Favolette per Pietro e Sara

 
Febbraio 1997
   Un crepitio, una folata di vento. Con grande fragore si era separato dal resto e come una grande bianca montagna era precipitato in mare. Ci aveva messo un milione di anni per arrivare fino al fronte dell’oceano. Millimetro dopo millimetro, anno dopo anno era avanzato dal polo nord, spinto dalla massa di ghiaccio che gli stava dietro. Nel viaggio si erano formati crepacci che poi ogni anno, nella lunga notte invernale polare, si riempivano di neve che si rinsaldava in ghiaccio.
    Per quanto fredda l’acqua del mare al polo, per lui era calda.  Cominciò subito a liquefarsi un poco. La corrente ed il vento lo trascinarono al largo. Emergeva fiero, bianco e frastagliato, dalle acque, ma la parte più grande era nascosta sotto.
    Qualche grosso pesce cominciò ad esplorare i suoi crepacci sottomarini. Ed il calore dei pesci contribuiva a liquefare la sua superficie. Ogni tanto un grosso lastrone di ghiaccio si staccava da sotto e saltava su all’improvviso fuori dall’acqua con grandi spruzzi, per poi posarsi a galleggiare semisommerso vicino.
    A poco a poco perdeva peso, la superficie si smussava e si levigava. Ma la sua mole di ghiaccio era talmente grande che ce ne sarebbe voluto del tempo per liquefarla tutta. E così la montagna bianca cominciò il suo viaggio, due terzi sott’acqua un terzo fuori, al vento.
    Spinta dalla corrente del golfo entrò in acque più calde. Via via diventava più piccola, ma anche più arrotondata. Ogni tanto un urto con qualche montagna bianca anch’essa  proveniente da lontano faceva saltare via qualche pezzo intero.
    Ci fu un grande trambusto quando una notte urtò una nave. Ma nessuno si fece veramente male. Solo un grande spavento.
    Una balena un giorno gli girò attorno e si divertì a fargli un grande sbruffo  caldo caldo che arrotondò un po' di più la punta emergente. Sulla sua cima si riposavano gabbiani ed uccelli navigatori di tutti i tipi, con grande frastuono di chiacchiere. Arrivato allo stretto di Gibilterra la cima si era ormai così assottigliata che solo un paio di gabbiani e un anatra vi trovarono posto. L’acqua calda del Mediterraneo accelerò la perdita di peso. La sua forma era ora di un uovo, enorme, se si vuole, rispetto alle più grandi uova che si conoscano.
E l’uovo diventava ogni giorno, ora dopo ora, più levigato e più piccolo.

    Di buon’ora in barca Gianni e Carletto erano usciti a pescare quella mattina. Erano le vacanze di Pasqua,il cielo era sereno, il mare calmo e la temperatura mite. I loro genitori avevano fatto le raccomandazioni di sempre. Non troppo al largo,  remate con calma, tenetevi sempre un po' di forze per ritornare. Avevano pescato due pagelli non troppo grandi,  ed una stellamarina. Non molto. Ma il bello era stare là fuori a farsi dondolare e non pensare alla scuola, ai compiti da fare.
Ora il sole era alto e col tepore arrivò anche l’appetito. La mamma di Gianni aveva preparato un colazione per tutti e due. Così smisero di remare e addentarono i panini.
Al secondo morso per poco Carletto non ingoia tutto, panino e mano. Un grosso colpo aveva fatto oscillare la barca e si ritrovarono a gambe all’aria sul fondo del gozzo. Rialzatisi, si guardarono negli occhi: “Non c’è nessuna secca da queste parti, a meno che si sia formata stanotte sorgendo su dal fondo”.
Non era stata una secca, ma qualcosa di grigio che ora oscillava a poche spanne dalla barca. Un grosso uovo che emergeva con una punta arrotondata dall’acqua. “Cosa diavolo sarà?”
    Con il retino ed il mezzo marinaio cercarono di tirare l’uovo vicino al bordo. Era più grosso del più grosso uovo di Pasqua che avessero mai visto. E nella vetrina del pasticciere in piazza della chiesa ve n’era uno incartato in oro grosso come non se n’era mai visti prima. E questo lo era ancora di più. Ma non era di cioccolato. Era freddo, freddo come il ghiaccio.

    Con grande sforzo e a rischio di rovesciare il gozzo, Gianni e Carletto riuscirono a tirare in barca l’uovo. Lo posarono sull’assicella di prua. Lì al sole l’uovo cominciò a colare un’acqua grigiastra con della sabbia dentro. “Ma è un uovo di ghiaccio! Ecco perché è tanto freddo.” Il ghiaccio non era trasparente. Forse per la sabbia che vi era mescolata. Ma a poco a poco, man mano che l’acqua colava sul fondo della barca, qualcosa di grosso e rotondo s’intravedeva all’interno. Ormai l’uovo di ghiaccio si era rimpicciolito al punto che Gianni da solo lo avrebbe potuto abbracciare. Ma era freddo ghiacciato. Così rimasero fermi a guardarlo liquefarsi al sole. La massa più scura che si intravedeva al centro, ora si vedeva meglio. Sembrava un grosso sasso, a forma anche lui di uovo. Eccolo apparire ormai bene. L’ultimo strato di ghiaccio sparisce anche lui. “Tutta questa fatica per un grosso sasso anche se a forma d’uovo”.

    Ormai il sole cominciava ad asciugare la superficie del sasso. Carletto provò a sollevarlo, per vedere se ce l’avesse fatta. Con un sasso così grosso... Invece, no. Lo sollevò benissimo. “E’ leggero, molto più leggero di un sasso.” “Forse è pomice”, disse Gianni che aveva verificato anche lui sollevando lo strano uovo. Ma la pomice la conoscevano e avrebbe dovuto avere una superficie più rugosa. Invece questa era liscia come i sassi levigati dal mare. A dire il vero, a guardare più da vicino vi erano degli strani segni sopra, come delle strisce, delle screpolature.

Carlo allora si ricordò della gita scolastica dell’inverno scorso al museo di storia naturale a Torino. “Ma è un uovo!”, urlò saltando in piedi che quasi la barca si capovolgeva. “Un uovo di dinosauro come l’abbiamo visto al museo!” Carletto guardò anche lui più da vicino. “E’ vero, è vero! Abbiamo trovato un uovo di dinosauro! Torniamo subito a terra a farlo vedere.”
    Con lena si misero a remare. Ma erano abbastanza lontani da riva e ci voleva almeno un’oretta prima di toccare terra. Remarono forte, forte. Ma dopo un po' avevano il fiato grosso e si riposarono. Guardavano l’uovo e quelle righe che aveva in superficie. Come mai ora erano più evidenti? Sembrava si allargassero. E quel rumore, cos’è? Il legno della barca che scricchiola? No, è lui, l’uovo che scricchiola.

    Le righe si allargano diventano delle screpolature e poi... d’improvviso uno schiocco. Ecco emergere un orribile coso .. un becco ed una testa a punta, due occhi enormi. “E’ un pulcino di dinosauro!” L’uovo si rompe del tutto, quell’essere pauroso si scuote, si alza sulle due zampe, si stira. Carlo e Ginetto sono in fondo alla barca, in poppa, pronti a saltare in acqua se quel coso... ma il coso ora si alza più ritto, si stira, allarga le ali. Sì, due ali grosse a triangolo, che coprono tutta la prua. Un piccolo corpo e due grosse ali. Poi un salto fuori dall’uovo. Un altro salto e poi su in cielo. Un coso forse grande più d’un metro con le ali tutte aperte, due zampette tese e via in alto, in alto contro la luce del sole.

    Carlo e Ginetto non sanno se è più la paura o lo stupore. Cosa era quell’enorme uccello. I dinosauri volano? Sì, forse, qualcuno. Come si chiamano ...ptesorauro...no petrosauro... no pterodosauro... pterodontosauro.

    Nessuno, quando arrivarono a terra, credette alla loro storia. Il guscio di uovo si era trasformato in una polverina grigiastra, come sabbia fine fine. Per di più, quel giorno era il primo d’Aprile.
 

FINE