica al
compiersi del ciclo storico medesimo.
Sotto questo punto di vista
è consequenziale che un vero rivoluzionario veda in ogni giovane contestatore
dell’attuale assetto mondiale e nazionale un alleato tattico
nell’opera di distruzione delle istituzioni mondialiste, nell’attacco
contro i governanti collaborazionisti dell’occupante americano, di “destra”
o di “sinistra” poco importa, nella contestazione di ogni loro incontro,
nello smascheramento dei loro inganni sulla pelle dei popoli, di TUTTI i popoli.
Motivazioni e fini possono
essere divergenti, ma il Nemico è unico e supera ogni barriera ideologica o
politica; solo chi ragiona così è un vero rivoluzionario, a prescindere dalla
rivoluzione che ha in mente.
Senza infingimenti, senza
commistioni, senza salti di campo per ingraziarsi chi considererà sempre un
estraneo anche il neofita convertito.
E’ la teorizzazione dei
DUE FRONTI E MOLTE TRINCEE.
Che ognuno combatta il
Mondialismo, la globalizzazione o anche, se ha una visione limitata dei problemi
globali, soltanto alcuni aspetti di essa, dal proprio punto di vista ideologico,
ideale o esistenziale: dalla propria trincea. Ma avendo almeno ben chiara l’identificazione
del Nemico stesso, che è il nemico globale.
Sarà certo chi ha più
chiari i termini politici e metapolitici dello scontro planetario in atto,
quello che avrà anche una più vasta panoramica del campo di battaglia e saprà
condurre una lotta più radicale e determinata.
Ed il primo passo consiste nel dare un nome ed un volto ad un
fenomeno che non è affatto anonimo e figlio di NN come vorrebbero farci credere
i soliti teorizzatori del disimpegno politico, della ritirata nel “privato”,
tra imput metapolitici e più prosaiche vite da piccoli borghesi.
IL
NOME DELLA MONDIALIZZAZIONE: AMERIKA.
Il Mondialismo moderno è
la fase estrema dell’imperialismo capitalista americanocentrico nella sua
manifestazione più degenerativa, antitradizionale, conservatrice e sovversiva
al tempo stesso.
Gli Imperi tradizionali d’Europa,
nonostante avessero mitridatizzato il veleno di una religione aliena allo
spirito indoeuropeo in forme politico-sociali d’impostazione tradizionale, si
trasformarono alla fine del loro ciclo vitale in imperialismi e nazionalismi
coloniali, invadendo ed infettando il mondo.
Ancora una volta la legge
del contrappasso ha voluto che l’Europa sia stata vinta e sottomessa da un
frutto venefico del suo seno: l’America ha affrontato e vinto l’Europa
(tutta l’Europa, anche quella degli alleati di ieri), l’ha privata del suo
potere e delle sue colonie, sostituendovi un neo-imperialismo politico,
economico, mediatico.
In termini geopolitici il
“Mare” ha vinto la “Terra”, e continua ad avanzare al suo interno.
L’America infatti si è
oggi imposta anche sulla rivale Russia e i confini della NATO si spostano sempre
più verso il cuore d’Eurasia, l’Heartland logistico della ex potenza
antagonista.
Il Mondialismo e la sua manifestazione economica e
mentale, la globalizzazione, non potrebbero esistere senza il dominio di una ed
una sola superpotenza che ha imposto al mondo il suo predominio militare sulla
terra, sopra e sotto i mari, nei cieli e nello spazio esterno. Non esisterebbero
senza una moneta unica valida ovunque per i pagamenti internazionali, senza una
lingua comune di comunicazione, dalla diplomazia ai computer, senza una
pseudocultura accettata o subita da tutti, senza la tv, il cinema, la stampa,
internet ecc…tutto facente capo alle lobbies ed alle multinazionali con
base negli Stati Uniti d’America; fortezza continentale irraggiungibile,
braccio armato mondiale del SIM, il super Stato Imperialista delle
Multinazionali.
“Gli Stati Uniti sono
grandi difensori della globalizzazione e dove essa è stata messa in pratica,
come nelle relazioni col Messico, ha portato un gran bene. [agli Stati Uniti-
nostra nota]…Penso che gli Stati Uniti siano stati finora i primi a
baneficiare della globalizzazione e che si trovino, dal punto di vista della
concorrenza, nella posizione più forte rispetto a chiunque altro”; parola di
Henry Kissinger, “l’ebreo volante” delle Amministrazioni repubblicane,
premio Nobel per la pace (dopo aver favorito la guerra Iran-Iraq con oltre un
milione di morti), autore del recente libro “L’America ha bisogno di una
politica estera?” e sponsor dell’attuale ministro degli esteri italiano nel
governo Berlusconi.
Gli fa eco il confratello,George
Soros, ebreo di origine ungherese, speculatore internazionale
capace di affondare in una sola operazione borsistica l’economia di interi
paesi (nel’92 costò all’Italia una perdita di quaratamila miliardi di
lire!) ed attuale co-presidente del World Economic Forum di Salisburgo (“fratello
minore estivo di quello di Davos”):
“Io penso che la
globalizzazione porti grandi benefici ad un gran numero di uomini e donne…La
liberalizzazione dei mercati e del movimento dei capitali produce soprattutto
benefici privati e ai privati. Ma non si preoccupa né può farlo di per sé,
dei benefici collettivi” (da: “La globalizzazione è un bene, i governi
imparino a usarla”-“Repubblica”, 3.07.2001).Viva la sincerità!
Certo per il sig. Soros e
affini la globalizzazione è stata una vera “manna dal cielo”, tipo quella
elargita da Javhé ai suoi correligionari. Ma ora ha deciso di lasciare la
finanza e dedicarsi ai “problemi della democrazia nell’Europa dell’Est”.
Tremate slavi!
Del resto è noto che uno degli strumenti che l’America ha
per imporre la sua politica economica al mondo, oltre il dollaro, è quello
della cosiddetta GLOBALIZZAZIONE ASIMMETRICA, che mentre impone alle economie
più deboli, comprese quelle dei partners ricchi del Nord del mondo, il
liberismo quasi assoluto negli scambi internazionali, applica al contrario
altissime tariffe doganali alle merci straniere più competitive sul mercato
interno statunitense, a difesa degli interessi lobbistici dei produttori
americani. Una politica economica che applicata ai prodotti del Terzo e Quarto
Mondo risulta devastante per le economie più deboli, costrette poi ad
indebitarsi per importare prodotti americani sui quali gli USA pretendono di non
pagar dazio.
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