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Noctua Edizioni

RIVOLTA CONTRO IL MONDIALISMO MODERNO

di Carlo Terracciano (Parte E)

 

 

COME L’AMERICA PREPARA LA III GUERRA MONDIALE

 

Ma c’è anche un nuovo pericolo, accentuatosi con l’avvento dell’attuale Amministrazione repubblicana di Bush J. : il rilancio della corsa agli armamenti per creare un gigantesco apparato militar-industriale, inattaccabile da qualsiasi eventuale nemico (scudo stellare) e capace di colpire ovunque in tempi brevissimi (bombardiere spaziale, utilizzo militare del sistema satellitare civile attuale).

Questo soprattutto per favorire le lobbies belliche ed il Pentagono, che hanno portato all’elezione di un nuovo Bush con il vecchio staff repubblicano del padre o anche precedente.

A prescindere dai rischi evidenti di una tale politica per la pace e la stabilità internazionali, essa rischia di far collassare un’economia già oggi in piena crisi, con la creazione di un arsenale costosissimo e ipertrofico, per di più completamente inutile in un sistema internazionale che vede gli USA già al giorno d’oggi quale unica superpotenza mondiale.

E’ questa la tesi di Chalmers Johnson ne “Gli ultimi giorni dell’impero americano”.

In questo libro si prospetta infatti una fine degli Stati Uniti molto simile al collasso implosivo dell’ex URSS nel momento in cui fu palese che il suo sforzo militare non era stato compatibile con la tenuta delle strutture economiche interne e si era per di più dimostrato inadatto alla geostrategia contemporanea (sconfitta in Afghanistan, Polonia, Medio Oriente ecc…)

Il crollo dell’impero americano non sarebbe certo una perdita per il resto del mondo, ma al contrario l’inizio della rinascita di popoli e nazioni, se non fosse per il fatto che la globalizzazione americanocentrica  ha vincolato tutti all’economia e alla politica statunitense. Tanto che la crisi generale del capitalismo USA rappresenterebbe contemporaneamente LA Crisi Mondiale per antonomasia, di fronte alla quale quella del ’29 sarebbe stata una tempesta in un bicchier d’acqua.

Inoltre è sicuro che l’America, di fronte alla prospettiva del disastro economico interno (che, in quel tipo di società, rappresenterebbe semplicemente la fine degli Stati Uniti come entità politica unitaria) sarebbero pronti a scatenare un conflitto mondiale sul quale scaricare le tensioni interne e nel quale gettare gli armamenti la cui costruzione avrebbe determinato la crisi stessa.

Il libro di Johnson aveva anticipato la crisi con la Cina proprio nell’area del Mare Cinese Meridionale e per la questione cruciale di Taiwan.

Ancora una volta l’imperialismo militarista ed interventista è la fase suprema e la valvola di scarico del capitalismo nella sua fase estrema. Con la variante che stavolta è l’Alta Finanza a condurre il gioco ed il teatro è più che mai l’intero pianeta, il quale rischia di essere trascinato nell’olocausto nucleare totale, seguendo il crollo dell’Impero Americano.

Se il Mondialismo è dunque frutto degenerato del nazionalismo, dell’imperialismo coloniale rovesciatosi nel suo apparente opposto, ma in realtà tutto interno alla logica mercantilistica anti-tradizionale che presiedette alla nascita ed affermazione degli imperi coloniali europei, la soluzione al problema non può che trovarsi alla radice di partenza: l’Europa.

 

 

EUROPA, IMPERO E GEOPOLI TICA

 

Cioè in un IMPERO EUROPEO autocratico, autarchico, armato.

Una concezione imperiale, tradizionale, rivoluzionaria e geopolitica come risposta all’imperialismo del mondo unipolare, “modernista”, conservatore dell’assetto globale attuale.

Riecheggiano le parole di Evola:

“Dopo, gli imperi saranno soppiantati dagli “imperialismi” e non si saprà più nulla dello Stato se non come di una organizzazione temporale particolare, nazionale e poi sociale e plebea”.

Un’Europa Unita che ritrovi quindi proprio nelle sue radici più profonde, nelle sue origini polari, nella sua Tradizione la forza per sollevare la bandiera della liberazione continentale e planetaria contro il Mondialismo. E che abbia nella GEOPOLITICA, cioè nella coscienza storica e geografica delle sue élites e dei suoi mille popoli, l’arma con cui combattere le utopie del mondo moderno e le minacce dei potentati mondiali.

Una simile Europa certamente non ha niente a che spartire con l’attuale UE, propaggine atlantica della talassocrazia americana; la geopolitica, la storia, l’ideologia dei nostri attuali occupanti sono necessariamente conflittuali ed antagonisti con quelli dell’Europa.

In termini geografici, storici e culturali poi l’unità del continente Europa si compenetra con la sua parte orientale, in specie con la Russia, tutta la Federazione Russa attuale, che ne rappresenta il proseguimento nella prospettiva geopolitica, la garanzia in termini militari, la complementarietà nell’aspetto economico e la potenzialità per lo  SPAZIO VITALE.

L’Europa da Rejkiavik a Vladivostok, dall’Atlantico al Pacifico, da Thule in Groenlandia a Bering, nell’estrema punta orientale della Siberia, con eventuali basi strategiche avanzate oltre lo stretto non è una

Utopia, è semplicemente una necessità per l’esistenza stessa.

Che poi ci siano ancora popoli europei capaci di una reazione vitale, è tutto da verificare. Certo non a occidente, ma forse è da oriente e dalla Russia stessa che può venire qualche speranza. E d’altra parte la Russia non può fare a meno dell’Europa, pena seguirne la stessa sorte.

Se, come dicemmo il Mondialismo oggi s’identifica totalmente con l’imperialismo americano, Mondialismo= Americanismo, la risposta POSSIBILE non può che essere l’Europa Unita e indipendente, sovrana e autarchica nelle necessità primarie.

L’One World che ci si prospetta come il migliore dei mondi possibili ha un centro: l’ombelico del mondo unificato è negli USA, in particolare quello finanziario e politico tra New York ed Washington, quello “culturale” tra Los Angeles e San Francisco, mentre il retroterra economico industriale occupa la fascia centrale da Chicago al Texas.

Se la minaccia distruttiva della superpotenza USA, quale strumento del piano mondialista di dominio, è globale, altrettanto globale dovrà essere la lotta dei popoli liberi, riuniti in aree geopolitiche e culturali affini.

 

 

LA NUOVA TRICONTINENTALE

 

L’Europa per essere libera dovrà quindi porsi all’avanguardia delle lotte di liberazione del Sud del mondo: dell’America Latina oggi ridotta a “cortile di casa” dell’imperialismo yankee del nord, dell’Africa “nera” sub-sahariana  come dell’Asia “gialla” con in testa la Cina, degli aborigeni dell’Oceania, del sub-continente indiano, del mondo iranico nostro naturale alleato come di quello turcofono confinante in Europa ed Asia.

Ed ancora sarà nostra la lotta del popolo Palestinese, arabo e islamico contro la presenza sionista in Palestina e nel Medio Oriente.

Israele è il baluardo armato dell’imperialismo talassocratico USA nel cuore della massa continentale eurasiatico-africana, alla confluenza degli stretti dei mari interni e sulle rotte dell’oro nero dell’energia mondiale.

La sua stessa presenza rappresenterà sempre un pericolo mortale per l’unità europea, come per quella araba, iranica o africana.

L’eliminazione del bastione sionista nel Mediterraneo è e sarà una priorità strategica per ogni governo e stato che voglia combattere contro il Mondialismo, per le unità continentali geopolitiche.

Nel mondo globale non si possono ignorare situazione geostrategiche anche agli antipodi del pianeta.

Ma le piccole nazioni sette-ottocentesche non possono certo competere con grandi potenze a respiro continentale.

Mario Vargas Llosa, peraltro un esegeta della globalizzazione, ha recentemente affermato:

“La realtà del nostro tempo è quella di un mondo nel quale le antiche frontiere nazionali si sono gradualmente assottigliate fino a sparire in certi settori – l’economia, la scienza, l’informazione, la cultura, anche se non nel politico e in altre sfere -, stabilendo sempre di più, tra i paesi dei cinque continenti, una interdipendenza che si scontra frontalmente con la vecchia idea dello Stato-nazione e le sue prerogative tradizionali”. (“Quello che resterà del nuovo Sessantotto” – Repubblica, 7/8/2001)

Il politicante scrittore peruviano non manca di notare che il sistema democratico (cioè gli USA) hanno sconfitto i grandi regimi totalitari del XX secolo, Fascismo e Comunismo, indicati quindi come gli unici seri tentativi antimondialisti, rispetto alle velleitarie utopie del “popolo di Seattle”, destinato ad essere riassorbito nel Sistema come i contestatori del ’68.

Un Sistema del quale si riconoscono già componente interna seppur nel dissenso dei mezzi.

Potremmo solo aggiungere che gli stessi “fascismi” e “comunismi” dovettero in parte la loro sconfitta proprio al fatto di non aver compreso a piena la globalità della lotta, le intenzioni della potenza americana nel mondo; finendo per scontrarsi tra loro, permettendo all’imperialismo USA di batterli, in tempi separati, e con diversi strumenti, ma sempre con l’unico obiettivo storico di dominare la Terra.

Che le unità geopolitiche e culturali nel futuro della politica mondiale non siano una mera ipotesi di studio, vuoto accademismo politologico o peggio utopia incapacitante, sono gli stessi teorici della supremazia americana a dircelo.

Il trilateralista Samuel P. Huntington è il portavoce di varie associazioni americane che tracciano le linee strategiche per il XXI secolo a stelle e striscie.

Nell’oramai celeberrimo “Lo scontro delle Civiltà e il Nuovo Ordine Mondiale”, l’autore disegna il quadro di un mondo futuro diviso per grandi aree geografico-culturali, nell’ambito delle quali dovrebbe valere il principio di “non ingerenza” da parte di una potenza esterna.

Scrive Huntington:

“Sotto la spinta della modernizzazione, la politica planetaria si sta ristrutturando secondo linee culturali.

I popoli e i paesi con culture simili si avvicinano. Le alleanze determinate da motivi ideologici o dai rapporti tra le superpotenze lasciano il campo ad alleanze definite dalle culture e dalle civiltà.

I confini politici vengono ridisegnati affinchè coincidano con quelli culturali…Le comunità culturali stanno sostituendo i blocchi della Guerra Fredda e le linee di faglia tra civiltà stanno diventando le linee dei conflitti nella politica globale”.

Certamente l’Huntington scrive da americano ed il suo concetto di civiltà poco ha a che vedere con quello della tradizione europea o sino-nipponica o arabo-islamica ecc..

E infatti nella logica geopolitica atlantica dei suoi sponsor l’Europa sarebbe unita agli USA e separata dal suo naturale proseguimento orientale nel mondo slavo-ortodosso.

Del resto la scuola geopolitica di un Haushofer aveva già previsto un mondo di unità continentali (nel senso che la geopolitica dà al termine continente, non necessariamente coincidente con la suddivisione scolastica cui siamo stati indottrinati a scuola); ma Huntington, ovviamente, non ne fa parola.  

 

 

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