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Origine
del Santuario e fasi storiche della costruzione
Posto sulle principali
vie di comunicazione tra Genova e la Pianura Padana, Mignanego
ha avuto un ruolo importante in pressochè tutte le guerre
che hanno visto coinvolta la Liguria nell'età moderna,
da quella del 1625 fino all'insurrezione dell'aprile 1945.
Tra gli episodi di maggior rilievo si deve ricordare, in primo
luogo, la vittoria del 10 maggio 1625 sulle armate del Duca di
Savoia Carlo Emanuele I che ha portato all'erezione, in segno
di rendimento di grazie, dell'attuale Santuario di Nostra Signora
della Vittoria; la lunga serie di combattimenti avvenuti nella
zona dal 1746 al 1748, durante la guerra di Successione Austriaca;
la vittoria del generale austriaco Hohenzollern sui francesi nel
1800; l'epopea della Divisione d'assalto Garibaldi "Mingo"
nel 1944-1945.
Volendo dar vita ad un gruppo storico che rievochi, a beneficio
di una cultura di pace, questo passato di guerre, il Comune di
Mignanego ha scelto, come periodo storico, quello della Guerra
di Successione Austriaca, cogliendo l'occasione offerta dalla
ricorrenza del 250° anniversario della
battaglia del 13 giugno 1748.
Tra i diversi reparti dell'esercito genovese che durante il lungo
conflitto hanno operato nella zona la scelta è caduta sul
reggimento del colonnello Carlo Francesco Bembo, un corpo "italiano"
formato da soldati provenienti da tutte le regioni d'Italia, che
si trovarono a combattere insieme al servizio della Repubblica
di Genova."
Il Santuario di N. S. della Vittoria, adagiato tra i Monti Fuea
e Maglietta, sorge su un colle a 600 m./s.l.m. in splendida posizione
dominante la Valpolcevera in prossimità del passo detto
del Pertuso o del Malpertuso, in seguito rinominato passo della
Vittoria.
Proprio in corrispondenza del valico succitato passava una delle
antichissime strade che mettevano in collegamento Genova con la
Lombardia, il Piemonte e la Francia. Essa era certamente una delle
vie di comunicazione più utilizzate insieme alla via Postumia
che da Pontedecimo saliva alla Bocchetta. Non era infatti ancora
stata aperta quella detta dello Scrivia, che oltrepassava l'Appennino
in corrispondenza del valico dei Giovi.
Tra le notizie storiche di rilievo dobbiamo almeno ricordare che
questa via, che da Genova saliva da S. Cipriano e Serra e dopo
il Pertuso scendeva a Vallecalda e Savignone per Tortona, era
stata utilizzata dal Re dei Longobardi Liutprando, per trasportare,
tra il 722 ed il 724, le ceneri di Sant'Agostino dal porto di
Genova, in cui erano arrivate dall'Africa via Sardegna, a Pavia,
dove tuttora risiedono in San Pietro in Ciel d'Oro; poi progressivamente
utilizzata dai pellegrini che si spostavano dalla via costiera
alla via Francigena e viceversa; ed in seguito via privilegiata
per l'accesso ai feudi imperiali gestiti dalla nobile famiglia
dei Fieschi, da cui aveva preso il nome di Strada dei Conti.
Sorpassando per importanza
la stessa via Postumia, dal XIII secolo all'Ottocento il passo
del Pertuso divenne la principale via di comunicazione tra Genova
e la Pianura Padana. Percorsa da commercianti, pellegrini ed eserciti,
essa ha avuto un ruolo importante in pressoché tutte le
guerre che hanno visto coinvolta la Liguria nell'età moderna
da quella del 1625 fino all'insurrezione dell'aprile 1945.
Tra gli episodi di maggior rilievo la vittoria del 10 maggio 1625
sulle armate del Duca di Savoia Carlo Emanuele I, che ha portato
all'erezione, in segno di rendimento di grazie, dell'attuale Santuario
di Nostra Signora della Vittoria.
In quell'occasione il passo del Pertuso fu teatro dello scontro
tra le truppe di Carlo Emmanuele di Savoia e un gruppo di ardimentosi
paesani locali i quali, in 80 contro settemila, riuscirono a resistere
per 10 ore ai tentativi di sfondamento dei savoiardi salvando
così da capitolazione certa la città di Genova.
Il Duca di Savoia, infatti, aveva dichiarato Guerra alla Serenissima
Repubblica di Genova, utilizzando come pretesto il fatto che Ferdinando
II di Germania aveva venduto ai genovesi il marchesato di Zuccarello
del quale egli rivendicava il possesso.
Lo scopo del duca era evidentemente quello di mettere a ferro
e fuoco Genova per cui, conquistate Gavi, Voltaggio, Savignone
e Busalla, egli era deciso ad oltrepassare l'Appennino, senza
però utilizzare il passo della Bocchetta, troppo controllato,
e preferendo invece il passo del Pertuso.
Don Gio. Maria Lucchini rettore di Montanesi, ebbe un sogno in
cui la Madre di Dio, che vegliava il passo da una edicola ivi
costruita, prometteva difesa e protezione alla popolazione di
Montanesi e a tutta la città di Genova: esortava a non
fuggire, ma a difendere il passo. Il rettore, riunita la popolazione
atterrita ed incerta sul da farsi, esortò tutti, uomini
e donne, a pregare e a lottare, e raccontò a tutti il sogno.Confessò
e comunicò tutti, e insieme si affidarono alla protezione
della Madonna, perché in quel momento dl così grande
difficoltà Ella aveva promesso il suo soccorso.
Ed infatti gli 80 paesani col loro parroco riuscirono a resistere
fintanto che alcuni capitani di ventura, tra cui il famosissimo
Battino Maragliano, raccolti più di 1500 uomini, giunsero
finalmente in soccorso dei combattenti ormai allo stremo delle
forze, respingendo in via definitiva l'attacco nemico.
Don Lucchini, disconoscendo ogni merito personale nella vittoria
riportata, rivolse già un mese dopo una supplica al Senato
al fine di ottenere sia l'autorizzazione ad erigere una chiesa
nel luogo della vittoria, sia un qualche aiuto finanziario per
realizzarla.
All'uso del tempo il Senato richiamò dal bando un indesiderato
imponendogli di versare il suo debito al parroco, ma il tentativo
si risolse in un fallimento; nonostante ciò il Lucchini
non si diede per vinto. Nel 1628 lo stesso Lucchini rinnovava
la sua istanza, questa volta con esito positivo, e riuscì,
grazie anche "alle elemosine dei buoni", ad erigere
una chiesetta che misurava palmi 24 x 36 (circa 6 m x 8) sul colle
che sovrastava il passo.
Negli anni 1635-36 il nuovo rettore di Montanesi don Antonio Marcone,
rivolse l'ennesima supplica al Senato per poter ingrandire la
chiesetta, rivelatasi insufficiente ad accogliere i numerosi fedeli
che venivano in pellegrinaggio alla Vittoria, specie in occasione
della ben nota ricorrenza del 10 maggio.
Richiamati dal bando due polceveraschi (tali Simone Mortola e
Baldassarre Carpaneto), il Senato poté provvedere il rettore
di una considerevole cifra grazie alla quale la chiesetta avrebbe
dovuto diventare il coro del nuovo edificio a tre navate che in
progetto misurava palmi 92 x 51 (circa 23 m. x 13).
Ma i soldi terminarono prima del previsto ed il direttore dei
lavori, accusato di frode, veniva arrestato e spedito in carcere
a Genova: il Santuario della Vittoria risultava ancora una volta
incompleto e nel 1639 si era costretti a sostituire un quadro
della Vergine, ivi contenuto e danneggiato dalle intemperie, con
un altro rappresentante la Madonna con ai lati i protettori della
Repubblica (S Giovanni Battista, S Giorgio e S Bernardo).
Il termine dei lavori per il Santuario secentesco è fissato
in data 8 maggio 1654. Era il più grande santuario dedicato
alla Madre di Dio che si trovasse fuori dalle mura cittadine.
In questa data (1654) venne ancora una volta sostituito il quadro
presente nella chiesa con una bellissima statua in marmo donata
dal Serenissimo Senato, opera di Tomaso Orsolino, milanese attivo
a Genova nella seconda metà del '600; mentre negli anni
1666 e 1667 il rettore Don Gio Domenico Perazzo tornava a chiedere
un aiuto economico al Senato per il rifacimento del tetto e nuovi
arredi sacri.
Tra il 1720 ed il 1754 fu custode della Vittoria Don Niccolò
Serchio, vero promotore della definitiva rinascita del Santuario,
così come il Lucchini ne aveva promosso la fondazione un
secolo prima. Grazie ad una non comune abilità nelle pubbliche
relazioni, il Serchio riuscì ad ottenere dal Senato di
poter mandare persone fidate a questuare nel circondario, cosa
che venne sicuramente praticata tra il 1722 ed il 1729.
Oltre ad aver attuato numerose migliorie e modifiche al Santuario,
quali la costruzione del campanile della Sacrestia e del tabernacolo
dell'altare maggiore, il Serchio riuscì anche a far concedere
dal Papa l'indulgenza plenaria per il giorno 1O Maggio negli anni
1722 e 1799, indulgenza che venne rinnovata anche nel secolo successivo.
Grande era il concorso dei pellegrinaggi di cui abbiamo le prime
testimonianze scritte proprio in questi anni. Dalla Valpolcevera,
dalla Valle Scrivia, dalla Val Bisagno, da Sant'Olcese, Pedemonte,
Manesseno, Pino, dalla Val Verde, ecc., le parrocchie affluivano
annualmente al Santuario con grande concorso di popolo.
Il 13 ottobre 1742 il Serchio dovette però assistere al
saccheggio del Santuario, ma soprattutto alla sua distruzione
avvenuta nel corso della guerra con gli Austriaci nell'inverno
del 1746/47. Nel 1746, infatti, era iniziata la guerra con l'Austria.
Genova, essendosi alleata con la Francia per vendicarsi di Maria
Teresa d'Austria che aveva promesso il marchesato di Finale ai
Savoia, viene attaccata dagli austriaci comandati dal Generale
Botta Adorno, nativo della repubblica, il quale, sfondate le difese
genovesi al passo della Bocchetta, costrinse la Repubblica alla
capitolazione. Cacciati gli austriaci dall'insurrezione popolare
del 5-10 dicembre 1746, questi ritentarono l'impresa l'11 Aprile
del 1747 lanciandosi in Val Polcevera divisi in sei colonne. Una
prima colonna, comandata dallo Schullembourg, investiva da Crocetta
d'Orero, mentre il generale André attaccava Montoggio,
il generale Sprecher la Vittoria, il generale Marguire scendeva
dai Giovi, il maresciallo principe Piccolomini dalla Bocchetta
e il colonnello Franquin s'avviava per la cresta dei monti verso
N. S. della Guardia.
Al poderoso assalto di accerchiamento gli uomini della Polcevera,
aiutati dalle truppe regolari mandate dal governo, opposero la
più eroica resistenza. Divisi per parrocchie, costituenti
ciascuna una compagnia, combatterono per mesi in Val Polcevera
e sotto le mura di Genova, finché il nemico fu vinto il
18 Febbraio 1748 e ricacciato oltre i gioghi dell'appennino.
I danni sofferti dalle popolazioni polceverasche furono però
enormi. Case e chiese distrutte dalla furia del nemico e gli abitanti
praticamente dimezzati. Anche il Santuario di N. S. Della Vittoria,
che era il santuario più grande della polcevera con le
sue tre navate terminanti con altrattanti altari, venne totalmente
distrutto.
Il 13 giugno 1748, infine, il generale Nadasty, nuovo comandante
dell'esercito austriaco dopo la destituzione di Schullembourg,
tentò per l'ultima volta di forzare i passi del Pertuso
e della Bocchetta per scendere in Val Polcevera, ma fu respinto
dalla resistenza dei soldati genovesi (Reggimento Bembo) validamente
sostenuti dalle milizie contadine reclutate localmente.
Il Santuario non restò comunque distrutto a lungo, perché
già nel 1749 il Senato approvava il progetto di ricostruzione
e nella primavera del 1750 il presbiterio e il coro del Santuario
potevano essere riaperti al culto.
Ma il Serchio non si accontentò di poter officiare, volle
piuttosto rifare l'intero edificio dalle fondamenta, con l'aiuto
dei massari e con il valido contributo di un mastro volontario,
tal Gaetano Pedemonte poi detto "il Santo", che dedicò
alla causa più di vent'anni della sua vita. Fu così
presentato un nuovo progetto per la realizzazione di un Santuario,
più piccolo però di quello esistente, dato le strettezze
dei tempi, che imponevano un enorme sforzo di ricostruzione di
quasi tutte le chiese della Valpolcevera e della Valbisagno, danneggiate
o distrutte dagli invasori.
Il Serchio grazie alla sua comprovata abilità, riuscì
ad ottenere cospicui finanziamenti tanto dall'Arcivescovo di Genova
Mons G Saporiti, quanto da alcune famiglie patrizie genovesi,
tra cui i Brignole, i Cambiaso, i Durazzo ed i Grimaldi. Nel frattempo
il Senato dovette pronunciarsi perché alcune segnalazioni
del Magistrato di Guerra manifestavano preoccupazione per l'erigendo
Santuario, che risultava di maggiori dimensioni rispetto al progetto
approvato e soprattutto per l'alto campanile che si stava costruendo
contro il parere di sicurezza del Magistrato stesso. Un simile
edificio avrebbe costituito infatti una specie di fortezza da
cui chiunque avrebbe potuto controllare un passo così importante.
Fu per questo motivo che nel 1751 venne fatta apporre una lapide
nella quale si definiva il Santuario di N. S. della Vittoria "cappella
laicale, sotto la immediata protezione del Serenissimo Senato
di Genova come da decreto del 18 Giugno 1749".
Con l'avvento di Napoleone, le cui truppe varcarono il passo della
Vittoria nel 1800, i pellegrinaggi dapprima si diradarono e poi
vennero addirittura sospesi. Ad aggravare la situazione contribuirono
anche i continui tentativi dei sindaci dei paesi vicini di screditare
l'operato dei custodi del Santuario, più volte accusati
di aver effettuato spese malfatte e di aver tenuto conti mendaci.
In verità i libri dei conti del Santuario tra il 1809 ed
il 182l risultavano molto imprecisi ed incompleti per cui l'Arcivescovo
si trovò infine costretto ad intervenire emettendo un lungo
decreto il 14/3/1821, in cui si sanciva, tra l'altro, la separazione
dell'Amministrazione del Santuario da quella della chiesa parrocchiale
e l'istituzione di un consiglio i cui rappresentanti avrebbero
dovuto essere scelti nelle parrocchie confinanti, analogamente
a quanto già avveniva al Santuario della Guardia.
Il decreto non fu evidentemente seguito in quanto si ha notizia
che ne vennero emessi altri due analoghi nei contenuti nel 1839
e nel 1842. Finalmente dopo un secolo di lotta per l'autonomia,
il 20/8/1896 I'Arcivescovo Tommaso Reggio emetteva un decreto
con il quale il Santuario di N. S. della Vittoria era posto sotto
la diretta dipendenza della Curia Arcivescovile. Nella medesima
occasione si concedeva in perpetuo il titolo di Rettore al Reverendo
sacerdote Custode del Santuario.
Nel 1900 crollava parte del campanile, che veniva prontamente
ricostruito in nuova posizione su progetto dell'ing. Adolfo Bisso,
grazie al tempestivo intervento del Rettore, allora Don Niccolò
Gazzo; mentre nel 1906, vista la sempre maggiore affluenza al
Santuario, si rendeva necessario ampliare la Casa del Pellegrino
addossata al retro del Santuario.
Il primo luglio 1928 per iniziativa dell'Associazione Nazionale
Combattenti si commemorava al Santuario il decimo anniversario
della vittoria sul Piave, con un gran concorso di popolo e di
autorità, la posa in atto del monumento ai piedi del campanile
e la relativa pubblicazione dell'opuscolo che ricordava l'evento.
In detto opuscolo è anche contenuto il progetto dell'ing.
Marcello Ciurlo per la realizzazione della funivia tra Mignanego
stazione ed il Santuario: la sottoscrizione popolare che avrebbe
dovuto garantire la realizzazione del progetto non ebbe però
il seguito sperato.
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