Favolette per Pietro e Sara
<BGSOUND SRC="ritmo.mid" LOOP=0>

11 febbraio 2000
 
    Mehmed viveva in un paesino della ricca Brianza. Mehmed però era povero. La sua famiglia veniva dal Marocco. Il papà lavorava come muratore e portava a casa ogni settimana la paga. Ma in famiglia erano in sette, papà, mamma e cinque fratelli. Mehmed aveva sette anni ed era il più grande. L'ultima era nata da quattro mesi: Ziza, una bimba con grandi occhi neri e capelli già riccioli e neri.
    Mehmed abitava in un unico grande stanzone in fondo ad una vecchia corte. Nella corte abitavano tanti altri bambini. Le loro case erano più grandi e più belle. Tutti avevano il televisore con l'antenna a parabola, vedevano le partite di calcio sui canali a pagamento, i ragazzi giocavano tutto il giorno in casa con le play station. Quando uscivano avevano la mountain bike e giravano su e giù per i viottoli ancora col selciato di sassi del vecchio paese.
Era difficile per Mehmed giocare con loro. Lui non aveva niente. E c'erano dei ragazzi cattivi che lo prendevano in giro: "Mehmed, dicevano, è ancora bucata la tua bici?" E Mehmed taceva e sorrideva. Il più cattivo era Carletto, che aveva una doppia play station e la mountain bike con un cambio a quindici velocità. Passandogli  davanti, si alzava sul sellino e gridava: "Mehmed, cosa hai mangiato oggi? Il couscus con le rape?"

    Era arrivata finalmente la notte di Natale che tutti aspettavano. La mattina dopo già presto si sentivano nella corte le grida giocose dei bimbi usciti per mostrare agli altri i propri giocattoli. E qualcuno già litigava perché il suo era … Si sentiva anche un rumore come di una moto a tutto gas - wroom … wrooommm - su e giù per la corte. Mehmed seduto su una panchina di pietra in un angolo, guardava i bimbi ed i giocattoli che aveva portato Babbo Natale.
    Da lui Babbo Natale non era andato. La sua famiglia era mussulmana e non credeva a Babbo Natale. Così la renna arrivata davanti alla porta dello stanzone, tirò di lungo. E' vero che i negozi erano pieni di bei giocattoli e che Mehmed tutta la vigilia era rimasto con il viso appiccicato alla vetrina sfolgorante di luci del negozio di giocattoli nella strada appena fuori della corte. Ma se non ci pensa Babbo Natale per i giocattoli, allora ci vogliono i soldi … E il babbo a mala pena riusciva a dare da mangiare a tutti in quella numerosa famiglia. Mehmed capiva e non era triste. Guardava i ragazzi sorridendo.

    Carletto era lui che faceva quel rumore, wroom ...wroom. Babbo Natale gli aveva portato un modello di Ferrari, grande tutta rossa e telecomandata. Aveva un motore a benzina che si accendeva e con il telecomando si poteva far partire la Ferrari, accelerare, girare, tornare indietro. Wroom .. wrooommm.
    Carletto, con malizia, faceva arrivare l'automobilina quasi addosso a Mehmed, wrroomm. Poi di colpo la faceva girare e via. Mehmed a vedersi venire addosso quel bolide un po’ si spaventava. Carletto sghignazzava: "Chissà quante cose buone mangerai oggi che è Natale. Immagino che tua mamma ti abbia fatto il couscus, il couscus con … le rape. Ah, ah, aha!"

    Gli altri ragazzi non erano così maligni. Giocavano con i loro nuovi giocattoli. Correvano dietro a palle multicolori, suonavano trombette, uno perfino una chitarra. Ma non riuscivano a far lega con Mehmed. Forse perché era sempre taciturno e serio, forse perché era povero…
    Luigina, una bimba grassoccia di quattro anni, era uscita di casa con la bocca piena di cioccolatini ed aveva in mano una grossa fetta di panettone. Andò verso Mehmed, gli sorrise e gli porse la fetta di panettone. Mehmed scosse la testa. Ma Luigina insisté, con un così bel sorriso che Mehmed prese la fetta e rispose al sorriso, mentre si riempiva la bocca con la dolce fetta piena di uvetta e canditi.

    Mehmed guardava in silenzio e sorrideva. Ma il sorriso ora era diverso. Ma non era per la fetta di panettone. O non solo. Gli era venuta un'idea ed ora con quella idea in testa il suo sorriso era quasi di sfida.

    Finite le feste di Natale, il giorno del mercato tutta la piazza del paese si riempiva, come sempre, di banchetti. Il pomeriggio quando i banchi se n'erano andati, la piazza sembrava una discarica. C'era carta, cartaccia, scatole di cartone e cassette di legno della frutta dappertutto. Poi arrivavano gli spazzini a fare pulizia. Quel giorno prima di loro arrivò Mehmed. Si guardò intorno e scelse la più bella cassetta di legno che trovò. Raccolse anche un paio di tavole da una cassetta rotta ed una vecchia scopa.
    Mentre si avviava verso casa, si sentì … caì..ì! caì..ì!  Quell'omaccione del macellaio era fermo sulla porta del negozio con un grosso coltello in mano. Inveiva contro qualcuno. "Io pago le tasse e loro, quei lazzaroni di guardie, se ne stanno caldi al caffè a chiacchierare. E così questi vecchi cagnacci abbandonati girano e sporcano dappertutto. I loro padroni li abbandonano, perché sono vecchi e le guardie non li accalappiano. Guarda in che mondo viviamo." Poi mentre rientrava in bottega continuò a gridare che in fondo questi cagnacci gli facevano pena e che per loro molto meglio era la camera a gas del canile che canile che morire di freddo e fame per le strade.

    Mehmed si era fermato a sentire. Poi s'incamminò con le cassette in mano. Un cane lo seguiva. Non deve mai essere stato un bel cane. Un cane da pagliaio, pensò Mehmed. Ora era anche tutto spelacchiato e camminava a fatica. Mehmed si fermò e si voltò a guardarlo. Il cane si fermò. Mehed gli sorrise. Il cane piegò la testa di fianco e lo guardò con due occhi umidi. "Come ti chiami?" Il cane che risentiva ancora la pedata del macellaio, fece…  caì! caì! "Ti chiami Kaic. Non mi pare un gran bel nome. Ma forse per voi cani è un nome importante. Anch'io, secondo i cristiani, ho un nome buffo: Mehmed. Ma per noi mussulmani è un nome bellissimo ed importante. E' il nome del Profeta. Ciao, Kaic."
    Arrivato nella corte di casa sentì che il cane lo aveva seguito fin lì. Mehmed entrò in casa ed uscì con un pezzo di pane ed una ciottola con del latte. Kaic si avvicinò, dimenò la coda, bevve e mangiò tutto. Poi si sedette di fianco alla soglia di casa.

    Mehmed intanto era arrivato con un martello, dei chiodi ed una sega. Da quella delle due cassette che era rotta ricavò due strisce di legno lungo e le inchiodò alla cassetta buona. Come due lunghi manici. Poi afferrò il bastone della scopa, prese le misure e lo segò. Lo inchiodò   sotto la scatola in modo che ne spuntassero due pezzi lunghi cinque dita da una parte e cinque dita dall'altra. Inchiodò il bastone sotto la cassetta, a metà. Kaic stava lì seduto a guardare. Mehmed segò via da un'altra tavola due pezzi quadrati. Con un grosso chiodo ne fissò uno ad un estremo del bastone e l'altro dall'altra parte. Rigirò la casetta che ora stava appoggiata sui due pezzi di legno quadrati. Le tavole lunghe uscivano davanti come due stanghe.

    Ma sì, avete indovinato, era proprio un carrettino. Peccato che le ruote fossero quadrate. Ma era un po’ difficile con quella grossa sega ritagliarle rotonde. Mehmed guardò orgoglioso il suo piccolo capolavoro. Anche Kaic sembrava soddisfatto. Mehmed alzò il carrettino e fece girare le ruote con la mano. Dopo un poco, giravano bene attorno al chiodo che faceva da perno. Proprio come due ruote. Si poteva tirare quel carrettino con le ruote quadre? Mehmed legò uno spago in cima alle stanghe, posò il carretto per terra e tirò. Dapprima le ruote strisciarono. Poi, sui sassi dell'acciottolato un po’ sconnesso della corte, cominciarono a girare. Oplà, ora su ora giù. E, a scossoni, il carretto procedeva.
    Kaic scodinzolava attorno e guaiva di approvazione. Mehmed lo guardò e gli disse: "Ti piacerebbe diventare un cavallino? Eccoti accontentato." Legò lo spago tra le due stanghe in modo da fare una specie di basto. Poi lo passò sopra il dorso del cane. Gli legò lo spago attorno alla vita. "Eccoti trasformato in un bel cavallino. Ora tira, Kaic." E Kaic tirò. Il carrettino lo seguiva. A sbalzi, mentre la ruota quadra girava, to…toc, to…toc, to..toc … to..toc.

    Felici e beati, se ne andarono assieme per le strade del paese. I passanti ridevano a vedere quei due con il carretino a ruote quadre: "Guarda che bravo inventore è Mehmed: ha inventato le ruote quadre."
    Ma se i grandi ridevano con affetto, i ragazzini, che intanto avevano visto quello strano coso di Mehmed, gli correvano dietro e giravano attorno sghignazzando. "Babbo Natale ha portato a Mehmed un carrettino con le ruote quadre. Ah! Ah! E che bel cavallino che ha trovato. Che razza è? E' uno stallone arabo?"  E giù a sghignazzare. Carletto poi, gli faceva girare vorticosamente attorno la sua Ferrari rossa telecomandata. Voleva spaventare il cane. Ma né Mehmed né Kaic, se ne curarono. Erano felici con il loro bel giocattolo. Il più bello di tutti.

    I giorni successivi erano ancora di vacanza. La mamma di Mehmed lo mandava a raccogliere il radicchio selvatico ed il tarassaco nei campi. Lui ora ci andava con il carrettino tirato dall'ormai inseparabile spelacchiato Kaic. Al ritorno, il carrettino era carico di insalata. Gli scossoni delle ruote quadre si rivelarono molto utili, in quel caso. Ad ogni scossone, quattro per ogni giro di ruota, quattro da una parte e quattro dall'altra,  un po’ del fango attaccato alle radici del radicchio si staccava. Arrivato a casa neanche più un grumo di fango vi era rimasto attaccato. L'insalata era pulitissima. Bastava solo dargli una lavata.

    Poi le vacanze di Natale finirono. Mehmed, che frequentava la seconda elementare, posò i suoi libri sul carrettino. E Kaic lo accompagnò fin davanti la scuola. Gli altri ragazzi portavano i libri in bellissimi zaini colorati, firmati. Ma Mehmed li legava solo con dello spago. Ed era facile che ogni tanto un libro si sfilasse dal mazzo e cadesse per terra. Gli altri ragazzi ridevano. Ma ora con il carrettino, era tutto un'altra cosa. I libri posati sul pianale del carrettino arrivavano a scuola senza fatica e senza pericolo di cader per terra.
    Gli altri ragazzi si erano ormai abituati a quel curioso spettacolo e continuarono ad ignorare Mehmed, come avevano sempre fatto. Un po’ perché lui era un tipo silenzioso. Un po’ perché era il primo della classe. Come facesse, un tipo così, senza televisore, senza play station, senza mountain bike ad essere il primo della classe, i ragazzi non riuscivano a capirlo. Forse la cosa era un poco misteriosa. E così, se lui non si mescolava con loro, loro non lo cercavano.

    Passarono i mesi, finì la scuola, arrivò l'estate. Kaic era sempre spelacchiato, ma per il resto sembrava essersi rimesso in salute. Mehmed gli dava da mangiare, quel poco che riusciva ad avanzare dalla loro tavola. Ma, si sa, se c'è da mangiare per sette, ce n'è anche per otto. Non zoppicava neanche più. Anche perché era difficile tenere il passo con il carrettino che alzava le stanghe ora su, ora giù se il cavallino avesse zoppicato. E così Kaic non zoppicava più.
    Un pomeriggio, mentre andavano a zonzo per il paese, passò un camion stracolmo di angurie. Le angurie erano messe a piramide sul camion e superavano i bordi. Il camion centrò una buca proprio mentre sorpassava i nostri due amici.

Per la scossa, una grossa anguria si staccò e rotolò per terra fino a fermarsi tra le zampe di Kaic. Mehmed la raccolse, corse gridando dietro al camion. Ma quello era ormai lontano. Così posò l'anguria sul carrettino. A casa con quel caldo i fratellini avrebbero certamente apprezzato una bella fetta di anguria.
    Il carrettino con le sue ruote quadre procedeva sballottando. Era vero che le ruote un poco avevano smussato gli angoli a furia di girare. Ma pur sempre ad ogni giro di ruota vi erano quattro scossoni di qua e quattro di là. To… toc, to…toc. La povera anguria forse non gradì molto il trattamento. Non era della stessa stoffa del radicchio selvatico. Era grassa e gonfia. Cominciò a screpolarsi. Poi la screpolatura si allargò, si sentì uno scricchiolio. Poi uno scoppio. Sissignori. L'anguria era scoppiata.  
    La polpa rossa era andata tutta addosso al povero Kaic. I semi neri si erano tutti appiccicati alle ruote quadre. E la buccia di un bel verde chiaro a strisce? Aveva ricoperto tutta la cassetta dentro e fuori. Mehmed aveva fatto un salto indietro e si era messo la mano davanti agli occhi sentendo lo scoppio. Un po’ di polpa rossa lo aveva raggiunto sui capelli. Quando riaprì gli occhi, non poté credere a ciò che vide.  Kaic si era completamente trasformato. Da spelacchiato che era, aveva ora un bellissimo pelo lucido e rosso, due orecchie belle larghe e mobili. Le ruote… guarda, guarda. I semi neri si erano appiccicati in modo tale da fare due ruote tonde tonde, che neanche Giotto avrebbe tirato un cerchio così tondo. Ed il carretto? Quelle sgangherate assi della cassetta dell'ortolano erano ora verniciate di un bel verde chiaro a strisce, lucide che sembravano tirate a cera.
 

    Kaic, si alzò impettito sulle sue quattro zampe, poi partì al galoppo tirandosi dietro il carrettino che ora filava liscio dritto e veloce come se viaggiasse su un cuscino d'aria. Mehmed gli correva dietro felice.

Mi dispiace, il vostro browser non supporta Java(tm).
    I ragazzi erano a giocare nella corte. Quando entrò Mehmed si sentì un coro di  "Oh! Oh! Oh!"  I ragazzi smisero di giocare, si misero in tondo attorno a Mehmed, a  Kaic ed al carrettino. "Mehmed, chi ti ha dato un così bel carretto? Come hai fatto ad averlo? E cosa è successo a quel vecchio cane spelacchiato?" Carletto prese la sua Ferrari rossa, la sollevò e la posò delicatamente sul carrettino. "Me la lasci portare un po’ in giro sul tuo bel carrettino?" Carletto aveva ora un dolce sorriso.

    Ah, dimenticavo. In mezzo alla testa Mehmed aveva ora un bel ciuffo di capelli rossi. Proprio o stesso colore del pelo del cane.