Ricordi di un viaggio nel profondo Sud

 



Gilberto-Antonio Marselli, allora assistente del prof. Manlio Rossi-Doria alla Facoltà di Agraria di Portici, descrive l'incontro con i tre milanesi. Come li accolse a Napoli prima e come se li vide arrivare carichi di sensazioni, idee e voglia di fare qualcosa, dopo il mese trascorso a Pomarico.
 
 
Portici, ottobre 1955
NORD E SUD, OVVERO TRE MILANESI ALLA SCOPERTA DEL SUD

In questi ultimi anni il numero di coloro che per un motivo o per l'altro hanno voluto viaggiare attraverso il nostro Mezzogiorno è andato man mano aumentando e deve senz'altro riconoscersi che gli stranieri - primi tra tutti gli americani - hanno di gran lunga superato gli altri. 

Dal semplice  turismo si è facilmente passati ai viaggi di studio, ai trips attraverso la grande area depressa. Agli itinerari preparati dalle agenzie di viaggio sono stati sostituiti quelli che - invece di toccare Capri la costiera Amalfitana, Paestum, Taormina, le zone archeologiche della Magna Grecia, le Grotte di Castellana, la Fiera del Levante - preferiscono passare per Eboli ed i centri interni della Campania, per il potentino interno, il lagonegrese, il materano, la Sila, il Marchesato di Crotone, l'Aspromonte, la piana di Catania, la zona dei trulli, l'Arneo, il Tavoliere, il basso Molise. 
E dopo il primo giro d'orientamento, molte volte si è avuto un soggiorno più o meno lungo in questo o quel paese al fine di studiarne i suoi problemi. 
E' cominciata così un'altra fase della nostra letteratura meridionalista. Alle antiche  inchieste parlamentari, agli studi dei nostri. tecnici  meridionalisti, alle opere letterarie e folkoristiche si sono venute ad aggiungere le relazioni a carattere sociologico, gli studi più vari compiuti con diverse metodologie ed aventi le più diverse finalità. 

Ai primi di agosto mi accingevo a partire per uno di questi viaggi attraverso il Sud, accompagnando un professore americano interessato ai problemi delle aree depresse, quando mi si presentarono tre giovani milanesi.
Un loro conoscente romano che avevo precedentemente incontrato a Savoia di Lucania quando girava la regia di un documentario, li aveva indirizzati a me che da tempo ho la fortuna di lavorare presso il Centro di Sociologia Rurale diretto dal Prof.  Manlio Rossi-Doria.
Brevemente e con estrema sincerità mi dissero di essere laureati chi in Fisica e chi in Chimica, estranei ad ogni interesse sociologico e meridionalista, impiegati in attività industriali milanesi, desiderosi di trascorrere il loro mese di ferie in un posto diverso dagli altri. Il Mezzogiorno avrebbe potuto fare al loro caso tanto più che preferivano una soluzione del tipo campeggio a quella, invece, di un soggiorno in alberghi od in centri costosi. Anzi portavano con loro una macchina da ripresa 16 mm per tentare di mettere su un documentario, che, forse, a ferie  finite avrebbe potuto risolversi in un provvidenziale rinsanguamento delle loro casse personali. Infine il Mezzogiorno li attirava perché avrebbero voluto conoscere più da vicino i "terroni" ed il loro mondo. 

Il discorso chiaro ed esplicito come ho cercato di riportarlo, mi ispirò subito un senso di fiducia  verso chi, finalmente, non esitava a mettere sul tavolo le proprie carte. Troppa gente, purtroppo, ed anche meridionale, ha più volte attraversato le nostre regioni predando a man bassa  nell'intimo dei nostri contadini per proprie speculazioni personali mascherandole dietro un ipocrito interesse scientifico, magari giungendo a promettere interventi che mai si avvereranno, ma, invece, sempre considerando la nostra gente ed i nostri paesi come impressionanti pezzi di un museo umano. 
Proposi loro Pomarico, un centro della provincia di Matera, dove avrebbero potuto valersi dell'aiuto di alcuni miei amici: Don Mariano e Donna Jole. Appoggiai questa proposta mostrando un mio album fotografico che ha cercato di fissare, per mio esclusivo uso e consumo, quanto quotidianamente ho potuto vedere nelle mie peregrinazioni nel Sud ed aggiunsi,  a commento, brevissIme considerazioni personali sui vari paesi e sui problemi più scottanti della vita d'ogni giorno di queste popolazioni. 

Il discorso tra noi cominciò a cambiare: nuovi argomenti e nuovi interessi affiorarono poco alla volta. Uno dei tre aveva letto i "Contadini del Sud" di Rocco Scotellaro. Gli erano rimasti dei forti dubbi; comunque il libro gli aveva lasciata una profonda curiosità per il mondo contadino meridionale. Solo ora si accorgeva che, involontariamente, la loro prima tappa verso il Sud era stato il Centro di Portici, alla cui costituzione tanto aveva lavorato Rocco. 
Indubbiamente fu allora che qualcosa nel loro programma andò mutandosi. Comunque, avuta da me una lettera di presentazione e le necessarie informazioni per poter raggiungere Pomarico, mi lasciarono e di loro non seppi più nulla per un mese.

Confesso che, dopo i primi giorni, mi ero quasi dimenticato di loro. Un pomeriggio vennero a trovarmi a Portici e, con la stessa concisa sincerità, cominciarono il loro racconto. 
Le ferie si erano trasformate in giorni di estrema attività; si erano immersi senza alcun risparmio nei problemi di Pomarico; avevano stretto indimenticabili rapporti di amicizia con la gente più strana. In altre parole avevano scoperto un altro Sudmolto diverso da quello finora da loro conosciuto; era stato gettato un altro ponte tra loro e il Sud, molto più modesto di tanti altri,  ma anche più sincero e spontaneo.
La loro relazione fu molto confusa: si vedeva che dentro ciascuno di loro c'era molto, forse troppo; né la breve sosta a Castellamare - dove abitano dei parenti di uno di loro - aveva consentito di mettere un po’ d'ordine in tutte le loro reazioni. 

Questo nostro secondo contatto, fu chiaro subito, avveniva su un altro piano. Avevamo, ora, una piattaforma comune e fu molto bello, per me, vedere i tre milanesi accendersi per quegli stessi problemi che mi avevano acceso al mio primo contatto con quella realtà. 
Mi avrebbero mandato i loro appunti; ci sarebbe voluto del tempo, però, perché non avevano il coraggio di pensare alle possibilità di scrivere quanto avevano vissuto. Una cosa era certa: le prossime feste sarebbero state dedicate al Sud e questa volta il programma sarebbe stato chiaro sin dalla partenza. Ormai volevano inserirsi, limitatamente alle loro possibilità e capacità, nel movimento meridionalista: lo sentivano come un loro diritto più che dovere.

Ancora dopo un mese mi giungeva una loro lettera: "... Ci dispiace di scrivere solo ad un mese di distanza dal nostro ultimo incontro. Ma questo non significa che ci siamo dimenticati del Sud; ma bensì che abbiamo dedicato ad esso tutto il nostro tempo. Spinti dalla necessità di fare soldi per sviluppare la pellicola che abbiamo girato a Pomarico, come lei ci aveva consigliato, abbiamo cercato di mettere giù le nostre idee: ne abbiamo tirato fuori sei lavori." 
"… Durante il nostro ultimo incontro le abbiamo parlato di quanto la nostra esperienza ci avesse agitato. Ed anche se saremmo stati capaci  di dedicare tutta la nostra attività al Sud. A parte le considerazioni di carattere pratico, l'entusiasmo che abbiamo messo in questo mese che siamo ritornati a Milano nell'impiegare tutto il tempo libero per rielaborare la nostra esperienza, ci permette di rispondere affermativamente a questa domanda. Il meno, quindi, che possiamo fare è di dedicare tutto il tempo libero al Sud, fino alle vacanze prossime, in cui intendiamo ritornare laggiù. Intanto desidereremmo prendere contatto con ambienti milanesi che si interessano al Sud positivamente, se ce ne sono."

E' cominciato, così, un dialogo a distanza che, però, mi attira e mi appassiona - a me meridionale e 'meridonalista' - molto di più che non tante intellettualistiche conversazioni così facili, oggi, qui da noi.
La 'questione meridionale'  - è, ormai, un dato di fatto - è una questione nazionale e non può rimanere circoscritta in ambienti limitati. E' giusto, quindi, ed un fatto positivo che anche giovani milanesi, non professionalmente interessati a questi problemi, si siano uniti a quanti, in un modo  od in un altro, oggi lavorano nel Sud per il Sud.
Nel maggio 1949, infatti, Gaetano Salvemini così concludeva la sua prefazione all'antologia della questione meridionale curata da Bruno Caizzi: "Bisogna, dunque, ripetere all'Italia Settentrionale - anche a chi non vuole sentire, e sono sempre molti sebbene mi pare siano meno di cinquant'anni fa - che i nordici debbono occuparsi non solo di sé stessi, ma anche dei sudici, se non vogliono trovarsi a mali passi."

Con tale spirito ho creduto opportuno presentare queste due biografie di un contadino piccolo proprietario coltivatore (Ciccillo) e di una contadina dalla vita avventurosa e sfortunata (Manuela) di Pomarico.
Non sono in grado - e non sta a me giudicare - di considerarle da un punto di vista estetico: possono anche non avere alcun valore letterario e sociologico. Conserveranno pur sempre, però, un valore umano, anzi un duplice valore umano: quello proprio dei due personaggi presentati e, forse anche più importante, quello degli autori che, quasi a voler meglio caratterizzare questa loro partecipazione anonima ai nostri problemi, preferiscono, dovendolo, firmare in società ogni loro scritto.
Chi voglia trovare il lavoro letterario, scientifico, sociologico e tecnico è bene, forse, che non si soffermi sulle pagine che seguono; queste sono dedicate a quanti, umilmente e nel loro intimo, potranno gioire di sapere che sono il frutto di un'avventurosa esperienza quale l'ho presentata.
Ed i dattiloscritti originali mi sono giunti accompagnati da una lettera nella quale è scritto, tra l'altro: "… la nostra esperienza è stata limitata e, come lei sa, di carattere prevalentemente sentimentale. In questo senso è stata un'esperienza fortissima, che ha lasciato in noi quelle tracce profonde che lei sa. Ma da qui a riuscire a mettere giù qualcosa di concreto il passo è difficile e ci preoccupa".

Penso che sotto questa luce le storie di Ciccillo e di Manuela possono avere, in ogni modo, un loro significato.

Gilberto-Antonio Marselli