dagli appunti di Lino, estate 1954
La storia di Manuela
Quando Manuela si mise col vecchio Donato
era ancora abbastanza giovane, aveva appena trent'anni.
Le capitava a volte nel corso della giornata,
di sorprendersi improvvisamente immobile e con lo sguardo fisso verso le
lontane terre del Materano.
Si scuoteva allora, e s'arrabbiava un
poco con sé stessa. Ma come? Lei Manuela aveva dei rimpianti, cosa
desiderava ora che aveva tutto: la casa e la sicurezza del "pane".
Certo, Donato era vecchio, e con ciò?
La picchiava? No. Si ubriacava? No. Le faceva mancare qualcosa? No, no,
no. Con questa fila di no, urgeva in lei imperioso il bisogno di alzarsi,
di muoversi, di far qualcosa. Contraendo il volto per non piangere, usciva
un attimo, scambiava due chiacchiere con Nunziata la vicina di casa che
stava allattando l'ultimo nato seduta sull'uscio. Sorrideva Manuela col
suo splendido sorriso alla creatura, e tornava in casa a lavorare.
Ecco, anche i vicini la "trattavano" e
le volevano bene. Cos'era quindi quel qualcosa che la turbava a volte e
la rendeva distratta ed insofferente, o provocava in lei quegli strani
fantasticare, quella mestizia ingiustificata?
Rifaceva allora la storia della sua vita,
di quando era cominciata la sua vita. Aveva 16 anni, i suoi occhi erano
ancora pieni d'innocenza, però il suo sguardo già appariva
velato di pudore, quando passando per i paese si sentiva guardata, con
occhiate impercettibili e intense dagli uomini.
Fu in quel periodo che Giovanni le mandò
l'imbasciata. "Quello ti vuole, è un bel giovane, e ti piglia così
senza niente, perché ti vuol bene, figlia mia, un occasione così…"
Da quali bocche uscivano quelle parole
che parevano un miele velenoso e la lasciavano pensierosa d un po’ nauseata?
E se non vado con lui, chi mi piglia, senza un soldo, in questo paese orribile.
E pensava anche alle belle terre lontane,
al paese nuovo ove sarebbe andata, ricca e invidiata perché il marito
aveva la casa e un po’ di terra.
E quando venne l'ottobre e il vento incominciò
a fischiare per le gole dei monti, e alla notte le veniva un senso d'angoscia
per il pensiero dell'inverno imminente e delle interminabili giornate fredde
e squallide da passare in casa, decise.
A Grottole si trovò bene coi nuovi
parenti, ma con Giovanni andò d'accordo solo per un anno. Poi nacque
il bambino, e lei premurosamente lo rimirava, e lo allattava con tenerezza
e lo quietava quando strillava.
Giovanni fu allora che cominciò
a disertare la casa, perché non sopportava quegli strilli; andava
alla cantina e si ritirava tardi e ubriaco. Cominciò così
e poi sempre peggio col passare degli anni. E lei dapprima a piangere e
a pregare e a consumarsi, poi col passare degli anni piangeva sempre meno
e imparava anche a difendersi dalle botte. Finché si decise e si
separò.
Con che gioia respirò il giorno
dopo la separazione, quando svegliandosi, si ritrovò in un cantuccio
della masseria di don Pasquale Cimmino, e Grottole lo vide lontano sul
monte, che sembrava quasi allegro nella prima luce del mattino. Si guardò
in un piccolo specchio che aveva con sé: quanto era mutata dalla
bruna ragazza che era andata a stare a Grottole sette anni prima. Il volto
s'era indurito e lo sguardo era fermo adesso e deciso:
E ora: la vita? … E i bambini? Rabbrividì
al pensiero di non vederli più; la suocera e tutti erano stati espliciti
nel dichiararglielo. Ma del resto si accorse di soffrire meno di quanto
s'era immaginata. Fu contenta di ciò, come di un senso di forza
che prima non aveva, la vita era così, scelta una strada bisognava
tirare avanti e non avere rimpianti: E Poi: che rimpianti? La fatica, le
botte, il pane stentato, l'animo irrigidito in un continuo timore? Che
rimpianti… sì certo, i bambini… e pianse.
Dove le trovò le lacrime per piangere
tutto quel tempo, lei cui s'era seccato in gola il pianto per i continui
patimenti, e credeva che le si fosse inaridito per sempre il cuore?
Don Pasquale Cimmino era buono, la vita
riprese fatta di fatica continua, ma almeno mangiava, dormiva. Il lavoro
era bello e brutto a seconda delle stagioni, ma lei era forte e "lavoratora",
e anche quando il caldo era tale che pareva di impazzire e sembrava che
dal sole venissero palate di fuoco, lei lavorava, con gli occhi socchiusi
per via della luce abbagliante e senza smettere mai, fuori che per asciugarsi
i sudore.
Continuò così per più
di un anno. Lei ne frattempo era tornata bella, e gli uomini tornarono
a desiderarla. V'era qualcosa di feroce nel suo sguardo, nel suo ridere
con quei bei denti bianchissimi, che eccitava gli uomini della masseria,
ma nessuno riusciva a far niente, finché non ci fu Aldo. Nel pensare
a quel nome Manuela si sentiva mordere il cuore.
Aldo. Aldo era l'unico affettuoso e gentile
e sincero, Aldo era perfetto, e Manuela dopo le notti d'amore roventi,
al primo mattino svegliandosi piena di languore lo osservava ancora addormentato
com'era e, aggiustandosi mollemente i capelli sulla nuca, si sentiva come
stordita e felice. Un dolce sole filtrava attraverso le imposte, e si intuiva
prossima la primavera.
Certo aveva perso il senso di quel che
faceva, ma quando restò incinta cominciò di nuovo a pensare:
lei era divisa dal marito, e Aldo era ancora sottoposto alla famiglia e
non sapeva imporre la sua volontà.
Manuela si presentò col figlio
dalla madre di Aldo, umilmente chiese che Aldo almeno riconoscesse il figlio,
era anche suo; ma la madre di Aldo approfittò dell'occasione per
riempirla di insulti e dirle che le aveva rovinato il figlio e tante cose.
Manuela aveva imparato a non essere orgogliosa quando era necessario; pregò,
pianse per il bambino, fu inutile.
Allora, se lo strinse tra le braccia,
e tornò alla masseria. Quando arrivò Aldo con la testa bassa
e lo sguardo vuoto, lei non fece grandi tragedie; "Basta - disse, e la
sua voce era terribile e disperata - Non credere che io stia ancora a fare
la puttana appresso a te. Vattene." E lo vide allontanarsi, mentre lei
tremava tutta.
E ora? Nuovi problemi e il lavoro continuo,
col bambino appresso. Se lo guardava sempre la povera creatura e pensava
a come sarebbe cresciuto, bastardo, e forse da grande avrebbe disprezzato
anche lei. Almeno per gli altri suoi figli era come morta.
Eppure se lo sentiva tutto suo e prese
così nuovo gusto alla vita, anche se più aspra di prima.
Nella masseria le volevano bene; da che aveva avuto il bambino aveva perso
la fierezza di prima ed era tornata a essere una mamma, non si preoccupava
più per sé, ma solo per il piccolo, anche nel vestirsi e
nel portamento. Pensava che, certo, sì, non aveva nulla, e morta
lei non gli avrebbe potuto lasciare nulla, ma finché poteva lavorare,
il pane e la casa non gli sarebbero mancati.
Invece le morì, che l'aveva appena
svezzato e già gioiosamente tendeva le manine a tutti e giocava
con le bambine della masseria.
Da allora si sentì improvvisamente
perduta, come non si era mai sentita prima così vuota di forze e
di volontà. Si chiuse come in una corazza d'indifferenza, ma quand'era
sola si sentiva stringere il petto dalla paura. Aveva paura. Cosa avrebbe
fatto divenuta vecchia senza nessuno, senza niente.
Morire di fame.
Ormai non si rendeva più conto
di nulla: tutti le avevano chiesto qualcosa, non aveva mai avuto nulla,
nulla, nulla.
Cominciò a desiderare una casa sua,
con mobili suoi, qualcosa si sicuro. E quando il vecchio Donato, anch'egli
diviso dalla moglie, le fece pervenire la proposta di andare a vivere con
lui, lei che lo conosceva già bene e sapeva delle sue disgrazie,
e che era un uomo buono, accettò.
Tornò a vivere in un paese: Pomarico.
Si fece amica di tutti nel vicolo, fu rispettosa e rispettata.
Qualcosa della sua bruna bellezza era
rimasto nel sorriso scintillante di quando era giovane. Ma che importanza
aveva essere bella, ora basta, e alla sera quando il tramonto riempiva
la valle di ombre e di pace, e Donato tornava dai campi e mungeva la capra,
Manuela capiva che aveva scelto la via giusta e che quei turbamenti che
la immalinconivano a tratti, col tempo a mano a mano sarebbero spariti.
|