Questo spot non è uno scherzo

di Bianca Leopardi

Il tema che affronteremo in questo nuovo numero di "Più prevenzione, meno cancro", prende spunto da un recente viaggio che il dott. T. Pilato, responsabile per l'Associazione Nazionale Volontari Lotta Contro i Tumori, del settore prevenzione, ha effettuato durante questa ultima estate in Romania e Moldavia. L'occasione era offerta dalla presentazione del manifesto del Concorso Internazionale "Lotta al Tabagismo 2001" - che ha raccolto i disegni dei bambini vincitori dei paesi partecipanti all'ultima edizione del concorso - nonché dall'incontro consueto con dirigenti del Ministero della Sanità di quei paesi, e con esponenti della Università degli studi della facoltà di Medicina (vice rettore prof. V. Prisacari), allo scopo di gettare le basi per una continuativa collaborazione alla lotta al tabagismo per l'anno 2001 e alle attività ad essa connesse.

La realtà di questi paesi ha suscitato preoccupazione ma che è anche stata stimolo per una maggiore informazione. In Moldavia quasi tutte le strade delle città e della capitale erano tappezzate di cartelloni pubblicitari che invitavano all'uso di sigarette. Non solo cartelloni lungo le strade, ma anche su autobus, ombrelloni posti in luoghi di rinfresco all'ingresso di bar.

 

Insomma un vero e proprio bombardamento su una popolazione assolutamente non tutelata, dai rischi che il fumo ha sulla salute dei consumatori di sigarette, da regole di disciplina pubblicitaria. In Romania una situazione abbastanza simile, ma ancora più evidente e appariscente è il potere comunicazionale su cui hanno investito le multinazionali produttrici di sigarette:
"Entra in contatto con il mondo intero" - Bucarest - Romania

suadenti manifesti pubblicitari, martellanti status symbol che incitavano, soprattutto il pubblico giovanile, a provare le sensazioni legate al fumo.

L'impressione che se ne riceve è quella di una pubblicità ingannevole, cioè di una pubblicità che non informa, accanto alle promesse di provare le particolari sensazioni legate al fumo, sui rischi e sui pericoli che esso esercita sulla salute dell' ipotetico consumatore. Sembra che in Romania, le multinazionali produttrici di tabacco si siano davvero organizzate a creare una rete comunicazionale persuasiva, che tuttavia, e questo è ciò che ci lascia perplessi, non trova una altrettanto incisiva contrapposizione da parte delle istituzioni. Ci siamo chiesti cosa possano fare le istituzioni di fronte al dilagare della pubblicità "ingannevole" e allo strapotere di queste grandi industrie.

Ci sembra corretto affermare che un contributo per arginare il problema è stato dato dalla nostra Associazione con le attività di "Peer Education", - educazione tra pari - rivolte ai bambini delle scuole elementari e medie per sensibilizzare già in età scolare sul tema relativo al tabagismo. E' ovvio tuttavia che, nonostante la nostra buona volontà, si tratta di attività che non possono da sole combattere il problema: le multinazionali hanno dalla loro parte grandi capitali e la possibilità quindi di sfruttarli investendoli in comunicazione, in campagne pubblicitarie più o meno complesse. Insomma la nostra attività per quanto importante, rappresenta un contributo significativo ma modesto rispetto allo strapotere economico sul quale possono contare le multinazionali.

E' così che, spinti dalla necessità e volontà di saperne di più in fatto di comunicazione, abbiamo incontrato un rappresentante del mondo pubblicitario, che sicuramente sarà in grado di fornirci un'idea più chiara sul significato della pubblicità ingannevole e sull'efficacia di una campagna di pubblicità sociale: Vincenzo Guggino, Segretario Generale dello IAP (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria).

- Dott. Guggino cerchiamo di capire se esiste e in cosa consiste la differenza tra la pubblicità sociale e la pubblicità progresso.
Pubblicità Progresso è un istituto (Istituto Pubblicità Progresso), una sorta di associazione non profit costituita dalle associazioni di aziende che investono in pubblicità, dai mezzi di diffusione, delle agenzia di pubblicità, tutte componenti che hanno dato vita appunto a Pubblicità Progresso per attuare campagne di pubblicità sociale, di utilità sociale, allo scopo di veicolare messaggi di pubblica utilità. E' necessario quindi porre una differenza netta tra le campagne di pubblicità progresso (per intenderci quelle diventate famose grazie al bollino all'interno del quale sono delimitate le due p), e la rimanente pubblicità sociale, che è sconfinata. Le due realtà della pubblicità sociale sono oggi costituite dall'Istituto di Disciplina Pubblicitaria, che si occupa del controllo dei contenuti dei messaggi pubblicitari - in base alle regole dettate dallo stesso codice di autodisciplina pubblicitaria - e da Pubblicità Progresso.

- Mi parli brevemente degli inizi di Pubblicità Progresso.

Pubblicità Progresso è nata una trentina di anni fa, quando il concetto di pubblicità sociale era preistoria, rappresentava un fatto nuovo. C'era poi qualcuno che ne travisava il contenuto, credendo quasi impossibile che potesse esistere una pubblicità non "interessata" alla vendita di qualcosa. Oggi Pubblicità Progresso è invece lo strumento principe per veicolare delle modifiche comportamentali e sociali, e può contare sull'appoggio del Ministero degli Interni e della Sanità. (n.d.r. antesignana delle campagne pubblicitarie antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri; di tv private; di Associazioni).

- Come ci si pone di fronte al fatto che vi sono marchi di note aziende produttrici di tabacco che pubblicizzano altri prodotti?

Il discorso del fumo non avrebbe ragione di esistere nella misura in cui dal 1962 esiste in Italia una legge che bandisce ogni forma di pubblicità al fumo. Quindi essa è assolutamente proibita nel nostro paese. Da questo punto di vista, possiamo ritenere a ragione che l'Italia sia in questo settore antesignana. Il problema del fumo da un punto di vista di contenuti pubblicitari sarebbe quindi qualcosa di ripetitivo, tanto più che disposizioni di legge successive (ricordo ad esempio il decreto Vizzini) hanno continuato a ribadire il divieto della pubblicità televisiva del tabacco. Il problema che si pose allora riguardava il cosiddetto fenomeno del merchandising, cioè di marchi di sigarette che iniziavano a diventare marchi utilizzati per veicolare altri prodotti commerciali. In quella circostanza, il decreto legge Vizzini nasceva con lo scopo di regolamentare l'utilizzo del marchio come veicolo di merci differenti da quelle per le quali inizialmente era stato sfruttato (un caso molto noto fu quello dell'abbigliamento sportivo), andando a verificare che l'uso del marchio fosse lecito: in sostanza che dietro la marca di abbigliamento ci fosse un'effettiva realtà produttiva, con un bilancio dimostrabile.

- Si può parlare in questi casi di pubblicità occulta?

Direi proprio di no. Le spiego la ragione: nel momento in cui esistesse, poniamo, un tour operator che si chiamasse "Camel", che avesse una sua realtà produttiva, aziendale e commerciale stabile. Per quanto esso possa evocare l'idea della marca di sigarette nota a tutti ed in maniera sicuramente più immediata e conclamata, sarebbe però una realtà del tutto autonoma. Si tratta di un principio fondamentale di diritto aziendale. Capisce infatti che, se così non fosse, un marchio sarebbe condannato ad identificare sempre e solo quello per cui è nato. L'importante è quindi che una pubblicità di questo genere non si trasformi in uno specchietto per le allodole, ma che alla base del prodotto che si vuole comunicare ci sia un contenuto industriale. (n.d.r. ma di quale entità economica per non essere considerato uno specchietto per le allodole?)

- Riprendendo il discorso tabagismo, ricordo una sola campagna di pubblicità sociale disincentivante all'utilizzo delle sigarette: si tratta di quella trasmessa nell'inverno 1975-inverno 1976. La stessa era nata per supportare un progetto di legge e si concepiva volutamente come uno sprone al fumatore passivo a "ribellarsi" di fronte a questa situazione di "perdente", un pungolo a far valere il proprio diritto a non subire il fumo di altri. Sorge spontanea l'illusione che l'attuale disegno di legge Veronesi, e il polverone che ha scatenato, potrebbe rivelarsi un incentivo a riprendere tutto un discorso pubblicitario sul fumo. In poche parole: è possibile che il tema della lotta al tabagismo diventi un nuovo argomento per ideare una campagna pubblicitaria di disincentivazione?

Male non farebbe di certo. C'è da dire tuttavia che il Comitato di Pubblicità Progresso tende a dare una rotazione, una stagionalità alle campagne. La prima campagna pubblicitaria che consacrò Pubblicità Progresso come il modo nuovo e più impegnato di veicolare un messaggio, che non fosse necessariamente un prodotto o un'idea da vendere ma un modus vivendi, fu ad esempio quella per la raccolta del sangue. Questo però non significa che affrontando un certo discorso, non ci debbano poi essere dei "seguaci" che, in qualche maniera, agiscano in concomitanza e per il successo della stessa campagna.

- Entrando nello specifico di un piano di comunicazione sociale, esiste un criterio che guida la scelta del target. Ad esempio, un'ipotetica campagna antifumo, a quale pubblico dovrebbe più rivolgersi: ai non fumatori o agli incalliti consumatori di tabacco?

Dare risposte estemporanee farebbe torto alla complessità della materia, nel senso che la pubblicità è soltanto un anello della catena comunicazionale, per cui io posso avere un target enorme e uno piccolo, dipende dai soggetti ai quali mi voglio rivolgere, che cosa voglio dire e che cosa, soprattutto, voglio ottenere da quello che dico. Per cui la domanda è generica e io non posso che darle una risposta generica: dipende da quello che vogliamo ottenere. La cosa è un pò diversa per il tema fumo. Il fumo, è noto alla maggioranza, è un fatto di moda, di stile di vita. Il problema del fumo io credo sia legato ai modelli di riferimento. La contraddizione più stridente è che oggi tutti, bene o male, sanno che il fumo fa male e nonostante ciò fumano! Pertanto non si tratta di informare sui rischi che corre chi fuma (l'informazione è ormai satura), ma si tratta di avere dei modelli positivi di riferimento, per cui, faccio un esempio, un Jovanotti o un Ramazzotti, come ben pensò qualche tempo fa il Ministero della Sanità (n.d.r. per le campagne anti-A.I.D.S.), che dichiarassero di non fumare, naturalmente in maniera convinta, potrebbero dissuadere i giovani molto di più che se si promuovessero delle campagne a carattere informativo. Il discorso del divieto invece, come ad esempio quello contemplato nel disegno di legge Veronesi, ritengo che dal punto di vista dei giovani, lasci qualche perplessità, dei punti dubbi, perché, lo sappiamo in quanto giovani lo siamo stati tutti, il divieto esercita un fascino del tutto particolare su questo target, per cui se si inizia a proibire una certa cosa con la minaccia di multe salate, la voglia di provare aumenta. Anche se c'è da dire che un freno, un fermo alla possibilità di fumare, nolenti o volenti, riduce la quantità massima di fumo. Ecco: non affiderei tutto ad un divieto ma proverei ad utilizzare dei modelli positivi che abbiano presa sul mondo giovanile (l'utilizzo dei cosiddetti testimonials) che si limitino giusto a dire che loro non fumano.

- Concordo pienamente con Lei: l'uso e l'abuso, spesso, di sigarette, è diventato specie nei paesi in via di transizione, il modello culturale dei giovani di paesi che vivono in condizioni di pesante coercizione, per controbilanciare stati di estrema disperazione e frustrazione, dove la propria cultura è stata distrutta, il lavoro un desiderio irraggiungibile, la stabilità politica una realtà estremamente sfuggevole. Mi chiedo però se non si rischierebbe in questa maniera di fare della morale spicciola?

Non a caso ho sottolineato la necessità che questi testimonials si limitino a dichiarare la mancata scelta del fumo. Fare la morale su questo aspetto è sempre un po' a rischio, infatti nelle campagne contro l'A.I.D.S. non si è mai toccato il piano etico. L'eticità è un fatto del tutto privato, ma per chi ne è privo, non deve essere un argomento di accanimento o di diversità, di esclusione, non può essere un parametro valido per ingaggiare una campagna pubblicitaria rivolta al grande pubblico. Potrebbe risultare controproducente.
"Pubblicità occulta" - Kisinau-Repubblica Moldova

- Quali sono i riferimenti, i parametri attraverso cui giudicare la positività, l'incisività di una campagna socialmente utile? Nel caso del fumo ad esempio, potrebbe essere un riferimento la percentuale di sigarette vendute?

La misurazione dell'efficacia della pubblicità è uno dei temi più controversi che esistano nell'ambito della disciplina pubblicitaria. Primo perché non si è d'accordo su che cosa misurare, e secondo per la difficoltà intrinseca del misurarlo. Esiste poi un altro discorso che spesso i pubblicitari introducono: l'obiettivo vero della pubblicità non è quello di fare aumentare le vendite (obiettivo a lungo termine e di riflesso), bensì l'obiettivo primario si rivela essere quello di supportare la marca. Se io non ho una marca non posso fare pubblicità, in quanto non ho identificato alcun prodotto. Dunque la pubblicità non è altro che un mezzo di supporto della marca, per farla conoscere, per mantenerne il ricordo, per far si che la gente colleghi un determinato prodotto ad una determinata marca, per farla affermare (n.d.r. nell'ambito della pubblicità sociale, con riferimento alla lotta al tabagismo, leggasi "supporto alla marca" come "introduzione di uno stile di vita sano" e, come "diminuzione delle vendite", "diminuzione del numero dei fumatori").

- Analizzando le immagini pubblicitarie delle marche di sigarette nei paesi dell'Europa dell'Est, non si fa fatica a capire quanto siano accattivanti, eclatanti, colorate, appariscenti, e che si rivolgono principalmente ad un pubblico giovanile. Fanno moda e la vogliono essere. In basso notiamo la direttiva con la quale lo stato si cautela avvertendo gli ipotetici consumatori che il fumo di tabacco nuoce gravemente alla salute. Non le sembra una contraddizione questa? E' sufficiente una scritta in fondo al cartellone pubblicitario a cautelare la salute dei consumatori? Le istituzioni non fanno niente altro contro lo strapotere delle multinazionali produttrici di tabacco?

Il discorso è che la pubblicità è un'arma formidabile di convincimento, i pubblicitari lo sanno, la temono e la utilizzano con attenzione e scrupolo. Maggiore è la consapevolezza di ciò, maggiori sono i mezzi per controllarla. In altre parole in occidente c'è una consapevolezza, una tradizione, un uso della pubblicità e guarda caso esiste anche un maggior controllo sulla stessa. La pubblicità segue di pari passo l'evoluzione dei sistemi economici. Ciò vuol dire che quanto più un sistema economico si evolve, tanto più lo sviluppo della pubblicità sarà maturo e viceversa. Cioè: quando si apre un mercato, o lo si fonda, lo si fa con la violenza , non con le regole, che arrivano dopo. E' un problema di obiettivi sociali. Infatti è vero si che queste pubblicità sono suggestive come tutti notiamo, però, attenzione: incrementano il consumo di sigarette o orientano sulla scelta della marca? Se io non fumo infatti rimango quanto meno indifferente davanti alla donna che mi propone Kent, per fare un esempio di marca. Oppure se io non fumo non penserò di certo, perché io fumo le L&M, che diventerò come l'individuo rappresentato in cartellone. Questa è una diatriba che da sempre esiste in campo pubblicitario: cioè se la pubblicità effettivamente aumenti il bisogno o meglio il desiderio oppure orienta tra l'offerta. Indubbiamente ritengo che la pubblicità abbia un impatto notevolissimo che è di tipo normalizzante, cioè nel senso che siccome la pubblicità è uno dei fattori del quadro sociale o di mutamento sociale, se un modo di fare pubblicità lo si ha ricorrente nel tempo e nello spazio, questo entrerà a far parte della vita di tutti i giorni. In definitiva il fatto più imponente di questa pubblicità non è tanto quello che mi istiga a fumare nonostante io non ne senta il bisogno, quindi non è tanto quello di indurre a fumare chi non fuma ancora e chi non ne ha per niente voglia, ma fa entrare il fumo nella vita quotidiana. E' come paragonare il bisogno di fumare all'abitudine di lavarsi le mani. Faccio vedere come puoi fumare, ti offro una gamma di scelta tra marche di sigarette. Insomma banalizza e normalizza il prodotto fumo che non è però come gli altri, ma anzi è nocivo, lo fa entrare nella vita quotidiana, attenuando in tal modo tutta l'attenzione e sensibilità che per altri versi ci si sforza di incrementare con campagne educative di varia natura. La pericolosità esiste dunque a mio parere in quest'accezione: che il fumo diventa una componente della vita di tutti i giorni, della quale non posso più fare a meno. Non credo che di per sé questi tipi di spot pubblicitari istighino a fumare, cioè le motivazioni per fumare saranno sempre le solite (compagni, moda), ma sicuramente mi orienterà i gusti verso una marca. Il punto pericoloso è che mi banalizza il fenomeno fumo e lo normalizza nella vita di tutti i giorni. Questa è la vera questione. Il fumo è controverso: tutti sanno che fa male. Questo per dire che la pubblicità ha questo effetto normalizzante, rassicurante, tutto ciò di cui si occupa non può nuocere più di tanto, o non può causare danni più di tanto. Per cui ogni situazione trova una sorta di conferma sociale nel messaggio pubblicitario. Questo è l'aspetto più pericoloso, perché fa entrare un prodotto pericoloso per la salute, in questo caso il fumo, nel quotidiano, nel vissuto della gente: il che ovviamente è deleterio.
- Come secondo Lei evolverà la situazione comunicazionale del tabacco nei paesi dell'Europa dell'Est?

Ritengo che sia già encomiabile che in basso, sulla fronte del cartellone pubblicitario della marca di sigarette, appaia la scritta che riporta il decreto legislativo che rende nota la pericolosità del fumo, perché significa che in qualche modo i governi dell'Europa dell'Est non si vogliono sentire fuori dal contesto europeo, anche se in realtà non ne fanno parte. Io lo vedo come un segnale positivo perché questi paesi hanno tutto l'interesse ad entrare nella comunità europea e quindi, per quanto sia forte la lobby delle multinazionali produttrici di sigarette, alla fine essi dovranno cedere alle logiche e agli indirizzi dei governi, anche perché l'Europa probabilmente gli imporrà questo tipo di regole. La mia sensazione è che si vada sempre di più verso uno scoraggiamento da parte delle autorità pubbliche per la pubblicità delle sigarette. Il punto fondamentale è comunque che la pubblicità da sola non basta! Le campagne educative che possono coinvolgere i bambini, i giovani nelle scuole e nelle forze armate, sono molto utili e proficue e dovrebbero essere supportate dai governi in maniera più massiccia e convinta. La pubblicità, soprattutto la pubblicità di massa, è una sorta di programma generale, che necessità però di un'informazione capillare che scenda in basso, tra le persone comuni, metro per metro. E' ingenuo e anacronistico pensare che basti fare una campagna pubblicitaria generale antifumo per convincere la gente a smettere di fumare.

- Quale è il rovescio della medaglia di una campagna pubblicitaria sociale?

Il fatto non indifferente che alla base manchi un'attività di supporto ad una campagna pubblicitaria generale, un'attività di informazione di che cosa voglio indicare, dei rischi che si corrono fumando o a che cosa vado incontro se non fumo possono determinare l'insuccesso o la disaffezione del pubblico nell'efficacia di una campagna pubblicitaria sociale. Questo rende bene l'idea di che cosa significhi la necessità di una coerenza, una base, un camminare di pari passo tra comunicazione e operatività. Il rischio è di ottenere un effetto controproducente. Non si può pertanto fare una campagna pubblicitaria sociale che non sia poi sostenuta e supportata dall'ampiezza degli sforzi operativi che è in grado di raggiungere. (n.d.r. si ricordi l'appello lanciato dai medici pneumatologici riuniti di recente a Firenze, che denunciavano un'alta percentuale di personale medico e para-sanitario che fuma all'interno delle strutture ospedaliere; si ricordino le disattese da parte dei fumatori del divieto di fumare nei locali chiusi aperti al pubblico e l'assenza di fondi dovuta alle mancate multe).

 

E' evidente che oggi sia in crisi il rapporto tra cittadini, famiglie, imprese e in generale quella che viene definita la società civile e le istituzioni pubbliche. Meglio: vi sono forti esigenze di ripensamento di tale rapporto. Oggi si richiede anche alle istituzioni pubbliche di diventare parte integrante di quel processo di cambiamento rapido e continuo attivato dal progresso delle conoscenze, dallo sviluppo di nuove tecnologie, dai processi economici e sociali di globalizzazione. Si chiede ad esse di essere depositarie di alcuni principi fondamentali su cui poggia il "patto sociale" di convivenza civile. Si chiede loro di esercitare funzioni, poteri e di realizzare interventi che si adattino alle mutevoli esigenze di diversi soggetti sociali, che diventino stimoli a dare risposte concrete a tali esigenze e non vincoli e ostacoli alla ricerca di risposte soddisfacenti. La comunicazione è uno degli strumenti privilegiati che può aiutare questo ripensamento del ruolo delle istituzioni e del loro impatto sociale, se intesa come attività e processi che possono agevolare i rapporti tra i diversi soggetti. La comunicazione sociale va analizzata con riguardo a diversi ambiti: innanzitutto va chiarito che essa è differente rispetto alla semplice informazione, in quanto deve trovare forme e strumenti per agire effettivamente sugli atteggiamenti e in quanto processo che si occupa di influenzare i comportamenti sociali, per renderli coerenti con le politiche e con il ruolo delle istituzioni che la propongono. Sui vari aspetti attinenti al discorso e all'importanza della pubblicità sociale, la nostra Associazione continuerà ad occuparsi, sollecitando le istituzioni pubbliche ad interessarsi maggiormente al tema della comunicazione sociale, nella tutela e nel rispetto dei diritti dei consumatori.

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