Osiride, il computer e la morte
Dalla finestra entrava il freddo della notte del deserto. Tom si alzò e si
affacciò prima di chiuderla. Ogni volta, ogni notte, il fascino di quel cielo
nero pieni di richiami tremolanti. Una stella cadente, luminosissima, percorre
tutto l’arco del cielo verso oriente, giù giù fino a toccare l’orizzonte.
Un meteorite, pensò Tom. Forse è arrivato fino a terra, un segno tangibile del
cielo. Chiuse la finestra. Su un piano della libreria, al buio, il riflesso
dello schermo del computer acceso faceva risaltare la sua pietra, il suo
talismano. Trovata nel deserto dell’Arizona non lontano da casa, non
assomigliava a nessun minerale conosciuto. Forse l’ultima traccia di un
meteorite. E questo, dove sarà caduto? Forse in Europa, forse a Betlemme. Tra
poco sarà Natale anche se qui manca la neve. Tom si risedette al computer. Come ogni notte indugiava a navigare su
Internet. Col computer aveva a che fare tutto il giorno sul lavoro. Meglio
sarebbe di notte lasciar perdere. Ma invece non poteva farne a meno. Viveva solo
e lo schermo era la sua compagnia. Di notte, solo navigazione di piacere, alla
ricerca di chissà cosa. Poco prima era incappato nel mito di Osiri. Non c’è
che dire, un racconto con tutti gli ingredienti per una fiction.
Tradimento, morte, amore, sesso. Seth attira con un trucco il fratello Osiri per
fargli provare un sarcofago nuovo e degno di un re. Poi, appena dentro, ve lo
chiude con chiodi e lo sigilla con pece. Scarica il tutto nel Nilo sperando che
da lì si perda definitivamente nel mare. E là Tom l’aveva lasciata la storia
prima di vedere la stella. Si sedette al computer per continuare la lettura. Poi
l’avrebbe stampata per rileggerla e mostrarla agli amici. I piani di Seth, continua il racconto, falliscono perché l’amorosa moglie,
la dea Isi, saprà ritrovare il sarcofago anche se nel frattempo, approdato su
un lido del Libano, gli sarà cresciuta attorno una pianta inglobandolo all’interno
del tronco. Con la potenza della sua magia Isi pensa di riuscire ad utilizzare
il corpo del marito se non per farlo rivivere almeno per avere un figlio da lui.
Ma non riuscirà subito nell’intento perché il cadavere gli verrà sottratto
dall’implacabile Seth. Qui un segnale acustico avverte che il collegamento si è interrotto. Occorre
rilanciarlo e reinserirsi su Internet. Ma è quasi mezzanotte e Tom chiude
definitivamente. Il seguito a domani sera. La sera seguente Tom ricerca il racconto di Plutarco. Purtroppo non aveva
preso l’indirizzo del sito Internet e deve ancora fare la ricerca tramite
parole chiave. Quali aveva usato la sera prima? Mito, Egitto, morte? Riprova
ora, ma non ritrova il sito. Invece gli appaiono altri richiami, tutti
turistici. Vantano la bellezza dell’Egitto nella stagione invernale, le
piramidi, la Valle dei Re, Luxor, Assuan. C’è però anche un messaggio dell’Università
del Minnesota, Dipartimento di Archeologia. Cercano personale specializzato per
una missione archeologica. L’uso di nuove tecnologie dovrebbe permettere di
scoprire la tomba del faraone Akhenaton, mai trovata fino ad ora. Cercano un
elettronico esperto di analisi dei segnali. Proprio la specialità di Tom. Con
un click Tom passa dal sommario alla descrizione dettagliata. E nella posta
elettronica lascia poi un messaggio di interesse. Il giorno dopo prende l’aereo
per St. Paul nel Minnesota, e dopo tre settimane l’aereo lo sbarca a Luxor. Il viaggio fu l’occasione per Tom per saperne qualcosa di più sugli
aspetti egittologi della missione. Per quelli tecnici ne aveva già discusso a
fondo prima della decisione di venire ingaggiato. Il luogo dove si doveva trovare la tomba era la Valle dei Re vicino a Luxor,
l’antica Tebe. Molte altre tombe erano già state trovate nella stessa valle.
La più famosa è quella di Tutankhamun, figlio o fratello o genero, o tutte e
tre assieme, di Akhenaton. "Non ti stupire, vecchio mio", spiegò Bill
a Tom, "l’incesto, i matrimoni tra fratello e sorella, anche se rari,
potevano tuttavia avvenire in particolare nelle famiglie reali. In fondo, l’avevano
imparato dai loro dei che ci si sposava tra fratelli." E qui Bill ricordò
la leggenda di Osiride, il dio della morte e della vita che aveva sposato la
sorella Iside. A questo inciso sulla storia del faraone, qualcosa scattò nella
mente di Tom. "Ho letto una strana storia di Osiri ucciso dal fratello,
finito su una bara a galleggiare sul Nilo e di sua moglie Isi. Non è per caso
lo stesso, anche se mi pare si chiamasse Osiri."
Spinta dalla corrente del fiume era arrivata al mare, la
cassa. Ed ora i suoi vivaci colori e geroglifici salgono e scendono sulle onde
verso un qualche lido lontano con il suo contenuto di morte.
Tom Lepori, aggregato come esperto elettronico-informatico alla missione
archeologica capeggiata dal prof. John McTyre, aveva fatto il viaggio in aereo
assieme a Bill Lesser, ricercatore anziano, e a Claire Doughnot giovane
ricercatrice archeologa. Tutti della Università del Minnesota. Il professore
assieme al geologo James Holder e a uno studente, arruolato come ricercatore a
buon mercato perché ne approfittasse per la sua tesi di PhD, era già sul
posto.
"Sì, sì è lo stesso. Non ti preoccupare, Tom, delle diverse dizioni dei
nomi egiziani. Man mano che si sono approfondite le conoscenze sulla loro
lingua, è cambiato il modo di trascrivere le parole. Così il nome del nostro
faraone si dovrebbe scrivere Aku en Aten, ma siamo ormai abituati alla vecchia
dizione. Inoltre spesso si utilizza la trascrizione greca dei nomi."
"Mi piacerebbe sapere come è finita la storia di Osiri. Sono rimasto a
quando il cattivo fratello Seth riprende il cadavere ritrovato da Isi. E’ una
storia che ho letto su Internet e sul più bello è saltato il
collegamento." "...un po' truculenta come storia", interloquì
Claire. "Ma non più di certi film dell’horror". Così Tom
venne a sapere che il cadavere rubato alla moglie-sorella, la dea Iside, venne
fatto tagliare a pezzi dal fratello cattivo, il dio dell’odio e del rancore,
ed i pezzi dispersi in modo che non fosse più possibile ritrovarli e
ricongiungerli. Ma Iside, forte dei suoi poteri magici, riuscì a ritrovare
quasi tutti i pezzi e a ricomporre il cadavere.
Tom lo guardò incredulo. Avrebbe voluto saperne di più dei miti degli antichi egizi, ma gli sembrò poco serio insistere e si limitò a chiedere
: "Ma si è sicuri che poi ci sia questa tomba?" Bill disse che c’era sempre qualche probabilità che non avessero tagliato anche il suo corpo a pezzi e poi disperso nel Nilo, come per il povero Osiride. "Ma perché poi farlo a pezzi se lui era il Faraone? " si sentì autorizzato a chiedere Tom. Intervenne Claire per spiegargli che Akhenaton era sì il Faraone, ma si era ficcato in una brutta situazione con la potente lobby dei preti sostituendo alle numerose divinità, capeggiate dal Dio Amun, un solo dio, Aton, impersonato dal disco solare. Costruì nuovi templi dedicati ad Aton, raffigurato come un sole da cui scendono raggi che finiscono in tante mani, e fece distruggere molte statue e lapidi dedicate agli altri dei ed in particolare ad Amun. Anche Amun era un dio che si riferiva al sole, ma era lo spirito del sole, non il sole fisicamente tale come invece era Aton.Bill avrebbe proseguito, se non fosse stato interrotto da un urlo di Claire. Era balzata in piedi sul sedile rovesciando il vassoio col pranzo di bordo sul malcapitato passeggero davanti. Tutta tremante, ritta sul sedile, con un dito indicava lo schienale davanti a se. Un piccolo scorpione era fermo immobile con la coda alta e rivolta in avanti, lui stesso spaventato dall’urlo. Bill che era seduto nella poltrona di mezzo tra Claire e Tom scoppiò in una fragorosa risata. "Ma se è un piccolo innocuo ed innocente scorpioncino. Non è certo velenoso. Strano solo che sia finito qui sull’aereo. Se ti spaventi per un piccolo insetto cosa farai davanti agli scorpioni veri? Ed in Egitto ce ne sono, e sono anche assai velenosi." Poi con un fazzoletto di carta prese lo scorpioncino, lo mise sul suo vassoio e lo schiacciò. Claire rimessasi dallo spavento, aveva mantenuto un’aria preoccupata. "Come sarà finito quassù?" "E’ un avvertimento degli dei egizi che io ho preso un po’ in giro", scherzo Bill. "A proposito Tom, non ti avevo detto che la dea Iside era anche lei un po’ vendicativa. Girava con una fila di grossi scorpioni al seguito. Un giorno, mentre camminava travestita da viandante, una donna a cui aveva chiesto un po’ di cibo le chiuse la porta in faccia. Allora lei ordinò al capo degli scorpioni, che si chiamava Tefenet, di entrare nella capanna e di pungere a morte il bambino della donna. E per essere sicuri che la cosa funzionasse, gli altri scorpioni versarono prima il loro veleno in quello di Tefenet."
Questa storia, se era stata detta per ridare il buon umore alla povera Claire, ottenne l’effetto contrario.
Mentre
l’aereo virava per allinearsi sulla pista, Tom cercò dal finestrino le
piramidi. "Nessuna piramide da queste parti" lo istruì Claire.
"Quelle sono a Gizeh, vicino al Cairo. Qui le tombe sono celate nella
montagna. Si possono però vedere i resti di templi colossali. Ecco là, sulla
riva destra del Nilo il Tempio Grande. La Valle dei Re è invece sulla riva
sinistra ad occidente di Tebe. Il viaggio dei morti doveva seguire il corso del
sole."
Philip Stair, lo studente, era venuto ad attenderli all’aeroporto. Il battello era arrivato e tutto era pronto.
L’idea di disporre di un battello appositamente attrezzato per ospitare il
computer con la Central Process Unit e la parabola per la comunicazione via
satellite con l’Università del Minnesota, era stata del prof. Mc Tyre. Il
battello era stato affittato in Egitto e l’apparecchiatura fatta venire dall’America.
Il battello, di quelli usati per le mini crociere sul Nilo, era attrezzato con
servizi di cucina, e cabine sufficienti per tutti. Così potevano risiedere là.
A dire il vero Bill Lesser avrebbe preferito l’albergo. Ma vi era il problema
di contenere i costi, e sarebbe stato anche più sicuro per le attrezzature.
Costose e preziose. Benché il battello non doveva muoversi, vi era comunque un
capitano, un egiziano, persona di fiducia raccomandata dall’ambasciata USA.
Il battello era ancorato in una insenatura sulla riva sinistra del Nilo, vicino
al villaggio di Kurna, da dove rapidamente ci si poteva inerpicare per la Valle
dei Re. Per gli spostamenti a terra avevano a disposizione una jeep militare,
comprata d’occasione.
Nei giorni prima dell’arrivo di Tom, il professore aveva risolto tutti i
problemi logistici, incluso trovare una cuoca ed un ragazzo aiutante tutto fare.
Erano fratelli e sorella. Lei Zerin, Mehmet il fratello. Abitavano a Kurna ed
erano stati raccomandati dal capo della polizia locale. Sarebbe bastata solo la
cuoca, ma da sola una donna la famiglia non l’avrebbe lasciata. Mehmet era un
ragazzo vispo e sveglio. Parlava un inglese elementare, ma sufficiente e così
faceva anche da interprete. Erano anche loro sul ponte a salutare. Zerin, due
enormi occhi neri, l’incarnazione di una regina dell’antico Egitto. Così
almeno assicurò Bill.
Il giorno dopo Tom lo passò a verificare lo stato di tutta l’attrezzatura
elettronica e a fare un primo collegamento di prova con l’università in USA.
Il giorno successivo era domenica. Il professore propose una visita alle rovine
di Tebe.
La parte più impressionante era il grande tempio di Amun. Alla meraviglia per la maestosità dei colonnati e per la grandiosità dell’intera opera, Tom poteva aggiungere il piacere della guida di uno dei più illustri egittologi esistenti. Tale era infatti il prof. McTyre, come Philip aveva assicurato a Tom. A Tom sembrava piuttosto esagerato l’entusiasmo dello studente per il suo professore, tuttavia doveva ammettere con se stesso che c’era da restare incantati a seguire le precisazioni, le storie, i collegamenti che faceva John McTyre a proposito di ogni pezzo di quelle che a prima vista gli apparivano come cumuli di pietre.
All’epoca di Akenaton il tempio era già in piedi. Era dedicato ad Amun, versione del dio sole venerata a Tebe. Venne poi allargato da altri faraoni ed in particolare dal grande Ramesse II. Akhenaton invece ne costruì uno accanto, dedicato all’Aton, il Disco Solare, la divinità unica da adorare. La riforma religiosa di Akhenaton era stato anche un modo per ridurre la potenza dei sacerdoti. Il faraone decise poi addirittura di costruire una nuova città dedicata al dio, e di trasferire là la capitale. La chiamò Akhet Aton, l’orizzonte di Aton. La rivoluzione religiosa durò fin che durò il faraone. Già con i fratelli successori, Smenkharé e Tutankhamun si era smorzata e la capitale era tornata a Tebe. I sacerdoti ne approfittarono per chiudere la parentesi eretica e distruggere tutto ciò che Akhenaton aveva costruito per glorificare il dio Aton. Così, sia della città Akhet Aton sia del tempio costruito a Tebe non sono rimasti che cumuli di macerie. Il tempio di Aton era costruito in piccoli blocchi di pietra detti talatat, facilmente trasportabili e che permisero una rapida realizzazione dell’opera. Questi mattoni di pietra sono poi stati utilizzati come materiali di riempimento per nuovi muri e piloni costruiti per ampliare il Grande Tempio dell’Amun
.La spiegazione venne interrotta, mentre giravano tra le grandi colonne del tempio, dall’incontro col capo della polizia locale, il sergente Habib, che aveva già fatto conoscenza con il professore. Era accompagnato da una bionda bellezza il cui sguardo colpì Tom già prima delle presentazioni. "Hellen Steure, archeologa dilettante," così si presentò. "E’ una affezionata dei luoghi", sottolineò il sergente Habib. "Praticamente vive qui gran parte dell’anno. Tutti la conoscono ormai, e parla l’arabo meglio di molti di noi. E credo che svolga un ruolo di informazione preziosa anche per alcuni musei tedeschi. Una vera intenditrice. La incontrerete certamente nella Valle dei Re. Non so cosa cerchi esattamente". "Forse cerca lo spirito dei faraoni morti" commentò Bill. "In particolare di quelli il cui ka sta ancora cercando il corpo mummificato senza trovarlo come il vostro Akhenaton, di cui mi pare siate venuti a cercare la tomba," rispose la bionda con uguale noncuranza. "Vedete che ho ragione," commentò il sergente. "Lei sa tutto, è informata su tutto."
Il sergente se ne andò, ma la bionda archeologa si accodò al gruppo. Arrivati vicino ad uno dei piloni che delimitano la porta principale di ingresso, in parte diroccato sì da mostrare l’interno del muraglione pieno di detriti e pietre: "Ecco, guardate", disse il professore, sollevando un blocco di pietra. "Questo è un talatat proveniente dal tempio distrutto dell’Aton ed usato come materiale di riempimento. Questo non è stato inciso, ma alcuni lo sono ed insieme raffiguravano dei bassorilievi lungo i muri del tempio."
Tom, salì un poco sull’ammasso di detriti, forse per cercare un talatat che portasse i segni scolpiti da una mano ignota 4500 anni fa’. Lo videro fermarsi e chinarsi, poi ritornare con in mano una pietra. "Professore, guardi che strano. Una pietra così l’ho trovata nel deserto dell’Arizona e gli esperti mi hanno detto che si tratta di un meteorite. E’ un sasso identico a questo, stesse gibbosità, più o meno stessa forma. Molto strano." Qui intervenne Jack Holder, il geologo: "Non è poi così strano. Meteoriti se ne trovano un po’ dovunque ed hanno tutti forme simili prodotte da fusione per l’attrito nell’attraversare l’atmosfera seguita da rapido raffreddamento. Questo deve essere molto recente," soggiunse. "Poca polvere e nessun segno di erosione." Tom portò con sé il nuovo talismano. Hellen sorrise.
Ora i due erano arretrati rispetto al gruppo. Tom confessò ad Hellen: "Non si burli di me, ma pochi giorni fa, quando non avevo la minima idea che sarei finito in Egitto al seguito di una missione di archeologi, io, un esperto di elettronica, una notte affacciandomi alla finestra ho visto una stella cadente brillantissima che si diresse senza spegnersi fino all’orizzonte verso oriente. Mi venne in mente che sarebbe caduto un meteorite, forse a Betlemme. Ed ora eccolo qua, il mio meteorite. Strano, vero?" "Quando si calca il regno dei morti che ci parlano ancora dopo cinque o sei mila anni, sia pure con le loro tombe e con i loro templi, non c’è nulla di cui meravigliarsi. Forse lei è stato scelto..."
Il
lavoro sul terreno iniziò fin dal giorno dopo. La tecnica utilizzata per lo
scandaglio del terreno era una novità. Avevano pensato di utilizzare le onde
sonore, come nelle indagine geosismiche dei petrolieri. Un generatore di onde
inserito in un buco nel terreno produceva un segnale che riflesso dalla roccia
veniva rilevato da una serie di sonde acustiche messe su una fila sul terreno. I
segnali raccolti venivano inviati via antenna microonde al battello e qui
elaborati nella CPU del computer. La fila delle sonde veniva poi spostata più
avanti e così via fino a che si era esplorata una intera zona. L’insieme dei
dati raccolti veniva elaborato per ricostruire l’immagine del sottosuolo e
scoprire eventuali cavità.
Il prof. McTyre ed il geologo Mr. Holder decisero anzitutto di fare una verifica della bontà della tecnica esplorando il terreno nelle vicinanze della tomba di Tutankhamun.
Il compito di Tom sul terreno era secondario. Lui entrava in funzione soprattutto nella rielaborazione dei dati sul computer centrale. Approfittò quindi per visitare la tomba, mentre procedevano le prove fuori. Lo accompagnava Mehmet il ragazzo arabo che nella tomba era stato più volte. A quell’ora del giorno non vi era ressa di visitatori. Solo turisti individuali. I gruppi organizzati venivano al mattino. Tom poté quindi sviluppare in tranquillità i sentimenti di meraviglia che la visita non poteva non suscitare. Mentre era fermo ad ammirare i dipinti sulle pareti, una voce dietro a lui suggerì che quella scena rappresentava Akhenaton e la moglie Nefertiti che davano dei doni ad un sacerdote. "E’ il faraone di cui cercate la tomba, il suocero, ma forse anche fratello di Tutankhamun." Era la bionda archeologa dilettante tedesca, Hellen Steure incontrata il giorno prima. "Anche lei, qui?", fece Tom. "Io sono di casa qui, come lei sa. Ci vengo quasi tutti i giorni. Cerco, con quel poco che ho imparato sui geroglifici, a decifrarli. Passo il mio tempo nelle tombe e nei musei. Sto cercando se riesco da qualche parte a rintracciare i geroglifici che rappresentano la maledizione del faraone." Alla espressione interrogativa della faccia di Tom, Hellen aggiunse: "Già, dimenticavo che lei non è un archeologo. Si tratta di una leggenda forse, ma che ha girato per molto tempo e che non è del tutto chiusa. Vi sono state varie morti misteriose. La scritta che cerco dovrebbe dire pressappoco La morte scenderà rapidamente su colui che ha turbato il sonno del faraone."
"Bill Lesser, l’assistente del professore mi ha accennato durante il viaggio aereo in tono scherzoso di questa maledizione," si ricordò Tom. "Mi sembra giusto", continuò Hellen "che gli archeologi professionisti considerino tutto ciò dicerie. Io però sono una dilettante e mi permetto di essere meno sicura che non ci sia qualcosa di vero. Cosa succeda dopo la morte, nel lungo viaggio che porterà l’anima, il ka, riunita al corpo mummificato a sostenere il giudizio del dio Rà, è parte fondamentale delle loro credenze religiose. E magari l’aver scoperto la mummia, anzi profanata, impedirà all’anima di ritornare nel suo corpo. Lo sviluppo della civiltà egizia era tale che sarebbe ingenuo dire che avevano credenze da popoli primitivi." "Ma se vi fosse veramente una qualche maledizione, allora tutti questi visitatori delle tombe sarebbero a rischio?", chiese sorridendo Tom. "Ormai la tomba è stata profanata. Sono i primi profanatori a rischio." "Allora noi, se scopriremo la tomba di Akhenaton, saremo poi a rischio di vendette?" "Io non ci scherzerei troppo sopra", disse seria Hellen.All’uscita dalla tomba, Hellen si fermò a parlare con un gruppo di arabi. Poi si allontanò con loro, salutando Tom da lontano con la mano. Mehmet che aveva seguito silenzioso, guardò Tom e disse: "Me non piacere bionda signora. Ha parlato arabo con gente non buona." Tom chiese chi fossero e Mehmet spiegò che erano trafficanti di oggetti antichi, forse ladri di tombe. "Forse cercherà qualche statuetta funeraria con la famosa iscrizione", pensò Tom, che non era molto disposto ad immaginare Hellen altro che una bella seducente creatura.
L’analisi
dei dati del terreno attorno alla tomba di Tutankhamun fu più che
soddisfacente. Si poteva vedere chiaramente il tracciato della tomba nascosta
nella roccia. Il corridoio che entrava in una grande anticamera, la camera
sepolcrale e la attigua ultima camera, quella del tesoro. Soddisfatti sia il
professore McTyre che il geologo, la discussione si concentrò sulla scelta del
luogo dove iniziare le indagini. Vi erano alcune vallette laterali che si
dipartivano dal fondo della Valle dei Re. Erano queste le zone meno esplorate
dagli archeologi. Nella valle principale erano state scoperte così tante tombe,
e tutto il terreno era stato setacciato pietra per pietra, che sarebbe stato
difficile che qualche tomba fosse sfuggita. John McTyre e Bill Sender discussero
a lungo sulla scelta. Erano di parere contrario. Bill favoriva la prima a
destra, John, l’ultima in fondo sulla sinistra. I ragionamenti a sostegno si
riferivano ai dettagli delle storie delle esplorazioni succedutesi dall’800 in
poi. Tom aveva difficoltà a seguirli.
Dopo varie perlustrazioni sul terreno, vinse l’idea di Bill. Il professore non voleva cominciare una ricerca, che non si sapeva quanto lunga e fruttuosa, con del malcontento. Avrebbero poi potuto esplorare altri vallette laterali se non si trovava niente nella prima. E così cominciò il lavoro. Un po’ estenuante, a dire il vero. Tutta la giornata al sole sul terreno a posare le sonde sonar, a mandare i dati al battello. Tom faceva un po’ la spola tra il battello ed il terreno. Alla sera, poi, analizzava a fondo i dati raccolti. Ed ogni tanto usciva a guardare le stelle, le stesse che vedeva dalla sua finestra sul deserto dell’Arizona. Forse sperava di vedere una stella cadente che tracciasse un solco nel cielo verso occidente portando una meteorite fin laggiù nel deserto di casa.
Era passata un’intera settimana senza che niente di rilevante fosse emerso. La domenica, riposo. Il professore voleva approfittarne per organizzare una visita al museo di Luxor nel pomeriggio. Ma sul finire del mattino una voce femminile dalla sponda chiamò Tom. Era Hellen che lo invitava ad un giro nei dintorni. "Ho trovato qualcosa che la interesserà", le gridò. Tom si rivolse con lo sguardo a Bill che era anche lui sul ponte. Bill con un’occhiata significativa gli disse: "Allora cosa aspetti? Non si rifiuta un biondo invito. Ti scuso io con John."
Hellen era a bordo di un fuoristrada Mercedes. "Non è per sciovinismo
che giro con una Mercedes" rispose allo sguardo ammiccante di Tom, "ma
perché l’affidabilità nel deserto è fondamentale. E spesso io me ne vado a
girovagare anche fuori pista." Hellen propose di passare il fiume sul
traghetto. Lo avrebbe invitato a colazione in albergo.
Guardando la corrente del Nilo Tom chiese dove fossero i coccodrilli. "Se
esce fuori città non le consiglio di gettarsi a nuoto nel fiume. Anche se
finire divorato da un coccodrillo dovrebbe essere un privilegio per degli
archeologi, visto che erano animali sacri nell’antico Egitto. Venivano
allevati in laghetti vicino ai templi e poi mummificati e conservati in
necropoli apposite."
A tavola Hellen raccontò un po’ la sua storia, come fosse da anni in
Egitto ed essendo piuttosto ricca di famiglia coltivasse anche il piacere del
collezionismo. "Ma si trovano ancora antichità e come si fa ad
esportarle?", si meravigliò Tom. "I ladri di tombe sono una
specialità della zona che risale ai tempi dei faraoni stessi. Le tombe venivano
violate anche se era un sacrilegio e la maledizione degli dei dovesse essere
forte, tanto era l’attrazione per i tesori che le tombe nascondevano. E gli
stessi sacerdoti forse non erano del tutto estranei al commercio. Sì, ci sono
ancora dei ladri che conoscono tombe non ancora scoperte dagli archeologi."
"E lei, ne ha viste qualcuna?"
"Non sono così ingenui i ladri di tombe. Inoltre chi mette sul mercato dei
reperti non sono direttamente i ladri, ma degli intermediari di seconda o terza
mano. Per l’esportazione all’estero, il deserto aiuta. E poi la corruzione
è conosciuta anche da queste parti." "Allora, magari anche la tomba
che stiamo cercando è già stata trovata." "No, perché credo che
questa tomba non ci sia. Akhenaton è stato ucciso in una insurrezione di
palazzo guidata dai sacerdoti. Per infierire contro l’eretico che aveva
cercato di minare lo strapotere dei sacerdoti quale migliore vendetta che
disperdere il suo corpo in modo che il suo ka non potesse più
ritrovarlo? Magari una qualche tomba la troverete, ma non quella di Akhenaton."
Hellen volle poi sapere di più sulla tecnica usata, sulla probabilità
effettiva di scoprire una tomba se ci fosse stata. Le sarebbe piaciuto vedere
alcune delle immagini elaborate da Tom e comunque essere subito informata se ci
fossero risultati positivi. Correva a vedere ogni volta che una spedizione
metteva le mani su qualche cosa sepolto sotto la sabbia del deserto o nascosto
nella montagna.
Alla fine, Hellen parlò della sorpresa che aveva per lui. Doveva seguirla ed
arrampicarsi nella Valle dei Re. Per il momento non volle dire di cosa si
trattasse. Doveva essere una sorpresa. Così riattraversarono il fiume sul
traghetto. Con la Mercedes, passato il villaggio di Kurna, si infilarono nella
Valle dei Re. Lasciata la macchina alla fine della strada praticabile si
avviarono a piedi verso il fondo valle. Ad un certo punto dovettero lasciare il
sentiero ed inerpicarsi tra sassi e detriti lasciati là dai vari scavi. "C’è
da camminare un po’", disse Hellen, "ma il sole di questa stagione
non picchia forte". Quell’arrampicata li portò in una fenditura che
spaccava da cima a fondo la roccia della montagna. Forse una antica frana per
erosione della roccia dovuta al vento.
"Eccoci arrivati". Il posto non sembrava avere niente di particolare. Sassi e sterpi. Erano però fuori vista dal fondo valle. "Un posto isolato, non c’è che dire", fece Tom. "Mi ha portato per ammirare il panorama?" Hellen non rispose, ma si limitò ad indicare un punto nel terreno vicino alla parete della roccia. Tom guardò più da vicino. "Guarda, guarda, una delle mie pietre! E non è l’unica. Un’altra. Ancora un’altra!" Tom non poteva credere ai suoi occhi. E’ già strano trovare un meteorite, ma trovarne addirittura una serie e tutti uno vicino all’altro. Hellen sorrideva: "Sapevo che sarebbe stato una bella sorpresa. Nell’antico Egitto i meteoriti dovevano cadere abbastanza spesso. Lo sa che le ragazze portavano come amuleto un papiro arrotolato con una cordicella attorno al collo che conteneva una formula magica che serviva a difenderle da varie malattie e malanni? E tra i malanni erano indicate anche le stelle cadenti. Segno che ne cadevano di frequente e qualcuno avrà anche preso un meteorite sulla testa!" Tom in silenzio raccolse le pietre strane, ne fece un mucchio. Ne trovò quasi una diecina. "Un bel caso davvero", disse.
"Qualche meteorite", soggiunse Hellen lo avevo già trovato qua e là nel deserto, ma mai tanti tutti assieme. Per questo ho portato lei. Che ne pensa? E’ un segno del destino? Ne ha trovato uno nell’Arizona, uno fra i talatat del tempio di Amun ed ora qui..."
"Se è un segno del destino, lei come lo interpreterebbe?" "Che sia stato portato qui per scoprire una tomba, e che proprio in questo luogo si nasconda. Perché non provate a fare i vostri scandagli su questa parete di roccia?"
Si sedettero per terra. Il sole era vicino al tramonto. Nel posto vi era un silenzio forse reso più pesante dalla strano incontro stellare. Una pioggia di meteoriti e proprio lì dove Tom si sarebbe aggirato!
Parlarono degli astri. Gli antichi egizi avevano anche Orione e Sirio, come divinità. Quando il sole entra in Sirio inizia la stagione delle inondazioni, la vita rinasce. C’è chi afferma che in realtà gli egiziani la sapessero lunga su molte cose. Non solo conoscessero già la precessione degli equinozi, ma avessero molte altre conoscenze. C’è chi sostiene che discendessero dall’antica civiltà di Atlantide che magari era di provenienza extra terrestre e che portassero la sapienza di questa antica e misteriosa civiltà. Come prova, pare che le grandi piramidi di Gizeh e la Sfinge siano state realizzate almeno cinque o sei mila anni prima del faraone Cheope. Qualcuno ha fatto una mappa del sito di Gizeh segnando con un punto la posizione delle piramidi e della Sfinge. Poi ha proiettato questa mappa in cielo e pare che ricopra esattamente la posizione delle stelle della costellazione di Orione. Non come ci appare ora, ma come era diecimila anni fà. Allora aveva una configurazione diversa di quella attuale. Anche le stelle si muovono!
Tom la guardava ammirato. Inconsciamente ne era come affascinato. Quante cose sapeva. Impercettibilmente erano passati a toni più confidenziali. Forse era l’incanto del tramonto dietro la montagna alle loro spalle.
"Lo sai," continuò Hellen, "che anche la loro concezione religiosa, quella con tanti dei, quella che il vostro faraone aveva combattuto, forse non era così strampalata? Forse era una metafora per cognizioni molto avanzate scientifiche che venivano tramandate dalla civiltà di Atlantide ma di cui restava solo la metafora. Al principio vi era Atùm, l’Uno. Poi questo auto-genera dei figli e forma l’Enneade. In tutto nove dei. Questi, tutti assieme, generano di nuovo l’Uno. C’è chi dice che sia la metafora della riproduzione cellulare, la mitosi. Una cellula contiene i cromosomi. Questi si dividono e poi tutti assieme formano una nuova cellula. Di nuovo l’Uno. Gli dei sarebbero la metafora dei cromosomi! Ma forse sono discorsi troppo seri per il posto e per l’ora". Hellen guardò Tom negli occhi. "Tutti questi dei avevano una preoccupazione per la riproduzione. Atùm essendo solo al mondo all’inizio poté farlo solo masturbandosi e dal suo seme sulla terra... Anche i faraoni non scherzavano col sesso. Ramsete II, il grande Ramsete, quanti figli fece? Forse più di sessanta maschi e quasi cento femmine. Ed anche qualcuno dei loro dei li spronavano a riprodurre. Non hai mai visto le statuette ittifalliche?" Tom non conosceva neanche il significato della parola. Hellen prese un piccolo sasso appuntito e disegnò sulla roccia un omino con una forte protuberanza dritta all’altezza dell’inguine. Il sorriso di Hellen e soprattutto il suo sguardo erano cambiati. Una dea bionda, con gli occhi azzurri, lo guardava e gli sorrideva. Erano seduti vicini. Tom allungò una mano per accarezzare i capelli di Hellen. Nel cielo passavano degli aironi. "Sapevi che l’Ibis era considerato un uccello sacro?" sussurro’ Hellen mentre Tom si faceva sempre più audace. Proseguì poi meccanicamente prima di abbandonarsi tra le sue braccia: "Anche lui veniva imbalsamato e sepolto in una necropoli."Era ormai sera quando Tom scese dalla Mercedes per imbarcarsi sul battello. Si voltò indietro per un ultimo saluto con la mano ad Hellen. Poi salì sulla scaletta. Nel chiaroscuro dell’imbrunire, sul ponte, quattro occhi lo guardavano. Quelli di Mehmet esprimevano rimprovero. Gli altri due, grandi e neri che luccicavano nell’oscurità sembravano dire qualcosa di diverso. Tom non aveva avuto molto tempo per guardare quell’altra dea scura di pelle e di capelli, Zerin, sorella di Mehmet.
Tom il
giorno dopo parlò al professor McTyre ed agli altri di quella strana scoperta.
Lo pregò di spostare là le ricerche con le sonde sonore. Aveva come un
presentimento e visto che fino allora non avevano trovato niente, perché non
provare? Claire appoggiò la richiesta. Esploravano un mondo dove i morti
contavano più dei vivi, un mondo di mistero. Non avendo metodi più razionali
per fare delle scelte, perché non seguire l’istinto? Il professore, sia pure
a malavoglia accettò a patto che se si fosse trovato qualcosa nessuno
raccontasse come avevano fatto la scelta. Comunque, un’esplorazione rapida.
Poi si sarebbero spostati là dove lui fin dall’inizio avrebbe voluto
cominciare, in fondo alla valle, sulla parete sinistra.
Tom aiutava di lena a posizionare le sonde, raccoglieva i dati nel computer portabile, faceva prime elaborazioni e poi li inviava tramite l’antenna microonde al grande computer di bordo. La sera stette fino a tarda ora ad elaborare i dati. Qualcosa sembrava apparire, ma ci volevano ancora più dati. La sera seguente, era quasi mezzanotte quando tutto eccitato svegliò il professore. "Ci siamo, ci siamo!" Accorsero anche gli altri. Sullo schermo apparivano chiaramente su una mappa a linee di livello, alcune zone scure geometricamente molto regolari. Un rettangolo stretto e lungo partiva dalla superficie della roccia e terminava in un quadrato tre volte più largo del corridoio e ad una profondità, che si leggeva sulla curva di livello, di circa quindici metri dalla superficie. Dietro a questo quadrato si vedevano strani segni. "Se è una tomba, il lungo rettangolo sarebbe il corridoio che dall’ingresso porta alla camera mortuaria, rappresentata dal quadrato", disse il professore. "Se è una tomba è piuttosto piccola", commentò Bill. "Un corridoio ed una sola camera. Troppo poco per una tomba regale." Jack Holder il geologo protestò che era troppo presto per trarre conclusioni. Occorreva fare ancora altre esplorazioni sonar. Tornarono a dormire anche se l’eccitazione era grande in tutti.
Il giorno dopo aumentarono il numero delle sonde e s’inerpicarono più in alto sulla parete della roccia. Alla sera Tom volle rimanere solo per lavorare con calma al computer. Per essere sicuri che la curiosità non impedisse di stare lontani da Tom, il professore invitò tutti gli altri a cena a Luxor. Mehmet vegliava silenzioso seduto in un angolo della cabina dove Tom lavorava al computer.
La mattina dopo Tom con una mossa enfatica entrò nella sala dove facevano colazione srotolando sul tavolo due disegni a colori che aveva prodotto con la stampante e che mostravano chiaramente la sezione orizzontale e quella verticale di una tomba nella roccia, un corridoio ed una camera. Poi rimaneva una specie di vuoto dai contorni strani dietro la camera mortuaria.
Arrivati sul posto segnarono la posizione dove si sarebbe dovuto trovare l’ingresso. Vi erano detriti, masse di roccia franata, uno scavo lungo e difficile da fare. Tra le attrezzature portate dagli USA vi era anche un macchina perforatrice speciale che permetteva di fare un foro piccolo di diametro, ma sufficiente per fare penetrare un sistema di visione ed illuminazione basato su fibre ottiche. Potevano forare fino ad una profondità di venti metri, sufficiente per arrivare alla camera mortuaria partendo dal punto più vicino indicato dalla mappa sonar.
Per operare la perforatrice, in condizioni normali avrebbero usato degli operai. Il professore tuttavia desiderava tenere per il momento segreta la scoperta e quindi decisero di fare tutto da soli. Tom e Philip erano dopotutto dei prestanti giovanotti. Jack che conosceva la macchina faceva da supervisore e dava le istruzioni.
Per fortuna il posto non era visibile dal fondo valle e non vi erano curiosi nei paraggi. Ci vollero due giorni di lavoro faticoso per sentire finalmente il vuoto sotto la fresa. "Attenzione al soffio di aria calda e magari putrida che uscirà appena avrete perforato," aveva avvertito il professore. Invece, quando la fresa cominciò a girare a vuoto ad alta velocità, l’aria che uscì era fresca e senza odori.
Il sole era ancora alto quando infilarono la sonda ottica. Il privilegio di guardare per primo fu del professore. "Ma c’è della luce nella tomba!" fu il suo grido.
La luce proveniva dall’alto della parete di fondo della camera mortuaria. Sembrava che ci fosse un passaggio da dietro che dava verso l’esterno.
Philip, il più agile di tutti si arrampicò sulla parete della roccia per esplorare se vi fosse una qualche apertura. Fino ad allora non l’avevano fatto nella fretta di portare avanti le prove con il sonar. In effetti vi era una grande fessura che scendeva giù per alcuni metri. Era stretta ma ci si sarebbe potuti calare con l’aiuto di una corda. Jack Holder aiutato da Tom si arrampicò anche lui. Come geologo affermò che si doveva trattare di una fessura dovuta ad un movimento della roccia.
L’esame con la sonda ottica della camera permise, superato il primo momento di meraviglia per la luce che vi penetrava, di capire che era una tomba povera. Un sarcofago di pietra aperto, un grande disordine, pezzi di legno marcio, qualche anfora rotta, tante macerie. Sulle pareti si intravedevano i segni di pitture a rilievo di cui tuttavia non era rimasto quasi niente.
Si avvicinava il tramonto e decisero di rimandare il tutto all’indomani. D’altra parte ormai dovevano avvisare le autorità egiziane del ritrovamento e procedere assieme all’esplorazione della tomba. Mentre stavano raccogliendo le varie cose, dei passi sul sentiero annunciarono una visita. Era la bionda archeologa tedesca. "La tua amica arriva sempre per tempo", ammiccò Bill a Tom.
La
vita cambiò nei giorni successivi per tutti loro. Andirivieni di stampa e
televisione, turisti curiosi. Tutti volevano sapere, vedere. Il professor McTyre
era annoiato da quella ressa e deluso dal ritrovamento, anche se alcuni dei
reperti lasciavano interdetto anche un esperto come lui. La tomba era stata
ovviamente visitata dai ladri a più riprese che dovevano aver scoperto quel
passaggio naturale. Se vi era stato qualcosa di valore nella tomba era sparito
da tempo. Il sarcofago di pietra era di fattura semplice senza molti geroglifici
sulle pareti. Una mummia con le bende strappate giaceva per terra fuori del
sarcofago. I ladri evidentemente avevano cercato i gioielli lasciati sul corpo
del morto. Non vi erano molti elementi per identificare la mummia. Se fosse
stata quella di un faraone, il suo nome doveva essere inciso sul sarcofago.
Benché ci volesse un po’ di tempo per un’accurata lettura delle scritte era
certo che non vi era il cartiglio di Ackhenaton. Forse la tomba era quella di un
dignitario di corte. La cosa strana tuttavia che dava da pensare era un canopo
ritrovato intatto, di quelli utilizzati per la conservazione delle interiora del
defunto tolte dal corpo durante il processo di mummificazione. Il canopo, un’anfora
scolpita di geroglifici, con un tappo a forma di testa del dio Osiride, era
stato tolto dalla tomba e portato al museo di Luxor per interpretare bene le
scritture. Vi appariva chiaramente il cartiglio di Akhenaton. Quindi vi erano
contenute le viscere del faraone? Se così fosse stato, anche la mummia allora
era quella tanto ricercata del faraone eretico? Per la mummia si sarebbe poi
fatto l’esame del DNA prelevando dei campioni dei capelli. Era in quel modo
che si era scoperto che Smenkharà e Tutankhamun erano consanguinei con Tije la
regina madre di Akhenaton, quindi fratelli tra loro e con Akhenaton.
La stampa diede ampia eco al ritrovamento. Si approfittava per ripassare la storia del faraone, quella dei misteri, delle vendette postume sui profanatori di tombe. Sul canòpo vi era una scritta, una formula magica che doveva difendere il corpo dai profanatori: "Io difenderò la tua pace. Chi ti offenderà verrà punto dallo scorpione, morso dal serpente sacro ed il suo corpo sarà disperso nel Nilo". La formula era più minacciosa e precisa di quella della tomba di Tutankhamun.
Dagli Stati Uniti, l’Università del Minnesota non voleva perdere i vantaggi derivanti dall’essere stata la sua missione a fare la scoperta. D’altra parte la missione era finanziata da un’associazione che ora voleva la sua parte di notorietà. Qualcuno doveva tornare subito negli USA per partecipare ad una serie d’iniziative, incontri con i media, discussioni sui ritrovamenti, sulle modalità della scoperta. Il prof. McTyre non volle andarci. Ci mandò Bill. Lui volle restare, ma non tanto per seguire da vicino l’analisi dei ritrovamenti fatti nella tomba. Era deluso e poco convinto che il ritrovamento fosse veramente la tomba di Ackhenaton anche se delle motivazioni ci potevano essere. Il corpo del faraone eretico poteva essere stato messo di nascosto in una tomba di qualche dignitario di corte per sottrarlo all’ira dei sacerdoti che volevano vendicarsi su di lui e che forse erano anche stati responsabili della sua morte prematura.
No, il professore McTyre non era convinto. Ci doveva essere una grande tomba degna di un faraone importante come lui. Bisognava ricominciare le esplorazioni con gli scandagli sonori. E questa volta proprio in fondo alla valle dove lui avrebbe voluto incominciare fin dall’inizio. E così, mentre gli archeologi locali si avvicendavano alla tomba entrando dalla spaccatura posteriore e gli spalatori cercavano l’ingresso sotterrato sotto la massa di sassi e detriti, la troupe ricominciò le indagini.
Hellen
e Tom si erano rivisti, ma non da soli. L’eccitazione per la scoperta, il gran
via vai, rendeva difficile incontri più intimi. Ed in qualche modo anche Hellen
sembrava sfuggire la possibilità di trovarsi da soli. Aveva partecipato alle
discussioni sul ritrovamento. Lei era del parere che quella non fosse la mummia
di Akhenaton e che il suo corpo fosse stato veramente disperso dai sacerdoti.
Forse si era salvato solo il canòpo con le viscere dalla furia distruttiva dei
sacerdoti in cerca di vendetta. Si meravigliò che il professore McTyre volesse
riprendere le perlustrazioni del sito alla ricerca della vera tomba che secondo
lei non c’era mai stata. La vera tomba, anche se vuota, era come tutti
sapevano nella città sacra ad Aton, lontano da Tebe. Poi, quando vennero
riprese le esplorazioni con il sonar nel fondo valle, lei sparì. Tom la cercò
la domenica successiva, ma all’albergo seppe che era partita, aveva lasciato l’albergo,
senza lasciare messaggi.
La nuova campagna di esplorazioni fatta senza la presenza di Bill che era in
USA cominciò con qualche difficoltà. Durante la notte dopo il primo giorno di
raccolta dei dati sparirono alcune sonde sonar. Chi poteva avere interesse a
rubarle? Ne avevano altre di scorta, ma il numero totale era ora ridotto e così
i dati da elaborare più scarsi. Avrebbero dovuto fare molte più misure per
ottenere risposte sufficienti per elaborare delle immagini significative sul
computer centrale. Si vedeva qualcosa di interessante? Forse sì, ma era presto
per dirlo.
Poi ci fu l’inconveniente grave accaduto a Philip. Mentre raccoglieva le sonde per portarle sul terreno venne punto da uno scorpione. E di scorpioni in quel posto ve ne era un gruppo, forse era un nido. Fino allora di scorpioni avevano solo sentito parlare, non ne avevano mai visto uno. Per fortuna avevano l’antidoto a portata di mano. Philip venne portato all’ospedale. Se la sarebbe cavata, ma ci voleva qualche tempo. Claire fu impressionata dall’episodio, e non c’era Bill a scherzare sulle sue paure. Divenne pensierosa, preoccupata. Cosa diceva quella formula sul canopo? Fu con questo stato d’animo che la notte seguente l’episodio di Philip si sentì un urlo sul battello. Era Claire che entrata nella sua cabina e sollevate le lenzuola per dare aria al letto prima di coricarsi, trovò un serpente che si era rizzato minaccioso. Spaventata a morte chiuse la porta della camera urlando che aveva un cobra nel letto. Il capitano era corso con tutti gli altri. Con cautela aperta la porta videro il serpente sempre ritto sul letto. Con un retino da pescatori iI capitano coraggiosamente lo catturò. Non era un cobra come urlava Claire, ma certo una serpe velenosa. Come c’era arrivata nel letto? Claire non ne volle più sapere di stare sul battello. Volle andare in albergo. Era in piena crisi. Il giorno dopo decise che per lei era troppo. Fece le valigie e tornò negli Stati Uniti.
Il professore era rimasto solo con Tom ed il geologo. Tuttavia decise di continuare senza aspettare rinforzi. Oltre ai presentimenti, anche i dati che cominciavano ad emergere dall’analisi indicavano che erano sulla buona strada. Qualcosa di grosso ci doveva essere sepolto dentro la roccia a giudicare dalle ombre che emergevano dallo schermo del computer man mano che aggiungevano dati raccolti giorno dopo giorno. Gli avvenimenti negativi spronavano ancora di più il professore a proseguire. Se qualcuno, uomo o divinità voleva dissuaderlo, otteneva l’effetto contrario.
Per alcuni giorni lavorarono tutti sul terreno da mattina a sera per fare più sondaggi sonori possibili. Questa volta, invece di esaminare ogni sera i dati, volevano raccoglierne il più possibile per poi fare una elaborazione globale che desse risposta significativa. Se fosse stata negativa, anche il professore avrebbe deciso di smettere, tornarsene a casa. In fondo, la missione non era stata inutile. Ma questo l’avrebbero visto il giorno dopo.
Quella sera decisero che le informazioni ormai erano sufficienti. Tuttavia, Tom era stanco e rimandò al giorno dopo l’elaborazione. Con tutti quei dati da analizzare certo non sarebbe bastata una notte.
Il battello era particolarmente silenzioso. Il capitano era partito improvvisamente. Un telegramma annunciava una disgrazia in famiglia. Mehmet e la sorella erano al villaggio, come ogni sera.
Tom dormì tutta la notte profondamente. Con le prime luci venne svegliato da un strano rumore, qualcosa che sbatteva contro lo scafo. Un colpo secco che si ripeteva. Si svegliò, si stirò, uscì dalla cabina in pigiama per capire da dove veniva il rumore. A poppa, incagliato nella catena dell’ancora una grande cassa, come una bara, galleggiava e sbatteva ogni tanto contro lo scafo. La cassa era aperta. Dentro, il corpo del professore McTyre orribilmente mutilato, senza testa.
Affacciato alla finestra guardava il cielo nero del suo deserto dell’Arizona.
Se durante il giorno, tornato al lavoro di sempre, Tom poteva non pensare a
quella tragica avventura, di notte, mentre guardava le stelle, gli si
riaffacciavano quei momenti tremendi. L’orribile delitto era rimasto un
mistero. Le autorità locali, la polizia con quell’ineffabile ed ambiguo
sergente Habib, non erano certo stati di grande aiuto. La stampa di tutto il
mondo aveva dato eco per giorni alle più tenebrose fantasie basate sulla
maledizione del faraone. Quella scritta sul canòpo non corrispondeva punto per
punto con quanto avvenuto? Lo scorpione, il serpente, il corpo mutilato che non
avrebbe più potuto alloggiare il suo ka? Ed Hellen, chi era in realtà?
Una dolce e seducente dea bionda o piuttosto una pedina di un gioco in cui la
posta era così alta da non indietreggiare davanti ad un efferato delitto ed
alla teatralità della messa in scena? Aveva forse ragione Mehmed che fin dal
primo momento aveva detto: "non buona, non buona.." Gli interessi
nascosti, se dietro a tutto c’era qualcuno che non voleva che venissero
continuati i lavori, dovevano essere ben grandi.
Ora Tom sapeva che era così. Aveva portato con sé dal trambusto e dalla fuga da tutto ciò che era rimasto della spedizione, i dati della esplorazione sonar, quelli che avrebbe dovuto esaminare proprio quel giorno, quando fu svegliato dai terribili colpi sullo scafo. Ogni sera fino a tarda notte con il suo computer aveva raccolto e rielaborato i dati. Ed ecco finalmente il risultato, nettissimo. Sotto la roccia, una serie di grandi rettangoli e quadrati interconnessi rappresentavano una tomba certamente più grande di quella pur grande di Tutankhamun. Ecco gli interessi che volevano impedirne la scoperta. Forse i moderni ladri di tombe da tempo l’avevano scovata e forse con la complicità di autorità locali a poco a poco ne svuotavano i tesori che poi rifluivano sui mercati clandestini mondiali. Lui Tom di quelle cose non sapeva niente, ma il professor John McTyre, qualcosa deve aver sospettato se era così sicuro che la tomba ci dovesse essere. Ed aveva pagato...
Nessuna stella cadente in cielo. Forse anche il destino di Tom era compiuto. Ma no, lui non voleva che tutto finisse lì. Voleva gridare a tutti quello che aveva scoperto. Ritornare là in forze e questa volta scavare fino a smascherare la tomba e i criminali che la sfruttavano. Non poteva credere nella fatalità della vendetta delle antiche formule magiche che condannavano i profanatori della pace dei morti faraoni.
Aveva messo tutto in chiaro in una memoria inserita nel disco fisso nel computer assieme a tutti i dati raccolti ed elaborati, e lanciato un messaggio via Internet a tutti i potenziali interessati perché si organizzasse una spedizione per portare a termine l’opera del professor McTyre. Proprio quella sera aveva terminato. Ora tornava a riposare e la sera seguente avrebbe visto se vi era qualche risposta, qualche reazione alla proposta. Si soffermò ancora a guardare nel cielo in cerca di una stella cadente propizia. La costellazione di Orione era all’orizzonte. Chissà se fra diecimila anni le stelle si saranno tra loro allontanate od avvicinate? Là nella costellazione gli sembrò di vedere due grandi occhi neri che lo fissavano tentatori. Gli occhi di Zerin... Il suo talismano, brillava sullo scaffale della libreria al chiarore incerto delle stelle.
La sera dopo, accese il computer, si collegò in Internet, cercò tra i messaggi eventuali. Ve n’era uno, anonimo. Con il cuore che palpitava fece doppio click. Dopo un poco lo schermo cominciò a tremare, dei bip furiosi emergevano dai due altoparlanti a fianco dello schermo. Cosa stava succedendo? Un messaggio lampeggiò sullo schermo. Attenzione! Invasione di virus! Attenzione! Ci mancava anche questa! Era la prima volta che gli capitava. Era sempre stato preoccupato che potesse succedere e quindi si era premunito acquistando dei software che segnalavano i virus informatici e li distruggevano. Erano di assoluta affidabilità. Come era possibile che un virus avesse superato quella difesa?
Malgrado i disperati tentativi di premere il tasto escape, lo schermo a poco per volta si anneriva, perdeva pixel luminosi fino a diventare un’incerta serie di punti. Poi tutto nero. Era la fine. Tutto perduto e per colpa di un maledetto virus. Come avrebbe fatto a ricostruire i dati, le immagini che aveva elaborato? E senza quelle, chi avrebbe creduto alla sua storia, lui un semplice elettronico coinvolto in una storia di fantasmi dell’antico Egitto più grande di lui? Chi non avrebbe pensato agli scherzi di una fantasia troppo fertile?
Con la testa tra le mani i gomiti sulla scrivania stava seduto immobile a guardare lo schermo nero. Ad un tratto qualcosa si mosse. Un pennello luminoso stava scrivendo. Un tratto di linea dritta un’altra parallela, due semicerchi a chiudere un rettangolo. Poi da destra verso sinistra, prima una linea seghettata, poi un uccello con sopra un piccolo dischetto. Poi di nuovo una linea seghettata con un semicerchio sopra e sotto un cerchietto con un punto in mezzo, poi una piuma. Un geroglifico fermo in mezzo allo schermo nero! Ma l’aveva già visto quel geroglifico? Sì, sì, ora ricordava. Era il cartiglio di Akhenaton, il faraone eretico.
fine |