Da appunti di viaggio rielaborati qualche anno dopo
A Pomarico, da forestieri ad amici.
Per l'interessamento di don Mariano, il
possidente conoscente di Marselli, trovammo subito da alloggiare in una
stanza in una delle poche case decenti del paese. Peppino Laterza, loro
padrone di casa, aveva un bar sulla via nuova e una moglie giovane e carina.
Ci accordammo perchè la moglie ci facesse anche da mangiare. La
stanza che ci fu ceduta era la stanza da letto della famiglia Laterza,
che si ritirò da dei parenti. Più tardi, vedendo come viveva
la gente in paese ci sentimmo molto fortunati d'aver trovato una camera
pulita e decente, anche se non vi era gabinetto in casa e dovevamo aspettare
la sera per uscire nei campi. Ma ci abituammo presto, anzi era una scusa
per passeggiare al fresco sull'unica strada rotabile che portava al paese.
La strada in questione veniva su dalla stazione ferroviaria con dodici
chilometri di ripidi tornanti, poi giunta sul dosso della collina la percorreva
in cresta fino ad arrivare a Pomarico che si impennava sul cocuzzolo con
cui terminava tutto il dorso collinare. A sinistra e a destra due lunghe
file ininterrotte di colline che costeggiavano da una parte il Basento
e dall'altra il Bradano fino ad arrivare giù al mare Ionio che si
poteva vedere verso l'imbrunire e al mattino anche da Pomarico. Montescaglioso,
Ferrandina, Pisticci, e, lontanissimo, Stigliano erano tutti paesi posti
in cima a dei monti come Pomarico, ma disposti in modo tale che si potevano
osservare tutti da lassù. Di sera con le stelle in cielo si accendevano
anche le luci dei paesi ed era riposante starle a guardare sul muretto
della via Nuova.
Così passarono i primi due o tre
giorni dall'arrivo, pieni quasi solo del paesaggio, delle case calcinate
dal sole, dei muli che dormivano nell'unico locale in cui stava tutta la
famiglia, di escursioni per le mulattiere polverose verso i poderi dei
contadini di Pomarico a due o tre ore di strada a piedi dal paese. La curiosità
di tutte quelle cose nuove ci avvinse per i primi giorni. La gente del
paese si meravigliava della nostra presenza, non se la sapeva spiegare
se non come quella di inviati da qualche ente o dallo Stato. Si sentiva
sussurrare al loro passaggio. Solo il messo comunale, factotum del sindaco
e di don Mariano, ci seguiva spesso, con aria di padrone del paese e di
chi sapeva bene cosa eravamo venuti a fare. Cercava di monopolizzare le
nostre giornate dicendo che lasciassimo fare a lui che ci avrebbe fatto
vedere molte cose. Saremmo andati per la campagna, saremmo andati a trovare
qualche vecchia che dormiva con la capra e tante altre cose.Avremmo voluto
un pò svincolarsi dalla presenza del messo comunale, ma ci trovavamo
un pò impacciati i primi giorni sotto gli occhi della gente. Per
fortuna che, specialmente gli uomini, erano gentili e salutavano sempre
per primi, e poi dopo i primi giorni cominciarono anche a chiederci esplicitamente
cosa eravmo venuti a fare. A questa domanda io avrei voluto chiaramente
rispondere perché eravamoo venuti fin lì. Per conoscere la
loro vita, i loro problemi, per diventare loro amici e per fare un documentario
sulla loro esistenza. Sergio e Lino non erano però di questo
parere. Pensavano che forse non si sarebbe capito bene lo scopo vero della
nostra venuta, che forse era meglio essere più generici. Sergio
era addirittura del parere di dire che eravamo venuti lì in vacanza
per riposare. Effettivamente provò qualche volta a dire così,
ma riuscì solo a suscitare l'ilarità nei contadini che rispondevano
che Pomarico non era un luogo di villeggiatura, che a Pomarico non c'era
né il mare né dell'ombra riposante.
Avemmo delle discussioni assai vivaci i
primi giorni del nostro permanere a Pomarico appunto sul modo di giustificare
la nostra presenza nel paese agli occhi del contadino. Lino era in fondo
abbastanza d'accordo con me di raccontare schiettamente le ragioni della
nostra presenza, ma mi rimproverava il modo troppo aggressivo di attaccare
discorso con i contadini, cominciando col chiedere loro immediatamente
un sacco di cose con una fila di domande senza posa. Ci accorgemmo così
come non fosse un mestiere facile quello di entrare in contatto con la
comunità e conquistarne la fiducia.
Io avevo troppa fretta di riuscire nell'intento
e così peccavo di eccesso di zelo. Sergio rimase un pò riservato.
Quello che riuscì più presto e meglio degli altri ad accattivarsi
le simpatie della gente fu Lino. Per un suo fare più spontaneo,
per non aggredire il prossimo con una filza di domande, che in fondo finivano
per insospettire, come facevo io, e per quel suo essere meno riservato
di Sergio - Lino aveva la grande virtù di sapere stare ad ascoltare
quello che gli altri dicevano - finì che i contadini cominciarono
a raccontargli a poco a poco tutti i loro guai.
Fu quindi il primo che riuscì a
farsi degli amici, ma dopo un pò di giorni anche io e Sergio eravamo
completamente a nostro agio. Specialmente quando il paese riuscì
a farsi un'immagine per essi ragionevole di chi erano i tre personaggi
e cosa erano venuti a fare. Si
sparse infatti la voce, e riuscì a convincere tutti, che eravamo
tre giornalisti venuti per fare delle fotografie e guadagnavamoo molti
soldi per fare così. Sparì quindi la prima diffidenza e sembrò
loro naturale che i tre andassero in giro facendo un mucchio di domande.
Nel paese c'erano stati qualche volta altri giornalisti, anzi, un maestro
aveva perfino un cognato a Roma che faceva quel mestiere. Così la
gente si mise il cuore in pace.
Noi non provammo neanche a sfatare la
leggenda del giornalismo, almeno per i primi tempi. Man mano che venivamo
facendoci degli amici più intimi, con loro ci dilungavamo spiegando
tutti i motivi della nostra presenza a Pomarico.
Quando passavamo per la strada le donne
sedute sulla porta a lavorare, ci
chiamavano, volevano che ci sedessimo, che facessimo una fotografia ai
loro bambini. Magari ci dicevano se volevamo vedere come si faceva la conserva,
che venissimo domani che l'avrebbero fatta. Ingenuamente volevano offrirci
da vedere quelle che erano secondo loro delle curiosità e sempre
accompagnavano il gesto con un sorriso d'intesa fra loro, come per dire:
"Ma come sono strani questi forestieri, e un pò ignoranti anche,
che non sanno come si fa a far la conserva o la pasta in casa, o come è
fatto un telaio."
Quando avevano esaurito quelle che erano
le novità da far vedere, cominciavano a fare domande: di dove venivamo,
come si stava dalle nostre parti. "Si sta meglio di qui e c'è meno
miseria, vero?" E scuotevano la testa, come per dire "beati voi".
Nel complesso era più interessante
parlare con gli uomini. Se per caso stavamo parlando con le donne sulla
soglia di casa e arrivava l'uomo dal podere con il mulo, veniva subito
a sedersi sulla soglia di casa e ci pregava di rimanere ancora e voleva
parlare con noi. I contadini parlavano della loro miseria, del loro duro
lavoro, con un pò di risentimento, ma anche come di una cosa inevitabile. Dicevano
che ci volevano delle strade per andare con i trattori e i carri nei campi,
che la loro terra era troppo poca, che i bambini avevano fame. Raccontavano
spontaneamente la loro miseria, forse sperando che i forestieri con la
loro influenza avrebbero potuto far qualcosa per loro, o solo per bisogno
di sfogarsi. E potevano sfogarsi solo con dei forestieri della loro misera
vita, perché per tutti gli altri del paese era la stessa cosa, una
cosa troppo sofferta e uguale per tutti perché uno stesse a sentire
le pene degli altri.
Così ne amavano parlare con noi
tre. Ed erano stranamente arguti e vivaci, stranamente, pensavamo, se si
confrontava alla vita abbrutente che conducevano tutti i giorni. Che fossero
riusciti a salvare una intelligenza vivida, come mostravano continuamente,
malgrado la vita che facevano fu la cosa che più ci colpiva.
I contadini parlavano spontaneamente della
loro miseria e dei loro bisogni, ma se li si interrogava si dilungavano
a parlare volentieri della loro terra, delle varie stagioni di semina e
raccolto, del loro mulo, dei loro pomodori piccoli, ma molto gustosi. E
ne veniva fuori, malgrado tutto, un attaccamento alla loro terra molto
forte. Se poi si interrogavano sulla famiglia, ne risultava il loro amore
per essa e la necessità di farla andare avanti, di mettere da parte
i soldi, di comprare della terra per i figli per quando si sarebbero sposati.
Una serie di doveri che loro sentivano e che non pensavano neanche di mettere
in discussione.
Non si lamentavano di avere un numero
troppo grande di figli, come cose volute dal cielo. Se noi insistevamo
che mettere al mondo figli era una grave responsabilità, specialmente
se non si era sicuri di procurare loro un buon avvenire, stavano ad ascoltare,
ma non ci credevano troppo. Forse sarebbe stato meglio fare meno figli,
ma come si fa ... capitano. E poi se ci sono, anche per loro ci sarà
posto nella vita come c'è stato per i genitori.
Se i padri erano rassegnati alla loro vita
grama, tra i giovani c'era maggior insoddisfazione. Non amavano più
la terra. Partivano per andare militare e tornavano col desiderio di andarsene
da quel posto. Non volevano più fare il contadino. Qualcuno
andava a lavorare come manovale giù nella piana di Scanzano dove
si lavorava per l'Ente Riforma. Facevano gli industriali come dicevano
loro. Ma avrebbero voluto venire a Milano. E ognuno ci pregava di ricordarsi
di lui quando tornavamo lassù. Qualunque posto, pur di andarsene.
I loro padri ed i loro nonni a vent'anni erano partiti per l'America e
molti erano ritornati poi alla loro terra. Anche loro volevano andarsene
e in mancanza dell'America sognavano Milano. Solo che era meno facile per
loro andare a lavorare a Milano che per i nonni andare in America a cercare
fortuna.
Io provavo qualche volta a dire loro che
era necessario rimanere in paese e cercare di far qualcosa perché
la vita migliorasse, per uscire fuoridalla
loro miseria con la propria volontà. Ma subito dopo sentivo le mie
parole prive di significato e forse retoriche, davanti alla impossibilità
di fare niente di nuovo, senza mezzi come erano tutti laggiù. Certo
non era bello evadere, non era bello starsene con le mani in mano a sognare
di andarsene, ma a furia di non vedere mutare niente non si poteva non
desiderare di andare via, andare in un posto in cui ci fosse un pò
di lavoro e un pò di speranza.
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