Un salutoGiovanni De Gaetani è morto
improvvisamente il 30 luglio 2000 a Castello di Carro a cena con amici in una delle tante
sagre gastronomiche che rallegrano il periodo estivo. Dopo eterni minuti la realtà della
morte ha coperto tutto. I piatti fumanti, i bicchieri di vino, le note della musica: tutto
è tornato il freddo oggetto che da solo non dice niente. E poi, quando lambulanza
ha portato via il suo corpo, un silenzio irreale è sceso sul paese, quasi
uneclisse. Alcuni vecchi contadini hanno detto "è morto", quasi subito:
hanno vissuto la morte dei parenti, degli amici, conoscono il crudo linguaggio della
natura e la rassegnata commozione a cui non servono lacrime. Noi di città ci spaventiamo
di fronte a corpo freddo adagiato in terra: è bastata una carezza e un saluto ma era più
completo e solenne, sincero e compiuto di qualsiasi cerimonia.
Tutti i necrologi e le celebrazioni diventano quasi un mezzo di comunicazione che
rappresenta un dolore socialmente doveroso. Ma chi ha amato intensamente una persona deve
conoscere lapparente casualità dellesserci. Solo con la fede è possibile
immaginare un oltre non umano estraneo ai modi finiti dellessere terreno. Solo con
la fede possiamo capire luguale bellezza di un corpo senza vita e non inorridire per
quel viso senza più espressione, ostinatamente legati al movimento motivato della
concretezza iperattiva. In più la morte improvvisa è lacerante: abbiamo parlato dieci
minuti fa, eravamo lì che si mangiava, dovevamo vederci domani, in effetti diceva che si
sentiva un po' stanco, ma è per tutto quello che mangiava.......
A proposito: quando mai abbiamo salvato qualcuno dalle sue "insane"
abitudini? Poi diciamo: glielavevo detto di non fare così.... se stava attento....
Ma nessuno riesce ad essere convincente al punto di far cambiare certe persone. Sembra
quasi non gli importi che la vita possa finire molto prima. E quindi plausibile un
inconfessato desiderio di fermare quel flusso di pensieri che per tanti versi ha cambiato
la radice più profonda del nostro essere: quasi unaccurata attenzione inconscia
per avvicinarsi più rapidamente a una nuova dimensione dove quei resoconti
interiori possano defluire trasfigurati e adagiarsi finalmente su un terreno di
morbida comprensione: il possibile Paradiso, dunque. Attraverso
linteriorizzazione della nostra intrinseca finitezza possiamo senzaltro amare
di più e capire il valore della testimonianza attraverso le opere compiute.
La grandezza della figura di Gianni è proprio nellaver capito la nostra
transitorietà. Nei suoi giudizi morali sugli altri, spesso improntati alla massima
severità, non mancava mai di aggiungere la dolcezza volitiva della nostra caducità. Come
amava raccontare, ambiva a bere un bicchiere di vino sia col contadino che con il
luminare. Era un modo di rapportarsi con il prossimo, garantendo sempre il massimo
dialogo possibile, non chiudendo mai definitivamente le porte ad eventuali nuove
considerazioni, usando sempre la fantasia, sapendo uscire dai binari, rientrare e
ridisegnare occasioni e scenari.
Non è lesito del suo agire che ci interessa qui: quel che mi preme sottolineare
è la sua costante e tenace convinzione disponibile a continue revisioni. Credo che Gianni
abbia lasciato una grande eredità: la concezione di un mondo basato sulla necessità di
capire a fondo i propri limiti e le proprie aspettative, cercando inesausti e dinamici la
motivata convinzione per essere sempre vicini alle più sottili sfumature dialettiche e
psicologiche: l'intelligenza al lavoro.
E certamente la strada più lunga, che non finisce in una vita. Ma è quella che
probabilmente disegna la nostra Storia, quando i fatti accaduti sono frutto di operoso
lavoro e non di episodiche sortite. Siffatto agire è fertile humus in cui tutto ricade,
si distilla e ricrea riconducendo le eventuali asperità ad una forma globale ben più
completa anche se mai finita. E qui risiede la massima bellezza e comprensione del non
eterno, ove semmai la fede può proseguire: la coscienza di sé in sé, nel e col mondo.
Come sempre passeranno gli anni e molto dimenticheremo. Non ho voluto qui ripercorrere
la carriera del "Gianni" medico e politico. Ho voluto, per amicizia e rimpianto,
sottolineare quanto importante e irrinunciabile sia il "fattore umano" specie
nei personaggi pubblici. E penso sia proprio questo che rimarrà di lui, in particolare
alla gente della strada: figura istituzionale ma senza quel fastidioso distacco un po'
saccente così diffuso. La gente di queste meravigliose vallate sa di aver perso una
persona che comunque sapeva "ascoltare". Molti lo ricorderanno spesso, seduto
sulla panchina vicino alla sua grande casa, proprio all'inizio di Castello. E questo, non
essendo un elogio ai fatti (che, si sa, possono o meno piacere) ma al sentimento dei
fatti, penso sia il segno conclusivo migliore di questo saluto.
© m.p./sett.2000-2001