ArtePhoros pagine azzurre
Mariliva Zamboni, Castiglione delle Stiviere (MN) - e mail: mariliva@lycos.it
raccolta poetica in progress
Il rumore del mare
è il segreto di questo vento
che spazza la pianura
riempiendo di magici presagi
il mio vecchio cuore
con l'odore salato di una nuova giovinezza.
culla la pelle orfana
in solitario agguato
pronta ad azzannare
prede sfuggenti.
Genova per noi che siamo stati a casa
Sentimenti densi e appiccicosi
come il sangue sull'asfalto e sui muri,
come il sudore che scorre a rivoli
mischiato alle lacrime.
Con un macigno che pesa sullo stomaco,
chili di paura, di sgomento, d'incredulità.
Vorremmo che fosse
solo un incubo finito al risveglio.
Ma oggi è stato come ieri
e forse peggio
con lo scorrere delle ore ipocrite, bugiarde
in questo tempo nelle mani
di un potere malvagio e crudele.
Ci riscopriamo fratelli dopo il lungo sonno
nel quale eravamo caduti.
Le lunghe grida dei nostri figli
ci hanno destato
mentre stesi con la testa fracassata
su un marciapiede stavano a morire.
I pensieri s'inseguono,
rotolano, si allungano
distendendosi in domande insidiose
alla ricerca di risposte piene e coerenti
come uno stomaco sazio.
Ho sempre fame.
zavorrano i voli
dei desideri ardenti.
Là dove la terra brucia
e nel blu annega
cercherò
la quiete dei sensi.
Comprami
uno scampolo di follia
con
cui possa vestire
il
mio sogno d’essere amata.
Regalami
un sospetto,
il
dubbio che tu ti possa
accorgere
che io esisto.
Lascia
sfuggire lo sguardo
in
quell’angolo di cielo
dove
ho depositato i miei occhi.
Permettimi
di credere
che
c’è uguale sete di tenerezza
in
te che sei maschio come
nel
mio cuore arso di donna.
Dammi
un appiglio su cui
possa
buttare il mio cappotto
usato
e frusto, restando nuda
davanti
ad una certezza.
Trovar
di voci l’orchestra
che
muove dentro le ferite
come
bisturi lucenti
via
alle trombe nella piaga
della
lieta leggerezza.
Scavatemi
ancora
battendo
sui tasti
finché
si possa trovar la fonte
che
fa di me quel che non oso.
Picchiamo
insieme sopra i tamburi
Schiudendo
ancora nuovi altri mondi
alla
ricerca di foreste
fatte
di alberi alla rovescia.
Per
stare tutti capovolti
gli
arpeggi trovino smarriti
quelli
che prima erano certi.
Trovar
di voci
nei
flauti muti,
silenzio
in sala.
Silenzio dentro e fuori di me.
Sai,
a volte viaggio
d’incanti
e di sogni.
Persa
in complesse geografie umane
non
distinguo più il bello
dal
necessario.
Vago
dentro intestini
cogliendo
vibrazioni che
muovono
da me all’Altro
alimentandoci
mute.
Forse
è solo un presagio,
un
sospetto intrigante,
eppur
vivo di questo.
Non
c’è deserto più freddo
che
un ventre vuoto
senza
emozioni
senza
passioni.
Mi
perdo lì
sconfitta
e spenta
chiedendomi
pazza il prezzo
di
un sospiro o di un urlo
che
sia valsa la pena
d’intraprendere il viaggio.
Potenti
carezze
che
infiammano il viso
son
di parole afone
piene
le nostre gole.
Là
infine ci ritroveremo
confusi
e sfiniti
di
ricerche di altitudini.
Delusi,
svuotati e pallidi
di
mille interrogativi
ancora
piene le nostre tasche.
Chiedendoci
sempre
le
stesse domande,
nostalgici
impotenti
delle
vecchie illusioni.
Cammina
e canta in coro
la
folla dei miti, a continuare un gioco
che
ho ormai dimenticato.
Ti
ho vestito delle sete più rare
colorando
i tuoi occhi con le tinte dell’alba.
Se
di te mi è fanciulla
la
pelle già vecchia, solo il tuo vacillare
ha
colpito il mio sguardo.
E
l’ingenuo
tuo incedere ha potuto
spezzare
quella
linea di ghiaccio
che
impediva ogni abbraccio.
Fai
del buio il mio bozzolo d’oro
dove
covo nidiate di feroci
parole
che
mi svegliano e scuotono
le
tempeste sopite.
E
sei musa malgrado
troppi
vuoti si estendano
nelle
onde di splendido
che
di me fan tua schiava.
E
sei pura materia
Inutile
cercare in te raffinazioni
Hai
il colore della carne
Non
offri alcuna testimonianza
Di
memoria
Compatto
Impossibile
da plasmare
Avvicinarsi
è percepire
Energia
Nel
suo stato più primordiale
Calore
Nessun
spigolo nella tua ombra
Presente
e assoluto
Come
un totem di vita
Affascinante
come un fossile
Senza
età
Semplice
e inafferrabile
Isola
docile ma impenetrabile
Doni
pacata sofferenza
Vivide fiamme scuotono
crepitare di legni duri e
foglie che si increspano
avvinghiate a se stesse
sparendo nella morte ardente
Giaccio ottenebrata dalla rabbia
lama che penetra
di ferro il sapore in bocca
espande il dolore
il sangue scorre, incendia, brucia
di fiamme
riempie gli occhi
e odio si sprigiona.
Svuotami e feconda
di giorni impavidi e caldi,
di urla la pianura,
colma i silenzi piatti.
Crudeltà e cecità, affondano
il coltello furibondo con un impeto
senza tregua, senza pena.
Innumerevoli volte e poi ancora
colpire e colpirmi, fino
all'ultimo spasimo.
Respiro piatto di cranio vuoto
senza ricordi né perdoni.
Chiusi i rimpianti, le titubanze.
Coprirsi gli occhi potendo urlare
strozzati versi
come l'agnello sacrificale.
Portarsi in dono a pagane are.
Soffiano i venti
tremano i colli,
la terra spezzata, il magma fuori.
Come un insulto, un fetore di zolfo
specchiarsi stravolti, negli occhi del mondo.
Fichi d'india e uva, arance e datteri
il paniere colmo.
I frutti d'oriente profumano d'inebriante
solo chi ne coglie il vezzo.
Ma la fronte imperlata e lo sguardo cieco
son nel viso di chi
ha smarrito ogni gioia di gusto
di colore, di esotiche albe.
Ogni giorno riserva panieri d'oriente.
Ogni notte carezza d'aromi nel sonno.
Levitare nella vita
dondolando nei sogni.
Che le dolci fragranze siano il cibo
infinito degli dei,
dei curiosi, dei malati di luce
e dei folli.
Nella solitudine
delle mie stagioni
attendo voci
che come piume
carezzino
le mie speranze
d’alba.
Il ticchettio dell’orologio
spezza il silenzio
della bolla di sapone, fuori
le voci del mondo.
Nei gesti un’umida tristezza
come un giardino d’autunno
con le ultime rose dal capo chino
odore di conifere e fermenti.
Chiusa la rabbia e la delusione
si avanza nel viaggio
ingombro
di pavidi giorni.
Ascolta fanciulla
L’incedere lieve
del battito.
Mille desideri
avvolgono,
la soffice danza
di questo ritmo.
Che si alterna
come il giorno e la notte
la vita e la morte.
Non più labbra rosate
e pelle morbida
di cocci di vetro
é fatto il tappeto
su cui posi il piede
già piagato.
Ma ascolta fanciulla
l’incedere lieve,
E potrai guardare lontano.
La luce
che verrà.
Non più battito ma canto
sarà il tempo danzante
che dal tuo cuore
muoverà.