Il Viaggio in treno verso Pomarico
(Dalle note di viaggio di Lucio)
Il treno, lasciato Battipaglia, saliva verso
la Lucania. Al finestrino dell'accelerato che ci portava su verso Potenza,
guardavamo fuori con gli occhi un pò sbarrati alla ricerca di quel
paesaggio in cui non si era spinto Cristo, come aveva scritto Carlo Levi
in 'Cristo si è fermato ad Eboli'.
Eravamo un pò infantili nella ricerca
di burroni, calanchi, montagne brulle, nello indicarcele l'un l'altro.
Ma per quanto ci dicessimo che il paesaggio dopo la piana del Sele era
veramente cambiato, che sembrava di essere improvvisamente in un altro
mondo, come appunto aveva scritto Levi, dentro di noi eravamo un pò
delusi. In fondo un paesaggio simile lo si vedeva anche in alta Italia,
bastava inerpicarsi un pò sulle montagne, addentrarsi negli Appennini.
A mano a mano che il treno saliva verso Potenza, ci additavamo sempre meno
i luoghi.
Poi, guardando un pò meno fuori,
cominciammo a pensare alle parole di Marselli. Che bisognava avvicinarsi
a quei paesi con umiltà e non con curiosità. Pensai, e lo
disse anche agli altri, che temevo che fossimo arrivati laggiù animati
da uno spirito superficiale: in realtà soprattutto per vedere terre
bruciate dal sole. E se questa terra fosse apparsa meno bruciata di quanto
si erano fissati nella fantasia?
Ci fermammo a Potenza per la notte. Una
città piena di gente, non molto diversa da altre del nord che conoscevamo.
Lì, allora, Cristo c'era arrivato?
Alla mattina ripartimmo. Ma ecco che dopo
Potenza il paesaggio diventò veramente terribile. Era la stagione
in cui il grano era appena stato falciato e tutto era immensamente giallo.
Le piante di grano segate a mezza altezza - i contadini non adoperavano
la paglia come spiegò uno sul treno, perché non avevano bestie
nella stalla - davano una strana impressione. Sembravano molto rade le
piante di grano, come se la terra fosse troppo poco fertile. Forse era
solo l'impressione per quello strano modo di falciare il grano o corrispondeva
effettivamente a poca fertilità della terra. Tutto quel paesaggio
giallo e polveroso ci dava uno strano senso di tristezza. Il treno correva
ora lungo il Basento e i calanchi non dovevamo certo faticare per cercarli
con l'occhio. Fortissima impressione ci fece il vedere Grassano posto in
cima al monte. Scendeva nel fiume come con immense zampe, tanto era spaccato
da burroni e calanchi. E fin sull'orlo dei crepacci si vedeva il segno
del grano falciato. Benché
l'immagine mi sembrasse un pò retorica, non potei fare a meno di
immaginare su quell'orlo di burrone un contadino che falciava il grano.
Ed ebbi un senso di sconforto infinito. Capii allora cosa significava il
paesaggio, quei burroni, quelle argille secche e desolate. Significavano
il contadino che ci lavorava su, disperatamente, per il proprio pane
senza companatico, era il caso di dire, anche se suonava enfatico. Smisi
di guardare fuori e me li vidi accanto sul treno quelle facce di contadini
che ero venuto a cercare fin da Milano. Non erano le facce strane, rugose,
con la fatica scritta nelle mani callose che mi ero immaginato. Prima,
come per il paesaggio, mi era figurato il contadino come una curiosità.
Ora, guardando quel contadino seduto di fronte, che aveva la faccia più
abbronzata della mia e due occhi fondi che mi guardavano ingenui, ma per
il resto niente di strano, provai un'improvvisa simpatia per lui, per la
sua faccia lucida sotto la berretta un pò sgualcita. E gli chiesi
di dove fosse e se era mai stato a Pomarico.
Scendemmo allo scalo ferroviario di Ferrandina,
Miglionico e Pomarico. Erano le 10 e 30 e subito ci accolse una luce accecante,
mentre con i sacchi e le valigie ci fermavamo sul davanti della stazione.
Una fontana e dei limoni che avevamo portato con noi ci rinfrescarono.
Dodici chilometri per andare a Ferrandina, 11 per Pomarico. Colla strada
rotabile che dopo il ponte sul Basento si inerpicava lassù. Pomarico
non si vedeva da qui. Ci si poteva andare anche per quella mulattiera che
saliva su dritta dritta senza un albero. Poi lassù in cima si sarebbe
visto Pomarico e c'erano ancora 4 o 5 km.
Questo ci diceva un giovane biondo, autista
di un camioncino addetto ai lavori dell'acquedotto dell'Agri. Era di Verona
e per prima cosa ci diede dei pazzi a venire in quest'inferno, che lui
se ne sarebbe andato appena possibile.
Davanti a noi la strada per Ferrandina
si inerpicava subito su un monte giallo, sparendo dietro ad una grossa
torre di argilla, gialla che sembrava di polvere e dovesse sparire in un
nuvolo appena soffiasse un po’ di vento. Invece ne usciva fuori un grosso
tubo e sotto un cartello che cominciava con la Cassa del Mezzogiorno e,
dopo aver nominato due o tre Enti, finiva per parlare dell'Acquedotto dell'Agri,
che si stava potenziando. Dall'ombra del platano sotto cui eravamo ad aspettare
vedevamo altri grossi cartelli più lontani ed indovinavamo, più
che leggere, la parola Mezzogiorno. Malgrado questi cartelli, un camion
ed il camioncino e giù nel fiume degli uomini che lavoravano, sembrava
di essere immersi in uno strano silenzio. Era forse solo suggestione di
essere appena arrivati in quel paese che non potevamo non pensare avesse
qualcosa di magico.
Dalle note di viaggio di Lino
Mentre i treno si addentra da Potenza nel
cuore della Lucania, costeggiando il Basento, in un paesaggio collinoso,
riarso, crepato e tormentato dai burroni di un colore tra il grigio e giallo,
bruciato, senza segno di case cominciai a sentirmi irrequieto ed eccitato.
Ecco la terra amara della Lucania, eccola. Si presentava subito in una
disperata solitudine e il lavoro dell'uomo vi si intuiva faticoso e scarso
di frutti. La natura qui è veramente arcigna, squallida. Il sole,
fuoco. Il treno si fermava a tutte le stazioni. Ma non si vedeva traccia
di paese alle stazioni, poche persone salivano, poche scendevano. Il capotreno
scambiava due chiacchiere col capostazione, poi via. E i paesi?
Bisognava cercarli lontano in cima ai
monti: addensati, le case strette le une alle altre, piccine, bianche o
grigie. Pareva che in tempi remoti di calamità e di miserie gli
abitanti avessero cercato rifugio lassù. E poi mai più avessero
cercato di tornare alle valli, fuori che per andare a lavorare. Ecco Grassano,
ecco Grottole, ecco Ferrandina.
Quando il treno entra nella valle del Basento,
dopo Potenza,ci
si presenta un tipico paesaggio. Paesi, asserragliati in cima ai monti,
che distano 10 - 20 km di polverose strade dallo scalo ferroviario che
da loro prende il nome. I monti scendono a valle con calanchi e frane che
sembrano artigli giganteschi, Fin sull'orlo dei burroni, fin dove era possibile
seminare grano, è arrivata la mano dell'uomo. Terreni poveri, lassù,
che producono solo 5 - 6 volte, od anche meno, la semina. Terra dall'aspetto
bruciato, dove il sole d'estate non da tregua. Pochi gli alberi rimasti,
che presto la fame di terre farà sparire.
Dai paesi alti, smisurati, i contadini
scendono per strade impossibili e interminabili. E' da una di queste strade
che ci apparirà Pomarico. Anche le falde del monte su cui poggia
Pomarico sono tipici calanchi di creta. Ma le sue case sono ferme, non
scendono a valle come avviene in altri paesi più disgraziati che
poggiano su un banco di argilla. Tra queste case bianche dove il riverbero
del sole impedisce agli occhi di stare aperti, ci apparirà l'uomo
lucano. Vecchi,
donne, e bambini, ché gli uomini validi, e spesso anche le donne,
sono giù nei campi in questa stagione, a trebbiare sotto il solleone.
Volti impassibili quasi al di fuori dell'avvicendarsi del bene e del male
in questo mondo. Bambini senza sorriso.
Questo il volto dell'uomo che ci apparirà
il primo giorno della Lucania. Ma quale ne è l'animo, ed è
possibile indagare in esso fino a scoprirne l'umanità, vera, il
senso della sua vita?
Fuori dalla stazione vi sono alcune vecchie
corriere: Pomarico, Miglionico, Ferrandina. Aspettano le coincidenze per
partire. C'è molta gente, tutta di qua: visi scavati, barbe lunghe,
scuri di pelle, sono vestiti poveramente con grossi scarponi grigi e tutti
hanno il berretto dei contadini del sud. C'è qualche donna vestita
di nero con lunghe calze di lana.
La corriera non parte. C'è un pneumatico
che non va. Ci ritiriamo sul marciapiede. Dopo un po’ la corriera è
pronta, saliamo, ci sistemiamo. No, non é pronta. Bisogna cambiare
altri copertoni. La corriera ora parte. Supera il ponte sul Basento, si
arrampica per la strada che va a Miglionico e a Pomaricco. La strada è
tortuosa, ogni tanto si intravede sotto la valle del Basento. Ogni volta
la vista si fa più ampia, la stazione rimpiccolisce.
A un bivio la corriera prende per Miglionico.
Poi dovrebbe tornare indietro fino al bivio e proseguire per Pomarico.
Ma a un tratto si ferma. Cosa è successo? La corriera è rotta.
Un contadino disse: "Adesso bisogna aspettare
che passi qualcuno per Pomarico, per avvertire. Così poi vengono
a prenderci con l'altra corriera." Tutti scesero, salvo le donne. Appoggiati
al muretto con la schiena rivolta verso la valle, alcuni chiacchieravano,
alcuni tacevano.
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