introduzione       innovazione pt.1a      innovazione pt.2a       innovazione pt. 3a 

Riflessioni sulla ricerca e sull’innovazione tecnologica

Interventi su il Sole 24 Ore

Parte Ia   Il processo innovativo

1.1 Tecnologia, da un'era all'altra

1.2 Chi fa barriera contro l'inventore?

1.3 E’ possibile predire la direzione del progresso dei prodotti?

1.4 La fabbrica in mutazione

1.5 L'azienda innovativa non ha dimensione

1.6 Il prodotto c'è ma non si vede

1.7 Quando anche i prodotti acquistano una coscienza

1.8 Le affinità elettive tra la forma e la tecnica

1.1 Tecnologia, da un'era all'altra

Come i mutamenti biologici, anche i progressi della scienza non avvengono sempre in modo graduale. Secondo Popper, lo scienziato prima definisce la teoria, poi la sottopone alla «selezione» della realtà.

L'innovazione tecnologica per la sua importanza nello sviluppo socio - economico ha attirato da tempo l'attenzione di studiosi per comprendere i meccanismi (e cioè i legami e la dinamica con cui dalla ricerca si arriva alle invenzioni e da queste, se si ha successo, a innovazioni tecnologiche nei prodotti o nei processi produttivi).

Nei momenti in cui arrivano segnali di forte oscillazione a livello mondiale nell'attività economica, l'interesse per la comprensione dei processo innovativo si fa più acuto, (nella speranza di poter evitare forti oscillazioni puntando su un accelerato ritmo di trasformazioni innovative tecnologiche).

C'è da chiedersi allora se esista un modello soddisfacente del processo innovativo tecnologico.

Anzitutto va osservato che vi sono almeno tre distinti tipi e modi di innovazione.

Il primo riguarda l'innovazione di grande rilievo nel prodotto che porta a creare qualcosa di nuovo sia come funzioni che livelli di qualità e prestazioni. Quando non si tratti di prodotti interamente nuovi che si rivolgono a soddisfare nuovi bisogni, sono prodotti esistenti che ritrovano una loro seconda giovinezza. L'automobile, ad esempio, è già passata, nella sua storia, attraverso un grande cambiamento negli anni 20 (dal modello T della Ford ai modelli a carrozzeria chiusa) e ci si aspetta ora una terza giovinezza (integrazione dell'elettronica e dell'informatica).

Il secondo modo dell'innovazione tecnologica è legato a cambiamenti «incrementali», rappresentanti ciascuno piccole variazioni di miglioramento. E' quanto avviene quando un prodotto nuovo dopo l'introduzione iniziale viene via via, con un processo di apprendimento graduale, migliorato come prestazioni, costi, qualità.

La terza via è rappresentata da grandi cambiamenti innovativi nel processo produttivo (che permettano grossi salti di produttività).

Un altro aspetto interessante dei processo innovativo è che esso avviene a volte bruscamente sostituendo prodotti e processi vecchi con quelli nuovi attraverso vere e proprie discontinuità e rivoluzioni nell'assetto produttivo.

L'apparire di innovazioni fondamentali sia nei prodotti che nei processi ha un effetto trascinante su tutta l'economia e sull'attività di ricerca.

Quanto sopra può essere considerato come un modello elementare che permette di analizzare a livello macro-economico il fenomeno innovativo.

Per costruire un modello più ampio è importante interrogarsi sulla interazione del processo innovativo coi comportamenti e le discontinuità di tutto il sistema economico. I dati storici tuttavia non sono molti.

Per bruciare le tappe, può essere utile esplorare quali modelli sono stati sviluppati per spiegare come avviene il progresso in altri campi dove il dibattito è ben più profondo ed articolato - come quello dell'evoluzione biologica e del progresso delle conoscenze scientifiche - per cogliere analogie.

L'evoluzione biologica rappresenta il progresso della materia vivente verso forme di vita più efficienti (da una parte) e di più elevato livello qualitativo (dall'altra). Il cammino dell'evoluzione è anzitutto segnato da grandi "invenzioni" - come il passaggio da organismi senza nucleo (ad es. i batteri) alle cellule, lo sviluppo di organismi pluricellulari, la sintesi clorofilliana, la riproduzione sessuata - che hanno aperto via via nuovi «spazi» coperti poi a tappeto dallo sviluppo di linee «capofila» ramificate in classi, ordini, famiglie, specie.

L'evoluzione avviene all'interno di una specie per via graduale, seguendo una direzione particolare, quasi rispondendo ad obiettivi di finalità come quello di migliorare via via le prestazioni della propria specializzazione (la velocità nei cavallo, ecc.). Accanto a questa evoluzione graduale sembrano esserci dei momenti di sviluppo accelerato dell'«inventiva» biologica, dei veri e propri salti: ad esempio al momento della creazione di nuove specie.

Quale sia il modello teorico che meglio interpreta l'evoluzione biologica è in questi anni oggetto di un intenso dibattito.

L'evoluzione biologica è governata da un processo a due stadi: mutazione - selezione. Nella materia vivente avvengono delle mutazioni che rappresentano dei potenziali nuovi caratteri da trasferire in via ereditaria. Queste mutazioni tuttavia sopravvivono solo se superano, dopo una serie di prove nel corso di alcune generazioni, il test di adattamento (fitness) all'ambiente (selezione naturale ).
Vi sono tuttavia dei meccanismi sia interni che esterni per cui l'evoluzione, imboccata una certa strada, tende a procedere in quella direzione quasi seguendo un disegno prefissato.
Mentre l'evoluzione nella specie procede secondo questi canali di specializzazione, si costruisce per mutazione e viene accumulato un patrimonio genetico non utilizzato che può portare improvvisamente a sviluppare cammini dell'evoluzione che si dipartono dal canale principale.
Lo studio delle società di animali, la etologia e più recentemente la socio-biologia hanno inoltre messo in evidenza l'importanza del comportamento dei gruppo nella evoluzione, ad esempio favorendo la riproduzione di certi individui rispetto ad altri.

E' interessante capire con quali meccanismi si sviluppino nuove specie. L'argomento è fortemente dibattuto. In particolare si è recentemente messo in evidenza l'importanza - accanto a meccanismi che operano attraverso l'isolamento di una parte di popolazione in condizioni ambientali diverse (famoso l'esempio delle isole Galapagos) - di meccanismi di «sperimentazione» interna alle popolazioni attraverso nuovi modi di sfruttare nicchie ecologiche esistenti, o con ibridazioni tra sottospecie limitrofe.

In sintesi ci interessa rilevare: l'esistenza di una legge generale di generazione di mutazioni e di selezione, l'effetto dell'isolamento e del gruppo per proteggere o orientare lo sviluppo, l'importanza di meccanismi di accumulo di varietà genetiche «dormienti» e la sperimentazione di nuovi caratteri.

Come avviene invece il progresso nello sviluppo delle conoscenze scientifiche? Anche in questo caso il dibattito tra gli studiosi dell'epistemologia (logica della conoscenza scientifica) è vivace. Ci riferiamo in particolare alle idee sviluppate da tre epistemologi nell'ultimo mezzo secolo: Popper, Kuhn, Feyerabend.

Secondo Popper il progresso delle conoscenze procede con un meccanismo base che potremmo assimilare alla legge di evoluzione di Darwin (nei sistemi biologici): lo scienziato nel suo lavoro procede definendo dapprima una teoria (analogia con la mutazione), che viene poi sottoposta ad un processo di confronto (selezione) con la realtà fino a che non si venga in contrasto con i dati sperimentali. Il contrasto genera cosi un nuovo problema che porta in qualche modo all'individuazione di una nuova teoria.

Secondo Kuhn lo scienziato non è un individuo isolato, ma fa parte della società dove le varie teorie esistenti formano un corpo dottrinale che tende ad espandersi come schema di interpretazione della realtà superando le inconsistenze. L'esplorazione scientifica tende ad avvenire secondo un programma (canalizzazione dello sviluppo conoscenze) le cui direttrici sono fissate dal corpo dottrinale esistente (la scienza ufficiale o «paradigma» di Kuhn). Con il passare degli anni e con il progredire delle conoscenze e delle verifiche sperimentali si raggiunge un grado eccessivo di complessità nel cercare di spiegare con ipotesi ad hoc le divergenze. Avviene allora una vera e propria «rivoluzione scientifica» per cui un altro corpo di teorie di più ampia portata si sostituisce al primo (da Aristotele, a Galileo, a Newton, ad Einstein).

Ma come avviene il cambiamento «rivoluzionario»? Fayerabend suggerisce che quando il predominio della «scienza ufficiale» tende alla saturazione dell'esplorazione dei canali «programmati», emergono scienziati-anarchici pronti a «comportamenti irrazionali» contro l'evidenza delle teorie dominanti per esplorare vie nuove fornendo così nuovi materiali di prova. La sperimentazione di nuove ipotesi facilita la rivoluzione scientifica e quindi il sopravvento di un nuovo corpo di teorie. Anche in questo caso l'accumulo di varietà di teorie nel patrimonio conoscitivo (come l'accumulo di varietà genetiche) è fondamentale per il progresso delle conoscenze.

Dal confronto tra i due processi, dell’evoluzione biologica e dell’innovazione tecnologica, è possibile individuare lo schema di un modello che possa servire per spiegare come avvenga il progresso nel «mondo materiale» attraverso lo sviluppo innovativo nei prodotti?

Alcune analogie sono già apparenti ricordando quanto detto all'inizio sulle caratteristiche dei processo innovativo nel passaggio da momenti di grande attività innovativa globale (prodotti - processi) a momenti di più lenta innovazione a piccoli passi.

Da Il Sole 24 Ore, 4 Aprile 1982

                      

1.2 Chi fa barriera contro l'inventore?

Tra evoluzione biologica e progresso scientifico, ci sono molte
affinità: se il cambiamento è drastico, scatta l'allarme

Analizzando a grosse linee le caratteristiche dell'evoluzione biologica e del progresso delle conoscenze scientifiche, si colgono analogie sia tra loro che con il processo innovativo, quasi che il progresso - indipendentemente dal campo in cui si estrinseca - proceda secondo uno schema unico. La cosa può apparire meno strana pensando che l'uomo per migliorare le proprie condizioni per la sopravvivenza deve conoscere la realtà esterna (progresso delle conoscenze) per poter modificare l'ambiente esterno proprio attraverso i prodotti che allargano il suo potere sull'ambiente.

Lo schema, nel caso dell'innovazione tecnologica, suona così. L'attività di ricerca scientifica e tecnologica o eventuali altre attività creative dell'uomo portano alle «invenzioni». Le invenzioni sono il corrispondente delle mutazioni nella biologia. L'invenzione diventa utile quando si trasforma in una innovazione.

Non tutte le invenzioni hanno successo. Il passaggio dall'invenzione all'innovazione avviene attraverso una selezione ambientale. L' invenzione può rimanere allo stadio dormiente per un periodo che va da una decina di anni a mezzo secolo e più, fin che trova condizioni adatte.

L'innovazione, una volta introdotta, tende a diffondersi nel suo campo di applicabilità con una legge uguale a quella con cui cresce una coltura batterica: cresce cioè all'inizio in modo incerto, poi molto rapidamente, per assestarsi ad un livello di saturazione in attesa di essere a sua volta sostituita da un'altra innovazione. E' con questa legge che il detersivo sostituisce il sapone e che la televisione a colori sostituisce la televisione in bianco e nero e gli orologi al quarzo sostituiscono gli orologi meccanici.

Tuttavia, un'invenzione, tanto più quanto sia rivoluzionaria, trova difficoltà a trasformarsi in innovazione per la resistenza del gruppo di tecnologie esistenti legate agli investimenti già fatti.

Le opportunità di innovazione sono elevate nel momento in cui si lancia un prodotto nuovo e si realizza una nuova fabbrica per farlo. Una volta partiti, il mix delle tecnologie adottate tende tuttavia a fare barriera contro l'introduzione di nuove innovazioni che siano incompatibili con gli investimenti già fatti. Quindi, in questa fase l'innovazione procede a piccoli passi (innovazione incrementale) anche se, cumulativamente, può portare a grandi risultati in termini ad esempio di riduzione dei costi di fabbricazione e di perfezionamento continuo del prodotto.

La resistenza a cambiamenti innovativi drastici è tanto più forte quanto più gli investimenti siano elevati e il prodotto di massa. Come nel caso dello sviluppo di una specie, il progresso tende a procedere quasi secondo un canale prefissato. NeI frattempo l'attività di ricerca genererà invenzioni potenzialmente «rivoluzionarie» che dovranno tuttavia aspettare che, con l'invecchiamento degli impianti e la decisione di rinnovare prodotto e processi produttivi, si apra una possibilità di cambiamento nel mix tecnologico. Nella fase di innovazioni incrementali applicate a tecnologie esistenti, vi è tuttavia una certa possibilità anche per tecnologie nuove di essere utilizzate. La diffusione di queste innovazioni, portatrici di un rilevante potenziale innovativo, porta alla sperimentazione in piccolo di nuove soluzioni produttive che possono poi portare ad individuare l'importanza di drastici cambiamenti nell'intero sistema produttivo.

In biologia, scienza, tecnologia, risulta evidente l'importanza dei «gruppo» per bloccare i cambiamenti pur non impedendo l'accumulo e la sopravvivenza di potenziali capacità innovative. Nel caso dell'innovazione tecnologica, inoltre, si è notata l'importanza di cambiamenti esterni in quanto opportunità per dare il via a innovazioni principali. Anche nel campo biologico lo sviluppo di nuove specie può essere favorito da cambiamenti dell'ambiente esterno.

Nel campo economico, inoltre, ai cambiamenti a livello micro-economico o aziendale - come quelli sopraindicati legati al rinnovo di impianti obsolescenti - vi sono variazioni a livello macro-economico che possono avere importanza fondamentale per aprire la via a innovazioni rivoluzionarie. Va ricordato, infatti, che il sistema economico, come ogni sistema complesso, oscilla secondo cicli diversi sia come intensità che come frequenza.

Particolare rilevanza possono avere le cosiddette onde di Kondratiev. Esse rappresentano variazioni dell'intera attività economica mondiale passando attraverso fasi di depressione, di sviluppo, di maturità, di regressione.

Fu osservato già dall'economista Schumpeter che in occasione dei rilancio dell'attività economica compare tutta una serie, quasi a «grappolo», di nuove innovazioni di rilievo, al punto che Schumpeter attribuiva ad esse la causa della partenza del rilancio economico. (Analogia con l'accelerazione dei ritmo dell'evoluzione biologica al momento di creazione di nuove specie) Le innovazioni «dormienti» che si sono nel frattempo accumulate trovano così una grossa opportunità di diventare innovazioni.

E' quindi particolarmente interessante esaminare l'effetto che questi cicli macro-economici hanno sulle attività cicliche micro-economiche come ad esempio il rinnovamento di impianti di una specifica azienda. In particolare vi può essere un effetto di rifasamento sui cicli micro-economici che possono esaltare le variazioni tra un'onda e la successiva. Infatti un'azienda che - in un momento in cui tutta l'economia sia in ristagno e alle soglie di un forte ciclo di depressione - abbia prodotti da rinnovare e stabilimenti entrati in fase di obsolescenza, tenderà a rinviare gli investimenti relativi al momento di riespansione delI’economia. L'azienda, poiché dovrà continuare a produrre e vendere, cercherà di prolungare la vita dei prodotti e degli impianti, cercando di sfruttare anche le ultime possibilità della «innovazione incrementale». Vi è qui spazio per l'introduzione di soluzioni innovative anche se hanno raggiunto solo il livello di prima sperimentazione, purché compatibili con il grosso degli investimenti fatti. Infatti l'azienda dovrebbe essere disposta ad accettare il rischio, grande essendo il bisogno di prolungare il tramonto del mix di tecnologie esistenti.

Vi è in tali condizioni una grossa opportunità per gli enti di ricerca aziendali di

trasferire le idee più avanzate da essi sviluppate per risolvere problemi a breve. E' quanto è avvenuto negli anni '70-‘80 nel caso dell'automobile con l'introduzione dei controlli elettronici nel motopropulsore per ridurre i consumi senza fare sostanziali modifiche nei motori e con l'introduzione di robots intelligenti negli impianti di produzione anche se la loro flessibilità era spesso superiore ai requisiti. In quest’ultimo caso, soluzioni tecnologiche più semplici e già ben provate, tipo linea meccanizzata, sarebbero state troppo costose, meno flessibili e richiedenti modifiche negli investimenti già fatti. L'esperienza che deriva da queste «infiltrazioni innovative» sarà preziosa quando si dovrà scegliere il nuovo mix tecnologico dominante nell'auto del futuro.

Da quanto illustrato, sembrano esservi le premesse per sviluppare un modello auto-consistente dello sviluppo dell'innovazione tecnologica, modello che può aiutare le decisioni per la pianificazione della ricerca e più in generale per la pianificazione strategica sia aziendale che del Paese. Già dal modello molto rozzo sopra descritto si possono derivare alcune osservazioni e raccomandazioni generali.

Quando si accerta che il sistema economico sta entrando in una fase di recessione per raggiungere nel giro di una decina di anni il fondo della depressione e quindi ripartire con una nuova lena, l'enfasi nella destinazione delle risorse di ricerca va messa innanzitutto nel trasferimento di innovazioni tecnologiche «portatrici di cambiamenti profondi» già nei prodotti e nei processi produttivi attuali. E questo per favorire la sperimentazione di soluzioni nuove che potranno essere vitali per il rilancio dell'economia. Inoltre occorrerà accelerare la partenza di nuovi prodotti per nuovi mercati (cioè di industrie giovani ad alto contenuto innovativo) che possono fare ripartire il sistema economico in anticipo rispetto al momento del lancio legato alla «seconda giovinezza» dei prodotti più maturi ritrovata dopo la crisi economica.

Per quanto banali, queste riflessioni possono rappresentare una linea guida per una politica di ricerca del Paese in un momento in cui qualcosa sembra muoversi. Occorre evitare che l'auspicato aumento di risorse finanziarie pubbliche da destinare alla ricerca, in mancanza di un chiaro piano strategico, rischi di portate il sistema di ricerca italiano ad «apprendere» come diventare efficiente solo attraverso delle forti oscillazioni

Da Il Sole 24 Ore, 18 Aprile 1982

                                           

1.3 E’ possibile predire la direzione del progresso dei prodotti?

Il progresso nell'evoluzione: verso prodotti a più alto contenuto di informazione

Alle riflessioni sul cambiamento nel mondo del prodotto e sul ruolo della progettazione, vorremmo aggiungerne un’altra. E’ possibile predire le direzioni del cambiamento o, per lo meno, le sue caratteristiche generali? Può il progettista trarre indicazioni da queste conoscenze?

Da più parti si guarda allo sviluppo di prodotti nuovi come ad un modo per uscire nel medio-lungo termine dalla impasse attuale di una economia matura troppo orientata a ridurre i costi dei prodotti attuali.

Ma perché cambiare i prodotti? Che cosa contraddistingue il progresso reale nei prodotti, capace di suscitare entusiasmi nel mercato ed energie nuove nel sistema economico? E’ possibile "pianificare il progresso", rallentarlo od accelerarlo, sceglierne le direzioni? Come in altri casi può essere istruttivo guardare al mondo della natura per cogliere analogie ed avere ispirazioni.

Non tutti gli studiosi dell'evoluzione naturale sono concordi nel riconoscere i segni del progresso nelle tappe storiche dell'evoluzione. Ad esempio si può dire che una pianta sia meno progredita di un animale vertebrato? La pianta è capace di vivere utilizzando sostanze naturali semplici come l'anidride carbonica che trasforma - attraverso l'uso della clorofilla e di una sorgente energetica esterna primaria come il sole - in complesse sostanze organiche. I vertebrati invece sono solo capaci di vivere utilizzando le sostanze complesse prodotte da altri organismi.

Sì può cercare di definire il progresso nell'evoluzione guardando alla variazione dell'insieme delle caratteristiche che sono cambiate in una data direzione e c oerentemente, naturale. Queste caratteristiche sembrano essere quelle della complessità e dello psichismo crescente. Salendo lungo i rami della evoluzione si trova che gli organismi della specie via via succedutisi sono caratterizzati dall'essere più complessi - sia come numero di cellule e di organi specializzati, che come modo di vita - con una attività psichica crescente. La complessità dell'organismo richiede di per sé stessa una più elevata capacità di gestione e controllo e di elaborazione e smistamento dell'informazione.

L'incremento della capacità psichica di per sé, anche senza una sottesa maggiore complessità dell'organismo, può permettere dei salti evolutivi straordinari come quelli che hanno separato l'uomo dalle scimmie.

Una delle caratteristiche fondamentali dell'evoluzione naturale sembra inoltre quella di aver proceduto per "esplosioni" innovative successive attraverso delle forme madri o tipi, ciascuno dei quali caratterizzato da un nuovo "piano organizzativo" prodotto dall'evoluzione naturale. Così è per il tipo dei mammiferi che viene in successione allo sviluppo del tipo dei rettili.

Trasferendo il concetto di progresso derivato dall'evoluzione naturale ai prodotti dell'uomo, parleremo di complessità crescente (sia nel prodotto che nel processo produttivo) e non tanto di psichismo quanto di contenuto di informazione crescente (quell'informazione che è necessaria per realizzare il prodotto e per utilizzarlo).

Il concetto risulterà più chiaro esaminando un prodotto semplice, ad esempio il vaso e la sua "evoluzione" nella storia: il vaso di terracotta "apparso" decine di migliaia di anni fa, il vaso di vetro, vecchio di alcune migliaia di anni, ed il vaso di plastica che data da poche diecine di anni. Questi tre oggetti sono di uso ugualmente semplice. La complessità è invece crescente nelle tecnologie per farli: argilla, mani e sole, per la terracotta; sabbie silicee, forni fusori, strumenti per maneggiare e soffiare, per il vetro; materiali organici prodotti dall'uomo, complesse reazioni chimiche e macchine moderne, per la plastica.

Esaminiamo ora il grado di informazione necessario per produrre i tre oggetti. Sia nel caso della terracotta che del vetro lo sviluppo del processo produttivo è stato fatto su basi puramente empiriche, senza conoscere le reali trasformazioni che avvengono nei materiali. Solo ora conosciamo i meccanismi del processo di sinterizzazione della ceramica, e vi è ancora un notevole grado di "arte" nel sinterizzare materiali nuovi, ad esempio il nitruro di silicio per dei "vasi" moderni come recipienti per contenere i metalli fusi. Le conoscenze scientifiche sui complessi processi chimici e fisici che sottendono la colorazione del vetro sono tuttora oggetto di ricerca fondamentale. Vi è certamente stata una naturale evoluzione nella qualità e nel colore dei vetri veneziani rispetto a quelli egizi, ma il contenuto di informazioni è cresciuto in modo limitato sulla scorta di lente osservazioni empiriche, procedenti a tentoni. Nella plastica siamo di fronte ad un caso completamente diverso: la conoscenza scientifica dei fenomeni e venuta prima della realizzazione del prodotto. Senza questa conoscenza scientifica non si sarebbe potuto realizzare il vaso di plastica. L'informazione necessaria per chi volesse realizzare il processo partendo dalle materie prime elementari esistenti in natura è enorme, Per il vaso di creta, bastavano invece poche informazioni orali tramandate da padre in figlio. Per i vetri l'informazione era maggiore sì da poter essere mantenuta segreta.

Dall'esame del semplice caso del prodotto "vaso", si è visto come anche l'evoluzione dei prodotti tecnologici possa essere caratterizzata da una complessità ed un contenuto dì informazione crescente.

Si può generalizzare quanto sopra suddividendo con grosse linee di demarcazione i prodotti a base più empirica da quelli a base più scientifica. Questi ultimi sono caratterizzati da una velocità di innovazione superiore, in quanto guidata in modo preciso dalle conoscenze scientifiche.

Nel secolo XIX una nuova disciplina scientifica, l'elettromagnetismo, ha preceduto la realizzazione di nuovi prodotti. Volta, Ampere, Maxwell sono venuti prima di Edison, Galileo Ferrarís, Pacinotti. Le conoscenze scientifiche hanno permesso di individuare le potenziali applicazioni, che venivano portate avanti dagli stessi scienziati in una prima fase. Successivamente, la crescita delle applicazioni possibili e la rapidità dell'espansione innovativa ha reso necessario creare dei laboratori di ricerca applicata che sono stati alla base dello sviluppo di grandi aziende come ad esempio la General Electric.

Nel settore della meccanica, invece, la realizzazione pratica anche di macchine che sfruttano fenomeni fisici complessi, come al tempo dei Greci la turbina di Erone, hanno preceduto la conoscenza dei fenomeni scientifici alla base. Un passo fondamentale nella meccanica è stato compiuto, (e non per nulla si riallaccia ad esso la rivoluzione industriale) con lo sviluppo della termodinamica, che ha permesso di realizzare le macchine termiche, dalla turbina a vapore ai motori a scoppio, alle moderne turbine.

La nascita di una nuova disciplina scientifica sembra rappresentare l'equivalente di una nuova forma madre nell'evoluzione biologica, con un nuovo piano informativo basato sui principi della nuova disciplina che porterà via via alla realizzazione di prodotti sempre più complessi ed a più alto contenuto di informazione necessario non solo per produrlo, ma per usarlo.

Se si confronta il caso di un prodotto tipico della meccanica come l'automobile, rispetto a prodotti derivati dalle discipline scientifiche dell'elettricità e dell'elettronica, non si può non notare che, a fronte di una evoluzione caratterizzata da una complessità crescente del processo produttivo, l'informazione alla base del progetto di una automobile é caratterizzato da un più elevato contenuto empirico (basato su sperimentazioni di prototipi) rispetto a prodotti elettrici ed elettronici. Questo fa si che l'evoluzione nelle caratteristiche del prodotto sia più lenta di un prodotto elettronico. Inoltre ogni progetto realizza sì una soluzione adatta agli scopi funzionali, ma non si sa quanto sia lontana da quella che sarebbe la soluzione ottimale se i complessi processi - che avvengono ad esempio nella camera di scoppio di un motore - potessero essere predetti con esattezza sulla base delle conoscenze scientifiche fluidodinamiche, chimiche e termodinamiche.

Ma le cose stanno ora rapidamente cambiando, Alla domanda su quale saranno le caratteristiche future di un prodotto come l'automobile, l'esperto è imbarazzato a rispondere, anche perché chi fa la domanda si aspetta cambiamenti di tipo morfologico: quale forma, quale motore, quale cambio.

L'automobile del futuro "morfologicamente" assomiglierà molto a quella del passato, quasi, con un irriverente paragone, come l'uomo assomiglia molto allo scìmpanzè. Il grande salto sarà invece nel contenuto di informazioni necessario per progettarla, realizzarla. L'equivalente, sempre mantenendo l'irriverente paragone, della differenza fondamentale di livello psichico tra uomo e primati. Ciò grazie alla possibilità di far precedere la conoscenza scientifica alla realizzazione del prodotto. Si potrà così avvicinarsi nel progetto alla condizione di ottimo rispetto alle specifiche, spesso contrastanti, di confort, qualità, bassi consumi, bassi costi.

Facendo un passo avanti sì può anche immaginare, usando la ricetta derivata dal progresso biologico, una successiva rivoluzione nell'auto che consisterà non solo nell'aumentato contenuto di informazioni per progettarla e per produrla, ma anche per guidarla. E' già pensabile infatti, anche se la pratica realizzazione è lontana, che l'auto possa essere dotata di un sistema di comunicazione che interagisca in modo attivo con il sistema di controllo del traffico passando dalla guida normale ad una guida automatica quando ci si trovi su strade attrezzate.

Non è facile percepire a fondo quanto sta avvenendo non solo in un prodotto come l'auto, ma anche in altri prodotti meccanici. Non è facile perché siamo nel bel mezzo di una transizione rivoluzionaria data dall’incontro tra conoscenze scientifiche e conoscenze empiriche per prodotti che fino ad ora erano troppo complessi per affrontarli fino dalle loro basi "intime" in termini scientifici.

Soprattutto non è facile, percependolo, portare avanti le trasformazioni profonde nell'organizzazione scientifica e produttiva rese necessarie per cogliere tutte le opportunità del passaggio da un prodotto caratterizzato da un contenuto prevalentemente empirico di informazioni ad un prodotto basato sulle conoscenze scientifiche. Occorre, ad esempio, che la ricerca universitaria accetti la sfida delle opportunità di sviluppare la frontiera della conoscenza interessandosi di settori che fino ad ora hanno goduto poco dell'interesse accademico. Occorre inoltre che la spesa per la ricerca, per la sperimentazione e la progettazione passi dall'attuale 2-3% del fatturato - tipico di aziende meccani che - a livelli forse doppi, tipici di aziende a più "alto contenuto scientifico" come la farmaceutica e l'elettronica.

Con qual risorse, in un momento di crisi economica che finisce giocoforza per focalizzare gli interessi e le scarse risorse sulla sopravvivenza a breve? La risposta va cercata anche nell'ambito di una politica pubblica della ricerca capace di cogliere questi segni del cambiamento.

28 settembre 1983 (Non pubblicato)

                      

1.4   La fabbrica in mutazione

La storia della FIAT "UNO": come operano i meccanismi dell'evoluzione tecnologica. Tre sfere comunicanti: ricerca di base, ricerca applicata, e sviluppo di industrializzazione.

La campagna pubblicitaria della Ritmo aveva come motto: "l'evoluzione della specie". Volendo interpretare, alla luce del riferimento a Darwin, il processo innovativo che si riassumeva nella Ritmo, dovremmo riferirci alle mutazioni tecnologiche ed interpretare il progresso come dovuto alla spinta derivante da queste mutazioni (technology push). La campagna pubblicitaria per la Fiat Uno, non ha fatto riferimento all'evoluzione biologica. Tuttavia tenendo presente l'importanza che il raggiungimento di obiettivi come la riduzione dei consumi ha avuto nella scelta progettuale della Uno (che ha portato tra l'altro ad una forma con caratteristiche aerodinamiche eccezionali) dovremmo più che a Darwin, riferirci a Lamarck: è il bisogno che, modificando gli organi, determina l'evoluzione.

Vorrei approfittare dell'attenzione che ha suscitato l'uscita di un prodotto come la Uno, per introdurre uno schema generale del processo innovativo, che più che a Darwin o a Lamarck si riferisce alla più recente teoria dell'evoluzione biologica che fa una sintesi (si chiama appunto sintetica) delle teorie precedenti.

L'evoluzione è un processo a due stadi, come diceva Darwin: mutazione e selezione. Ma vi sono vincoli che vanno soddisfatti. Ad esempio, ogni mutazione non viene necessariamente subito sottoposta al processo di selezione: viene spesso immagazzinata per eventuale futura utilizzazione. Inoltre la selezione non è un processo asettico. Ha i suoi pregiudizi, le sue preferenze. Segue dei canali particolari legati ad esempio alla compatibilità dei cambiamento indotto dalla mutazione con l'architettura dell'organismo realizzata fino a quel momento: la selezione non dimentica la storia. Ogni tanto si aprono dei canali nuovi e l'evoluzione biologica acquista ritmi nuovi. Anche in natura vi sono le piccoli-graduali e le grandi-rivoluzionarie innovazioni.

Possiamo immaginare uno schema di tipo idraulico per illustrare il processo innovativo. Gli elementi dello schema sono: un generatore di idee innovativo, un serbatoio in cui le idee vengono immagazzinate, una macchina selezionatrice che pesca dal serbatoio le idee disponibili attraverso un tubo dotato di una valvola. Lo stato di apertura o chiusura della valvola dipende da vincoli e situazioni particolari.

Per innovazione tecnologica si intende di solito lo stadio finale di un processo molto lungo che dalla ricerca di base, passa alla ricerca applicata ed allo sviluppo di industrializzazione, portando a cambiamenti nel prodotto o nel modo di fabbricarlo.
Nell'evoluzione biologica si immagina che essa sia come un grande albero con tronco, rami principali, rami secondari. Ogni parte dell'albero è collegata all'altra, ma gode di una sua indipendenza. Per far nascere nuovi rami (innovazione rivoluzionaria) occorre spesso risalire indietro ai rami principali o al tronco.

Per analogia, immaginiamo che il processo innovativo avvenga attraverso tre sfere, comunicanti tra loro, ma per altro indipendenti: la ricerca di base, la ricerca applicata, lo sviluppo di industrializzazione. In ognuna di queste, sfere avviene il processo innovativo secondo lo schema indicato: generazione, accumulo, selezione di idee innovative.

Consideriamo a titolo di esempio, la sfera della «ricerca applicata»: la generazione di idee avviene per le informazioni che vi arrivano dalla sfera della ricerca di base sulle idee ivi selezionate. Ma può avvenire anche ricavando informazioni da altre fonti, dalle stesse realizzazioni industriali già fatte, dalla attenzione che la società dà a qualche tema particolare (l'energia e l'ecologia nell'ultimo decennio).

Vediamo più da vicino come può funzionare lo schema.
Ricerca di base: ad esempio, nella chimica organica tutta una serie di ricercatori può cercare di costruire nuove molecole, quasi per gioco, per scoprire fino a che punto si possono mettere assieme gli atomi. Il serbatoio si riempie di casi realizzati in laboratorio, corredati da pubblicazioni scientifiche. Ma queste molecole Inventate quasi per gioco che caratteristiche hanno, aggregate a formare un materiale? Sono stabili alla temperatura? Che caratteristiche meccaniche o elettriche? La risposta avviene attraverso sperimentazioni, di regola, molto più lente del gioco inventivo. Non tutte le molecole «inventate» vengono sottoposte alla verifica. La valvola è governata (più o meno aperta o chiusa) spesso dalla moda scientifica, o dal successo di certi filoni. Ad esempio, la scoperta delle caratteristiche del polipropilene isotattico (prof. Natta) ha accelerato in tutto il mondo le ricerche in quella direzione.

Ricerca applicata: l'attenzione creativa è ora fortemente influenzata dalle potenziali applicazioni: ad esempio, ridurre il peso dell’auto per ridurre i consumi. Quali materiali nuovi possono essere utilizzati? L'invenzione può riguardare la scelta del materiale, il modo di lavorarlo, ecc. Ad esempio, come combinare le resine o le plastiche con delle fibre di vetro, o acciaio, o di carbonio per ottenere materiali compositi interessanti? Il serbatoio della ricerca applicata si riempie di proposte di brevetti. La valvola in questo caso può essere aperta per la sperimentazione di selezione solo verso un settore come l'aerospaziale che guarda soprattutto al risparmio di peso. Può essere invece chiusa verso un settore come l'auto in cui prevalgono i vincoli di costo. I risultati della sperimentazione per l'aerospaziale accumulati nel serbatoio possono diventare tuttavia elementi preziosi per la futura eventuale selezione nell'auto.
Sviluppo di industrializzazione: in questo caso l'apertura o la chiusura della valvola per la selezione è governata in modo molto vincolante dal ciclo di vita del prodotto, dalla esistenza di costosi impianti di fabbricazione che non possono venire sostituito prima dei loro ciclo di ammortamento o della loro obsolescenza fisica. Le idee di nuovi prodotti si accumulano, in attesa dei momento propizio. Il processo innovativo ne risulta ritmato. Il ritmo può essere in parte pianificato (cicli di prodotto) e di conseguenza pianificata l’attività progettativi a monte.

Cerchiamo ora di utilizzare il caso della Uno per comprendere meglio lo schema dei processo innovativo. Innanzitutto la Uno sostituisce la Fiat 127 che ha terminato il suo ciclo di mercato e che è stato un prodotto che ha «fatto scuola». Gli impianti produttivi della 127 hanno anche completato il loro ciclo di ammortamento utile.
La Uno è un prodotto completamente nuovo, costruito con impianti completamente nuovi. La valvola della selezione è pertanto rimasta completamente aperta nel periodo di progettazione. I progettisti sapevano di poter concepire soluzioni senza vincoli, che non fossero di costo e di fattibilità. Diverso è il caso dei rinnovamento parziale (restyling) di un modello esistente che deve essere compatibile con gli impianti di produzione esistenti. Tuttavia, anche nel primo caso, il tempo della progettazione (circa 5 anni) non è sufficiente per inventare, e sottoporre a processo di verifica, delle nuove tecnologie in particolare nel caso di produzioni che richiedono così alti investimenti: un errore può essere fatale. E' pertanto importante che il serbatoio nella sfera dello sviluppo di industrializzazione sia stato riempito con proposte che hanno già avuto il vaglio della selezione a monte (ricerca applicata) o di altre applicazioni (ad esempio gli interventi di cambiamenti parziali nel processo produttivo durante il restyling di modelli esistenti o per modelli per altri segmenti di mercato). Nel decennio che ha separato l'avvio del progetto della 127 da quello della Uno, molte cose sono cambiate nelle tecnologie di produzione. Ne citiamo alcune: a) introduzione dei robot di saldatura, macchine flessibili che possono cambiare sequenza nella saldatura a punti o compiere tratti di saldatura in continuo (sostituiscono i costosi e rigidi i mascheroni di saldatura); b) sostituzione della catena - come mezzo di trasporto del complesso da montare - con un carrello guidato da fili nel pavimento, governato da un calcolatore che lo può inviare a destinazioni diverse seguendo vie diverse (mettiamo insieme robot e sistema flessibile di trasporto ed ecco il «robogate» introdotto per la prima volta per saldare le scocche della Ritmo); c) utilizzazione estesa dei calcolatore per gestire situazioni estremamente complesse in cui parte delle operazioni sono fatte da uomini in «isole» e parte da macchine. Una visita al LAM (Linea Asincrona Motori) a Mirafiori lascia sbalorditi. L’operaio nell’isola fa le sue operazioni di montaggio (più di una), secondo i ritmi che gli sono propri, non incalzato dalla catena (anche senza arrivare agli eccessi ridicolizzati in Tempi Moderni). Quando ha terminato, preme un pulsante. Il calcolatore manda un carrello a prelevare il motore e decide a quale ulteriore isola di montaggio o macchina inviarlo.

Se non si fosse potuto utilizzare queste esperienze innovative accumulate negli anni, gli investimenti per realizzare la Uno sarebbero stati ugualmente rilevanti (impianti nuovi), ma non altrettanto innovativi. Il progetto ha potuto avvalersi di questa disponibilità di nuove tecnologie di fabbricazione. Un solo esempio: la sospensione posteriore di concezione completamente nuova si è potuta avvalere della saldatura continua realizzata da robot.

Ed il collegamento con le innovazioni nella sfera della ricerca applicata? Limitiamoci al caso dell’aerodinamica, che è certamente uno dei punti forti del progetto Uno. Cosa è successo nell'ultimo decennio nella ricerca applicata? Innanzitutto la disponibilità per la sperimentazione automobilistica di gallerie, sia aerodinamiche che del freddo e del caldo, di dimensioni adeguate. Ma non basta disporre di gallerie. Anche le vetture precedenti erano entrate nella galleria, ma solo a fine progetto, per piccoli ritocchi aerodinamici. Il Cx poté così scendere da 0,45 (valore medio delle vetture non provate in galleria) a ca. 0,40, ancora lontano tuttavia dai traguardi teorici possibili di ca. 0,20. La Uno si è invece potuta avvalere di una sperimentazione su una ampia gamma di forme vicine al minimo di resistenza teorico ed alla creazione di un bagaglio di conoscenze sia teorico che pratico sull'effetto che modifiche di forma hanno sulla resistenza aerodinamica. E’ entrata in galleria all'inizio, e non alla fine dei ciclo progettuale. Lo stilista ha potuto lavorare in galleria partendo da forme con Cx vicino al minimo teorico, per arrivare, «peggiorandolo» un poco, ad una forma stilisticamente valida ed aerodinamicamente migliore rispetto ai modelli precedenti.

La storia potrebbe, per l'innovazione in una automobile, finire qui. Qualche anno, fa in effetti qui finiva. Il ricorso alle innovazioni nella sfera della ricerca di base, anche se teoricamente possibile, era in pratica estremamente limitato dalla complessità estrema di un prodotto come l'auto. Prendiamo il motore. Benché i principi teorici della termodinamica e della cinetica chimica fossero ben noti, difficilmente si poteva pensare di utilizzarli per predire a tavolino l'efficienza di una data configurazione della camera di combustione. Il motore rimaneva un prodotto il cui sviluppo era legato alla sperimentazione empirica su prototipi. I successi della ricerca di base nelle tecniche di analisi computazionale, lo sviluppo di conoscenze sperimentali (è possibile, con un fascio laser, leggere: temperatura, velocità dei gas, concentrazione di prodotti della reazione di combustione in un punto qualunque della camera di combustione) hanno cambiato radicalmente la situazione. E' così possibile a tavolino, ad esempio, determinare quale sia la posizione più efficiente per posizionare l'elettrodo della candela.

Il prodotto automobile, da prodotto a base prevalentemente empirica, sta passando a prodotto a base scientifica. E' una grande rivoluzione. La Uno si è posta all'inizio di questo nuovo canale evolutivo. Dove porterà questo collegamento completo tra ricerca di base, applicata e sviluppo è difficile dire. Certo dipenderà dallo stato in cui si trovano i vari serbatoi nelle tre sfere del processo innovativo.

E’ il caso forse di richiamare l’attenzione dell’Università e degli Istituti di ricerca sul fatto che questo cambiamento non sarà di scarsa importanza. Auguriamoci che anche la ricerca italiana sia pronta a modificare i propri indirizzi. Comprendere meglio il processo innovativo da parte di tutti, è forse più importante ora che nel passato.

Da Il Sole 24 Ore, 26 Febbraio 1983

                      

1.5  L'azienda innovativa non ha dimensione

Il ruolo della piccola e della grande impresa nello sviluppo tecnologico

Si sente sempre più spesso oggi lodare la capacità innovative delle P.M.A.. Vent'anni fa, all'epoca del gap tecnologico con l'America, si guardava invece alla grande impresa come l'unica capace di entrare nella sfida tecnologica. Cambiamenti di moda o variazione effettiva di ruoli? In realtà, il processo innovativo è piuttosto complesso e la dimensione dell'azienda non caratterizza necessariamente la sua capacità innovativa. Dipende dai settori e dal momento storico. All'inizio del secolo, una piccola azienda a Torino o Detroit poteva giocare nell’auto un ruolo ben diverso da quello possibile negli anni 60. E' possibile che una piccola azienda, oggi, nella periferia milanese abbia le stesse opportunità di sviluppo nella microelettronica di una piccola impresa nella Baia di San Francisco (ora Silicon Valley) nel 1960? Un recente studio dell'OCSE (L'innovazione nelle piccole e medie imprese, 1982), di cui si raccomanda la lettura, distingue per le P.M.A. cinque condizioni diverse con diverso approccio innovativo.

Sia nella grande che nella piccola impresa, la partenza del processo innovativo è caratterizzata dall'uso di informazioni disponibili. Tuttavia, la capacità di recepire anzitutto e quindi di trasformare in modo creativo dette informazioni dipende fortemente dalla dimensione dell'azienda. Una grande azienda dotata di laboratori di ricerca è, almeno in linea di principio, capace di utilizzare le informazioni così come prodotte dalla ricerca scientifica di base. Per una piccola azienda (a causa delle poche risorse umane) ciò vale solo nel caso, piuttosto eccezionale almeno da noi, di un ricercatore che avendo lui stesso partecipato allo sviluppo delle conoscenze di base ed apprezzandone le potenzialità applicative decide di farsi imprenditore.

Se una piccola azienda non può attingere direttamente alla fonte del cambiamento delle conoscenze scientifiche, è allora condannata ad un ruolo innovativo di secondo ordine? Non necessariamente, perché esiste tutta una serie diversa di "trasformatori di conoscenze" che producono informazioni direttamente applicabili nel processo innovativo da una P.M.A.. A prescindere dai laboratori di ricerca applicata (associativi o meno) là dove esistono, sono le aziende più grandi fornitrici di materiali e di macchinario a svolgere questo ruolo, attraverso le informazioni che vengono "solidificate" nelle novità dei materiali e nelle innovazioni dei macchinari. Basti pensare al ruolo di "starter" delle idee innovativi per le P.M.A. svolto dalle fiere tecniche.

Il processo produttivo è un sistema complesso: partendo dalle materie prime, vi è un flusso di materiali che passa da una azienda all’altra e da uno stabilimento all’altro della stessa azienda per venire via via trasformati nel prodotto finale. Il sistema produttivo è composto da aziende di varie dimensioni da piccole a grandi, integrate tra loro in una relazione cliente/fornitore. Essere piccola, per una azienda può essere condizione stabile (per un prodotto in fase di maturità) oppure condizione transitoria.

Il complesso meccanismo che lega le varie aziende nel processo di fabbricazione di un dato prodotto, lega anche tra loro, completandosi a vicenda, le aziende nella innovazione del prodotto. Assumendo ora che il sistema produttivo abbia prodotto nel suo evolversi un mix di aziende di varie dimensioni ottimali ai fini della produzione, ci si può chiedere se detto mix sarà anche ottimale sempre, quando si consideri le capacità innovative del sistema. Vorrei qui suggerire un criterio per stabilire quando detto mix può ripartire in modo ottimale anche i ruoli innovativi.

Nel considerare le varie parti che compongono un prodotto (nell'auto sono migliaia), vi sono modi diversi di ripartire dette parti secondo una qualche "gerarchia". Ad esempio, si possono suddividere in parti primarie (per la loro importanza nelle prestazioni del prodotto) e parti ausiliarie. Una gerarchia che introduce invece direttamente l’aspetto innovativo è quella legata a ciò che potremmo chiamare la "durata del ciclo innovativo". Nel caso di un motore auto, questo ciclo può avere una durata di 20/30 anni. Infatti, gli investimenti per produrre in scala ottimale un motore sono tali che non sarebbe economico rimpiazzarli in tempi più brevi. Una innovazione di base in un motore (che quindi richieda nuovi impianti produttivi) deve attendere, in condizioni normali, che il vecchio modello di motore diventi obsoleto. Gli investimenti per le parti principali della carrozzeria hanno un ciclo economico di sostituzione di circa 10 anni. Gli interni della carrozzeria di regola vengono rinnovati ogni 3/4 anni nei cosiddetti "restyling".
I cambiamenti fondamentali innovativi in un componente a lunga durata di cielo innovativo, sono principalmente governati dalla "spinta tecnologica", mentre per quelli a ciclo più breve è il "tiro del mercato" che spinge di più al cambiamento. Inoltre, la differenza per il salto innovativo tra il vecchio e nuovo componente è di regola molto maggiore nel caso di una durata lunga del ciclo innovativo, rispetto al caso di ciclo breve. Le idee per un nuovo motore possono avere inizio nei laboratori di ricerca anche 15-20 anni prima della realizzazione commerciale del motore. Difficile pensare, malgrado la persistenza di inventori isolati appassionati di motori, che il compito possa venire svolto da una piccola azienda. Questa è invece più adatta, perché più pronta a cogliere i cambiamenti nel mercato, a contribuire all'innovazione di componenti a breve ciclo innovativo. Questo criterio di ripartizione gerarchica può pertanto servire da chiave di lettura della ottimalità o meno di un dato mix di aziende lungo un processo produttivo.

L'esempio dell'auto è tipico di tutta una serie di prodotti di grande serie. A monte del processo innovativo, vi sono grandi aziende che producono materiali e semilavoratori, a valle le grandi aziende responsabili del prodotto finito, e in mezzo un mix di aziende di varie dimensioni per la fornitura di parti e componenti. Un altro caso interessante è quello di P.M.A. responsabili della parte finale del processo produttivo (ad esempio, mobili, piccoli elettrodomestici). A monte, sono grandi aziende fornitrici di materiali (ad esempio, plastiche) e macchinari. Queste aziende a monte svolgono un ruolo dì forte spinta di innovazione tecnologica nel loro sforzo di ampliare il mercato per i loro nuovi materiali o macchinari.
Il legame fornitore/clienti assicura in questo caso un soddisfacente legame di trasferimento delle potenzialità innovative delle nuove scoperte scientifiche. L'ottima ripartizione in termini di durata del ciclo innovativo è qui assicurata automaticamente dal fatto che le P.M.A. sono responsabili della parte finale del ciclo produttivo.

In condizioni di mercato stabile od in crescita, il sistema di relazioni fornitore/cliente sopradescritto assicura una condizione stabile nel processo innovativo. La grande azienda responsabile dell'innovazione nel prodotto finale si basa sulle proprie capacità e su quelle dei suoi fornitori per ottenere quei graduali incrementi innovativi nel prodotto e nei processi produttivi che caratterizzano la fase di maturità di un prodotto. Il progettista del prodotto finale è responsabile dei cambiamenti nelle specifiche delle parti acquistate, contando sulla abilità del fornitore di utilizzare in modo innovativo le informazioni disponibili per migliorare i materiali e le lavorazioni e le caratteristiche dettagliate del progetto delle parti fornite. Vi è una intensa osmosi, su basi formali o informali, di know-how tecnologico ed un dialogo continuo con proposte di cambiamenti innovativi dalle due parti cliente/fornitore, rese possibili dalla loro lunga relazione e dal ritmo stabile dei cambiamenti tecnologici.

Cosa capita, tuttavia, quando il mercato entra in periodi di forti oscillazioni, di incertezza, con forti salti innovativi introdotti dalla concorrenza? Le oscillazioni vengono trasmesse lungo il sistema produttivo dai clienti ai fornitori con ritardi, che inducono fluttuazioni che possono risultare distruttivi del sistema di relazioni. Il ritmo dell'innovazione non è più stabile. L'azienda responsabile del prodotto finale può temere di non essere in grado di innovare il prodotto finale con rapidità e qualità tali da competere con la concorrenza che nel frattempo può essere indotta ad accettare il rischio di cambiamenti tecnologici elevati, o anticipare l'immissione sul mercato di nuovi modelli.

La capacità di accelerare il ritmo dell'innovazione dipende solo in parte dalle idee innovative sviluppate ed immagazzinate in casa. Sono in grado i fornitori di star dietro al rapido cambiamento innovativo? In particolare le piccole aziende, che, date le loro dimensioni, difficilmente hanno potuto "immagazzinare" idee innovativo alternative?

Nel caso di grandi aziende che forniscono materiali e macchinari a P.M.A. responsabili del prodotto finale, in momenti di crisi e quindi di tagli nei costi operativi, può avvenire che esse tendano a concentrare la loro spinta di trasferimento dell'innovazione tecnologica sui clienti e sulle aree più consolidati. Dal canto suo la piccola azienda può, nel tentativo di accelerare il ritmo di innovazione nei suoi prodotti, chiedere al fornitore più assistenza e idee innovativo di quanto questi possa dare. Anche in questo caso, la conseguenza è che il flusso di trasferimento innovativo procede a scossoni.

Si può pensare che in generale il passaggio attraverso la crisi sia benefico, quando non distruttivo, perché mette l'accento sulla importanza della innovazione e sulla necessità di aumentare le risorse ad esse destinate. La dinamica delle interrelazioni tra il sistema produttivo tuttavia mette in luce la difficoltà di sviluppare delle politiche pubbliche efficaci. Il fine da raggiungere con dette, politiche è quello di rafforzare il processo innovativo. Tenendo conto dell'intreccio complesso tra aziende di varie dimensioni, non è facile decidere sui mezzi di intervento che dipendono sia dai settori che dal particolare momento storico. E' di solito sbagliato pensare di poter isolare dal sistema le piccole e medie aziende ed intervenire solo su esse con una politica di incentivazione od altro. Il supporto và dato, per ottenere l'effetto voluto, dove ci sono le risorse per sviluppare in modo accelerato, se si è in periodo critico, le soluzioni innovative. Ad esempio, anche se ciò può sembrare paradossale, per aiutare la capacità innovativa nelle piccole aziende può essere utile aiutare la grande azienda a sviluppare progetti che mettono al servizio dei problemi della piccola azienda le loro capacità di ricerca ed innovazione, su temi di interesse comune (nel loro rapporto cliente/ fornitore).

Nei periodi di sviluppo normale, il legame tra le aziende nel sistema produttivo assicura, come già detto, di tenere il passo con l'innovazione. Anche in detti periodi tuttavia è importante avere una politica pubblica che deve in tal caso avere come obbiettivo quello di creare idee innovative da "immagazzinare" per i tempi di crisi, quando può essere ormai troppe tardi pensare di svilupparle.

Un caso di speciale rilievo da segnalare, come indicato anche nel citato studio OCSE, è quello di aziende di medie dimensioni operanti nelle cosiddette "tecniche generiche" come servosistemi, controlli, pneumatica, idraulica, scambio termico ed altro. Queste "tecniche generiche" giocano un ruolo molto importante nella diffusione di nuove tecnologie di base (come nuovi materiali, microelettronica, ecc.) nei prodotti finiti e nei processi di fabbricazione. Per dare un esempio, le macchine a controllo numerico non possono trarre vantaggio dalle opportunità della innovazione legata alla integrazione su larga scala della microelettronica, a meno che i microchips non vengano "integrati" nel progetto delle unità di controllo di regola fornite da aziende specializzate. Carenze di capacità di incorporare, rapidamente, in esse le nuove tecnologie di base avranno l'effetto di bloccare le capacità innovativi dei loro clienti.

Anche in questo caso, l'accelerazione del ritmo dell'innovazione può trovare limiti nella disponibilità di risorse umane oltre che finanziarie delle aziende medie responsabili di componenti di "tecnica generica". Una efficace politica pubblica dovrebbe in questo caso favorire programmi di collaborazione di R & S tra le aziende clienti e le aziende fornitrici, allo scopo di sviluppare prototipi di componenti che dimostrino la possibilità di integrarvi le nuove tecnologie di base.

Da IL Sole 24 Ore, 7 ottobre 1983

                      

1.6  Il prodotto c'è ma non si vede

Dal corso universitario al viaggio organizzato, cresce l'offerta di beni "immateriali". Ricerca, sviluppo, e innovazione possono svolgere un ruolo trainante anche nel terziario

Il concetto di prodotto, ben chiaro quando si tratti di oggetti che hanno una loro consistenza fisica (hard products), si è venuto negli ultimi tempi estendendo ad una serie di beni "immaterìali" (soft products) per lo più messi sul mercato da aziende del cosiddetto terziario. I più recenti prodotti di questa categoria sono la conseguenza dello sviluppo delle tecnologie elettroniche: i programmi per l'uso degli elaboratori, più noti con la parola originaria americana "software". I francesi hanno adottato un neologismo (logiciel), che tuttavia dà una idea ristretta di questo tipo di prodotto.

Nel caso delle energie "soft" in Italia è invalso l'uso di parlare di energie dolci. Si potrebbe quindi essere tentati di utilizzare la dizione "prodotti dolci", ma per evitare confusioni con la pasticceria, proponiamo quella di "prodotti terziari". La difficoltà nel trovare un nome per caratterizzare questo tipo di beni è indicativa del fatto che si tratta di un fenomeno recente.

Il catalogo dei prodotti terziari si sta rapidamente estendendo. Solo pochi anni fa, non avremmo pensato che un viaggio potesse essere considerato un "prodotto". La diffusione dei "package tours", la pubblicità che si fa su di essi (come per un dentifricio), la concorrenza tra agenzie turistiche, ci persuade ora che di un vero e proprio prodotto si tratta.

Ed un corso di lezioni universitarie è un prodotto, oppure no? Saremmo tentati di dare una risposta negativa. Tuttavia, cambiamo idea se quel corso viene pubblicato come libro o, ancora meglio, diffuso come video-cassetta.

L'estensione del concetto di prodotto a dei beni immateriali, prima non considerati come tali, obbliga a porci tutta una serie di domande, estremamente utili per lo sviluppo delle attività connesse.

Ad esempio, si può introdurre il concetto di "segmento di mercato". I telefilm della serie Dallas sono un prodotto per il segmento di mercato "ora di massimo ascolto". Un cortometraggio TV sui castelli della Loira, si rivolge ad un altro "segmento di mercato", per un pubblico più elitario, per ore più notturne di ascolto. Ma si parla anche di specifica, di "cahíer des charges", del prodotto. Per competere con Dallas, occorre un prodotto che risponda a specifiche analoghe: qualità, capacità di interessare un vasto pubblico, ecc..

E' un prodotto anche un "convegno scientifico", una mostra. Tanto è vero che sono sorte organizzazioni specializzate, che si fanno concorrenza tra loro. E siamo già invasi da un eccesso di questi "prodotti". Un tecnico, un professionista, ha ormai difficoltà a scegliere tra un elenco incredibilmente lungo di convegni specialistici.

Quale sia il limite tra prodotto e non prodotto nel "terziario" dipende spesso solo dalla creatività imprenditoriale. Un quotidiano qualche settimana fa descriveva un possibile viaggio a piedi da Ventimiglia a La Spezia lungo la cima degli Appennini liguri, come un modo intelligente e sportivo di passare 20 giorni di vacanza. Trasformato in "package tours", tutto incluso, potrebbe diventare un prodotto.

Si sente spesso dire che l’Italia non è capace di mettere a frutto la ricchezza del proprio patrimonio artistico. Quanti possono essere i prodotti "package tours" da mettere sul mercato internazionale, per segmenti diversi di, clientela, che sappiano offrire qualità e affidabilità, ciascuno con una propria ben individuata "specifica"? Che effetto possono avere sull'incremento del turismo?

L'introduzione del concetto di prodotto obbliga a chiederci: chi sia il "progettista", cosa sia il "processo produttivo", cosa significhi innovazione, ricerca e sviluppo. Nel processo produttivo per un disco, includiamo l'orchestra? Chi è il "progettista" di un corso universitario? Si può fare ricerca sul processo produttivo per un disco? Cosa significa innovazione nei "package tours"? Possiamo parlare di sviluppo di nuovi prodotti nel campo delle assicurazioni?

Sviluppare in modo sistematico delle risposte potrebbe essere stimolante e rappresentare la base per politiche di intervento per lo sviluppo non solo del terziario, ma delle attività industriali collegate.

Quello che sorprende, a differenza con il caso dei prodotti industriali, è il tanto discutere che si fa sui fabbisogni da soddisfare. In altre parole, il mondo della "domanda" si interroga sui propri bisogni, alla ricerca di prodotti che non ci sono. Come esempio, si può citare il caso della "educazione permanente", della "università della terza età". Sociologi, associazioni di interessati, politici ne parlano assiduamente. Iniziative, in risposta, ne sorgono con continuità. Ma come si fa ad essere garantiti che i servizi offerti soddisfano le esigenze? Quali le "specifiche" esplicite? Come innovare i prodotti attuali per meglio soddisfarle? Un cosciente uso del concetto di prodotto da parte della domanda, potrebbe aiutare, nella migliore definizione della domanda stessa.

Per esaminare in modo approfondito come possa aiutare la estensione del concetto di prodotto, limitiamoci a porre il problema della innovazione, intesa qui nel senso più ampio inclusiva della innovazione tecnologica ma non limitata ad essa.

Innovazione in un corso universitario può voler dire migliorarne le "prestazioni", a pari contenuto scientifico, grazie all'uso di tecniche audio-visive. Oppure, potrebbe significare strutturarlo in modo più flessibile, sì che alcune parti di esso possano essere frequentate da non specialisti. Vi potrebbe essere invece una innovazione di tipo organizzativo: un gruppo di professori si associano per redigere un corso in collaborazione, suddividendosi i compiti, ad esempio: elaborando una serie di esercizi e casi esempio più ampia di quanto possa fare un unico docente. La possibilità tecnologica di riprodurre una serie di lezioni su videotape, deve porre il problema se non sia necessario un cambiamento innovativo in detta direzione con lo sviluppo di un ruolo diverso degli insegnanti. Il corso, come mostrato dall'esempio dalla Open University inglese, è cosi più facilmente riconoscibile come un prodotto, può essere venduto, vi è concorrenza. Il "costo di produzione" del corso aumenta notevolmente, ma anche il suo valore: sono migliaia gli studenti che lo possono seguire a casa sul loro televisore.

Sarebbe interessante se L'Università si dotasse di un "ufficio progettazione corsi".
I docenti dovrebbero curarsi di rispondere alle specifiche di progettazione: la qualità media, se non quelle delle punte eccezionali, ne guadagnerebbe. L'esempio del prodotto "corso universitario" è solo uno dei tanti che si potrebbero fare.

Parlare di innovazione del prodotto costringe a porsi degli obbiettivi di innovazione e quindi definire dei termini di riferimento: appunto le specifiche del prodotto.

Parlare di innovazione del processo produttivo costringe ad esplicitarne le varie fasi: che cosa si acquista, quale è il valore aggiunto interno. Non si può, inoltre, parlare di innovazione per un prodotto in generale, sia esso industriale o terziario, senza considerare il sistema globale: prodotto e sua utilizzazione. Ciò è vero ad esempio per un automobile per cui ci si chiede, o ci si dovrebbe chiedere ad esempio per l'obbiettivo innovativo di ridurre i consumi cosa si possa fare per migliorare non tanto il veicolo ma il sistema di controllo del traffico. Ma ciò è tanto più vero per i prodotti "immateriali" se si parla di innovazione tecnologica, perché la possibilità di intervento sono spesso solo a monte e a valle del prodotto stesso. Una società di assicurazione può essere interessata, ad esempio, a promuovere ricerca e sviluppo per ottenere informazioni sugli effetti causati da sinistri in impianti. I risultati servono sì a migliorare il loro prodotto - stabilire un premio più equo - ma il legame non è certo di tipo fisico come quello che interviene tra le ricerche sulla combustione ed il progetto di un motore.
Generalizzando il caso, si arriva ad identificare un ruolo interessante per l'innovazione tecnologica degli enti che vendono servizi: quello di definire la domanda di innovazione tecnologica. Ad esempio, la direzione PTT che vende "prodotti" nel settore delle comunicazioni, potrebbe giocare un ruolo più attivo nel definire i fabbisogni di ricerca, e non limitarsi ad esaminare le alternative tecnologiche esistenti che possono portare ad un diverso "processo" globale di produzione ma sostenere lo sviluppo di nuove tecnologie più adatte.

In un epoca di grave crisi industriale, di crescente importanza del terziario quando la concorrenza giapponese non la si misura solo in termini di prodotti industriali "hardt", ma anche in termini di cartoni animati una politica esplicita di domanda/offerta, di prodotti/processi dei beni forniti dal terziario si rende necessaria. E con esso si rende necessaria la presa di coscienza, non solo - come già avviene - da parte dei fornitori di servizi ma anche degli utenti, delle loro associazioni e della classe politica in generale, che vi è una trasformazione in atto ci piaccia o no per cui la logica di prodotto si estende ad una fetta sempre più grande dell'offerta del terziario. In particolare, questa presa di coscienza può aiutare a coprire il divario attualmente esistente tra le enunciazioni generiche sui fabbisogni sociali - qualità della vita, istruzione giovanile, medicina preventiva, ecc... - di cui sono pieni i capitoli introduttivi dei programmi di intervento pubblico sulla ricerca e sviluppo, e le azioni effettive in essi previste (che si sanno concepire soprattutto in termini delle componenti "hard" del sistema globale prodotto/utilizzazione).

Con il molto parlare che si fa dell'importanza del "need’s pull" - la soddisfazione dei fabbisogni - la ricerca e l'innovazione tecnologica, in particolare nel settore dei servizi, è ancora soprattutto guidata dalla spinta tecnologia (technology push). L'utilizzazione estesa del linguaggio dei prodotti aiuterà, non fosse altro, a sviluppare un colloquio costruttivo tra le "due culture", quello socio-umanistico e quella tecnologica.

Da Il Sole 24 Ore, 4 luglio 1983

                      

1.7  Quando anche i prodotti acquistano una coscienza

Il rapporto tra industria e design in un mondo in trasformazione

Si svolge a Milano un grande convegno internazionale del Design. E' una occasione per riflettere come cambia la progettazione in questa epoca che tutti percepiscono come di transizione. Se questa transizione c'è, è nei prodotti che la si deve cogliere. In proposito occorre tener presente gli aspetti diversi del cambiamento nel mondo degli oggetti prodotti dall'uomo. Forse è giunto il momento di porci in modo esplicito l'obbiettivo di re-inventare i prodotti esistenti, notando il contrasto tra l'avanzamento tecnologico nei prodotti stessi e la arcaicità delle specifiche fondamentali cui il prodotto risponde. Un idea per un ruolo della Cee è che si possa sviluppare un approccio nuovo per concorsi di progettazione allo scopo appunto di ridefinire le specifiche ed aggiornarle alle mutate condizioni tecnologiche e sociali. E' poi da notare l'avanzata di un tipo nuovo di prodotto nel campo dei servizi e del terziario, il "prodotto immateriale" senza cioè consistenza fisica. C'è da chiedersi come per tale prodotto si ponga la problematica stessa della progettazione e, a monte, quella della ricerca e dell'innovazione.

Osservando attentamente il mondo dei prodotti, altre caratteristiche emergono che sottolineano la fase di transizione, la necessità di comprenderne le direttrici di cambiamento per cogliere anzitutto la sfida per la progettazione. Oltre al fenomeno citato della crescente "invasione" di prodotti immateriali, mi sembra sia da notare anche l'emergere di quello che potremmo chiamare prodotto-sistema. Di cosa si tratta?

Siamo circondati ed utilizziamo prodotti diversi integrandoli spesso tra loro per svolgere una o più funzioni. L'insieme di questi prodotti, ad esempio gli apparecchi in cucina, può venire considerato esso stesso un prodotto, visto che assieme cooperano a svolgere una data funzione? La risposta é positiva solo se a monte vi é stata una specifica progettazione che ha radunato, collegato e completato i vari oggetti, secondo una specifica iniziale, studiando soluzioni alternative, verificando i risultati con le attese. Solo allora siamo di fronte a un prodotto-sistema. Altrimenti si tratta non di prodotto ma di un aggregato di prodotti diversi.

Possiamo esaminare gli elementi che indicano l'emergente importanza dei prodotti-sistema.

Emblematico é il cambiamento che sta avvenendo nei prodotti per l'ufficio. Le nuove tecnologie dell'informatica hanno messo a disposizione una molteplicità di nuovi prodotti tra cui è difficile districarsi. Non é più, come nel passato, un problema di scegliere degli standards per ottenere sconti di quantità, migliore assistenza e cosi via. Vi é ora un problema di costi-benefici da esaminare, di compatibilità tra le singole apparecchiatura, di vincoli che l'acquisto oggi di prodotti per l’automazione degli uffici avrà domani sulla possibilità di estendere detta automazione inserendo altre macchine. Và ristrutturato o meno l'ufficio per poter avvantaggiarsi delle nuove tecnologie? Fino a che punto é possibile scegliere soluzioni tecnologiche o contrattuali flessibili? Ogni caso presenta problemi particolari.

Le grandi aziende hanno creato uffici appositi di progettazione "sistema automazione uffici" per presiedere alla acquisizione delle nuove macchine. Non é tuttavia una nuova versione aggiornata dell'ufficio acquisti. E' un vero e proprio ufficio progetti.

Inoltre, da parte dei fornitori sempre maggiore é lo sforzo di "system engineering" che devono fare i loro uffici vendita per convincere il cliente. Spesso devono farsi carico di fornire chiavi in mano l'intero sistema incluso i prodotti di case concorrenti.

Consideriamo un esempio diverso. Nelle costruzioni civili la prefabbricazione tende ad avere come conseguenza la necessità dì incorporare nel prodotto base (le strutture, i muri) altri prodotti (l'impianto elettrico, i servizi idraulici, pareti attrezzate).

Negli elettrodomestici e negli altri apparecchi per la cucina, il venditore già ora è sempre più spesso chiamato a dare consigli su come integrare il nuovo accanto ai vecchi elettrodomestici. Piccoli uffici progetto-sistema in miniatura? La cucina modulare è già un esempio di prodotto-sistema. Sistemi integrati più completi, vengono sviluppati soprattutto per forniture di primo impianto in case nuove.

Un altro esempio è dato da quanto sta avvenendo nelle grandi infrastrutture, come gli aeroporti. Fino a che punto si può ancora suddividere le strutture aeroportuali in più prodotti, con diversi tempi di rinnovamento: gli edifici, le apparecchiatura di controllo traffico, l'arredo? I cambiamenti nelle tecnologie, nella densità e qualità del traffico di persone o merci porta ogni volta a ridisegnare l'intero sistema come un unico prodotto integrato.

Un'altra caratteristica emergente riguarda ciò che potremmo definire come prodotto-cosciente.

Ogni prodotto nasce da una specifica, implicita o esplicita, che rappresenta i requisiti cui il prodotto dovrà soddisfare. Nel caso di un modello sostitutivo, la specifica é tarata sul prodotto esistente di cui presenta una variazione. Nel caso di prodotto nuovo, la specifica rappresenta soprattutto la percezione di un bisogno e della possibilità di soddisfarlo. Sia in un caso che nell'altro, lo schema del processo produttivo - dalla specifica, alla progettazione, alla produzione, ed utilizzazione del prodotto - è di tipo popperiano (congettura-confutazione): percezione di un problema (fabbisogno di un prodotto nuovo o modificato), invenzione di una soluzione (l'equivalente della congettura nella epistemologia popperiana), selezione da parte del mercato.

Questa selezione finisce per identificare le limitazioni della soluzione proposta (l'analogo della confutazione della congettura), che innesca il meccanismo per il rinnovamento del prodotto o la ricerca di uno nuovo.
Sulle specifiche del prodotto interviene, in varia misura, la società ponendo vincoli e normative. Tuttavia la "congettura" rimane un fatto che si gioca all'interno della impresa; mentre la società, il mercato si limita al ruolo della "confutazione".

Se la società nella sua globalità, incomincia ad interrogarsi sul perché di un prodotto, su come evitare effetti negativi indotti dalla diffusione del prodotto stesso, sulla necessità di sviluppare prodotti per motivi strategici (sopravvivenza a lungo termine della società), allora si può dire che il prodotto acquista una "coscienza".
Al di sopra del processo congettura-confutazione si inserisce ad un livello gerarchico superiore, un problema ontologico del prodotto stesso: chi sono?, perché esisto? Per fare solo alcuni esempi: centrali nucleari, mezzi di trasporto individuali, psicofarmaci.

L'automobile è stata forse più di altri prodotti investita dalle problematiche ontologiche. Parlare di come "ri-progettare" l'auto é stato un po' un discorso di tutti nei salotti, nei bar, nei treni, (come in tempo di guerra parlare di tattica e strategia). Un riflesso serio di questa coscienza comune del prodotto - di come dovrebbe o non dovrebbe essere – è nel cambiamento del ruolo e dell'intervento della normativa e regolamentazione pubblica. Non solo maggiori vincoli o standards, ma leggi che definiscono: prestazioni nuove da raggiungere in tempi dati (anche se richiedono soluzioni tecnologiche non esistenti); modi di misurare dette prestazioni, con cicli di guida che pretenderebbero di essere rappresentativi della varietà quasi infinita del modo di utilizzo.

Il caso nucleare è paradigmatico di un altro tipo di problematica ontologica. Fino a che punto la comunità è in grado di trovare il compromesso ottimale tra fabbisogni primari da soddisfare e rischi? In alcuni casi il meccanismo congettura-refutazione ha funzionato, ed il prodotto lanciato sul mercato é stato accettato, malgrado il rischio connesso (si veda ad esempio lo sviluppo del trasporto aereo). Tuttavia non vi é stato un processo cosciente decisionale a priori. Man mano che il prodotto veniva realizzato e rinnovato in generazioni successive, si sviluppava anche la problematica della sicurezza, affidata alla professionalità del progettista ed al miglior uso dello stato della tecnica.

Una maggior coscienza del rischio del prodotto non può venire risolta semplicemente scaricando ogni responsabilità, sul progettista, come sembrerebbe emergere dalla evoluzione della legislazione sulla "product liability". Infatti la progettazione di prodotti sempre più "coscienti", finisce per diventare una progettazione collettiva della società assieme alle imprese produttrici.

Abbiamo parlato dell'emergere di "prodotti immateriali", di "prodotti-sistema", di "prodotti coscienti", come di classi distinte. In realtà si tratta spesso di caratteristiche che intervengono contemporaneamente nello sviluppo di uno stesso prodotto. La maggior coscienza di se che un prodotto acquista può trovare soluzione, nel passare alla progettazione, ad un livello gerarchico superiore di prodotto-sistema. E' il caso ad esempio dell'auto nel traffico. Oppure é la stessa invasione dei prodotti immateriali, come il software nelle tecnologie informatiche, che costringe a trasformare aggregati di prodotti in un prodotto-sistema (come nel caso dell'automazione degli uffici). Oppure può essere la necessità di affrontare come sistema degli aggregati di prodotti ormai caotici, a porre il problema ontologico, (come nel caso dei prodotti per la cucina).

In un caso come nell'altro, sia che si possa classificare il prodotto in una delle tre categorie o che si tratti di tener conto delle caratteristiche nuove emergenti, il progetto non può non fare i conti con questi cambiamenti.

Che cosa cambia nel progetto? E' evidente la crescente complessità. Diventa più complessa anzitutto la fase di definizione iniziale delle specifiche del prodotto. L'archetipo del progettista architetto che risolve questa fase parlando con il cliente, non é già più valido per prodotti industriali. Ma anche il dialogo tra progettista o ufficio tecnico e marketing per definire assieme le specifiche del prodotto viene a perdere molto della sua rappresentatività per risolvere i nuovi problemi. Chi definisce le specifiche del prodotto cosciente? Non é forse il marketing stesso il più vicino alla possibilità di progettare il prodotto immateriale? Come suddividere la responsabilità tra marketing, progettazione e cliente per dei prodotti-sistemi le cui specifiche dipendono da variabili strategiche (emergenti nel lungo termine)?

La fase di definizione delle specifiche assume una evidenza a se stante, e non é più solo la fase di avvio del progetto perché il progettista sia in grado di comprendere ed accettare il compito. Và probabilmente inventato un modo nuovo per affrontare la definizione delle specifiche.

Per quanto riguarda la fase di progettazione vera e propria, le difficoltà cambiano a seconda dei tipi di prodotto.
Per il "prodotto-sistema" si tratta di riuscire a sviluppare le varie tappe della progettazione incluso quelle della sperimentazione in vivo del prototipo, cosa che può essere particolarmente difficile per prodotti come: un aeroporto, i mezzi di trasporto urbani, l'arredamento domestico. Per sperimentazione in vivo si intende la possibilità di simulare da vicino il comportamento del prodotto e la sua interazione con l'utente.
Per il "prodotto immateriale" é il concetto stesso di innovazione e della correlata attività di ricerca e sviluppo, che viene messa in difficoltà, pur continuando ad essere un elemento essenziale del processo produttivo.

Per il caso del "prodotto cosciente" è soprattutto la vastità del campo di analisi delle conseguenze dell'immissione sul mercato di un prodotto che perturba il concetto stesso di progettazione. Se ad esempio il progettista deve assicurare che a fine vita il prodotto avrà morte completa e "ritornerà cenere" (come é avvenuto per i detersivi), può essere estremamente difficile porre limiti all'analisi. Infatti, non sempre é possibile risolvere il problema progettando il riciclo dei materiali a fine vita. Il caso più paradossale al riguardo é quello delle centrali nucleari, per le quali il progettista dovrebbe assicurare come immagazzinare in modo sicuro per migliaia di anni fino al loro decadimento, alcuni prodotti radioattivi formatisi nel nocciolo del reattore.

La ricerca e la definizione dei limiti del progetto e delle responsabilità del progettista diventerà uno degli aspetti importanti del futuro della progettazione. Come nel passato, la società, nell'accettare detti limiti, dovrà accettare un certo grado di rischio.

La differenza, rispetto al passato, con l'emergere della coscienza del prodotto, é che il processo relativo diventa esplicito, con tutte le difficoltà di una gestione "democratica" della progettazione, come mostrano i casi frontiera portati avanti dai vari gruppi di "verdi".

Da Il Sole 24 Ore, 26 Ottobre 1983

                      

1.8  Le affinità elettive tra la forma e la tecnica

Ingegnere e designer arrivano al progetto attraverso valutazioni differenti dell'ambiente, del comportamento umano, della scienza

Ho fatto parte, come rappresentante delle aziende, del Comitato Direttivo ADI (Associazione Design Industriale). E' stata una esperienza di quelle che lasciano un segno. Da allora mi sono sempre chiesto quali e fossero, al di là delle simpatie umane, le «affinità elettive» che hanno legato un addetto alla ricerca industriale - certamente lontano dal classificarsi come progettista - con dei designers.

Una risposta suggeritami da alcuni amici dell’ADI è che ognuno di noi, sotto aspetti e con intensità diverse, ha avuto modo nella vita di fare del «progetto», nel senso di aver seguito il metodo del progettista (trovare soluzioni - soft o hard - per finalità utilitaristiche contenute in una qualche specifica esplicita od implicita ).

Vorrei qui tuttavia sviluppare una risposta più specifica per illustrare il rapporto stretto che credo unisca, almeno in certe condizioni storiche, la ricerca tecnologica ed il design: l'importanza dell’utopia in ambedue i casi.

In periodi di «scienza normale», come direbbe Kuhn, il ricercatore è animato prevalentemente da spirito di analisi (esprit géométrique). E' lo specialista che tenta di penetrare sempre più nei «misteri della natura», seguendo il filone della «speranza. riduzionistica»: riuscire, cioè, a comprendere i sistemi complessi «riducendoli» ai loro componenti elementari, cercando di scoprire le legge «elementari» che legano tra loro detti componenti. Il progettista è motivato invece sempre, o almeno così dovrebbe essere, da spirito di sintesi (esprit de finesse), cercando di costruire oggetti sempre più complessi seguendo il filone della «speranza progettuale» (se posso prendere a prestito il titolo di un libro di Maldonado).

Tuttavia non sempre il progettista segue il metodo della sintesi. Ad esempio, man mano che un prodotto nuovo si consolida e diventa prodotto di massa, esso tende a standardizzarsi. Il progettista-ingegnere si concentra sugli aspetti tecnologici del prodotto e del processo produttivo, finendo per seguire, egli stesso, soprattutto il metodo dell'analisi. Il progettista-designer mantiene lo «spirito di sintesi», ma finisce per limitarlo agli aspetti formali dei prodotto: da designer diventa stilista. Tutte cose note. Non meraviglia in questo caso che il ricercatore-tecnologo ed il progettista-ingegnere si sentano affini, accomunati come sono dallo stesso «spirito di analisi». Ma per questo stesso motivo poche dovrebbero essere le affinità elettive del ricercatore-tecnologo con il progettista-designer.

Vi sono tuttavia periodi in cui la ricerca attraversa fasi di transizione nelle quali cambiano le motivazioni prevalenti e diventa rilevante, per guidare la ricerca stessa, lo «spirito di sintesi». La cosa è ben evidente a livello individuale, quando un ricercatore percepisce la rilevanza utilitaristica delle sue scoperte scientifiche ed «inventa» una pratica utilizzazione. Da quel momento egli diventa, o può diventare, un progettista-imprenditore. Non voglio qui tuttavia riferirmi a casi individuali, ma a fenomeni che a certi momenti storici modificano sostanzialmente l'atteggiamento della ricerca, almeno di quella applicata. Ciò avviene quando le scoperte scientifiche permettono di intravedere delle grandi applicazioni, tali da segnare fortemente il destino dell'umanità. La «speranza progettuale» invade allora il mondo della ricerca.

Ho avuto la ventura, come ricercatore, di occuparmi successivamente di due campi in cui ciò è avvenuto. Anzitutto il campo dell'energia nucleare. I sentieri della ricerca sono qui dettati non tanto dal desiderio di rivelare misteri profondi, quanto dalla necessità di sviluppare le conoscenze pratiche per realizzare il prodotto inventato sulla base delle scoperte fondamentali. Data la complessità del prodotto da sviluppare, è necessario costruire un «progetto di riferimento» che in buona parte è una «utopia tecnologica». Da questa utopia - si preferisce di solito in ambito tecnologico denominarla «scenario» - si derivano le specifiche per i problemi particolari da risolvere con la ricerca applicata.

La seconda parte della mia esperienza di ricercatore applicato, si è svolta in un settore da tempo «maturo», quello automobilistico, in un momento, tuttavia, in cui il prodotto attraversa una fase di «dematurità», per emergere rinnovato e rispondente a requisiti imposti dalla società (ecologia e consumi) per soddisfare i quali occorre sviluppare tecnologie nuove. Anche in questo caso diventa essenziale per il ricercatore avere un «progetto di riferimento», una utopia tecnologica da cui derivare le specifiche per le singole ricerche. L'utopia tecnologica, nel caso specifico in cui mi sono trovato coinvolto, sta ora per diventare un prototipo di vettura nell'ambito del Progetto Finalizzato Trasporti del Cnr.

Tornando al mondo dei progettisti-designers mi pare che qui l'utopia, anche se motivata dagli sviluppi sociali più che da quelli tecnologici, sia sempre stata un elemento importante per sviluppare la «speranza progettuale». Una conferma recente la trovo nel caso dei venti progetti per il futuro del Lingotto, per l'entusiasmo con cui il problema è stato affrontato dai progettisti coinvolti, e per l'interesse con cui le loro utopie sono state seguite, analizzate e criticate.

Progettare l'utopia come punto di partenza per le rispettive attività professionali sarebbe quindi il legame analogico che mi ha unito agli amici designers. Tuttavia il discorso va forse al di là delle analogie. La complessità delle «utopie» per la società odierna è tale che non bastano più né le «utopie - tecnologiche» né le «utopie - sociali», per sviluppare dei «progetti di riferimento» che servano per orientare il nostro lavoro. Occorrono utopie - o, se vogliamo, scenari - che includano sia gli aspetti sociali che quelli tecnologici. Da qui, credo, la ragione profonda della «affinità elettiva» che spero coinvolga sempre più ricercatori e designers.

Da IL Sole 24 Ore, 24 giugno 1984

Commento di un designer: Rodolfo Bonetto

Il progetto ha sempre radici profonde e lontane nel tempo, perché si avvale delle stratificazioni culturali etiche e sociologiche e si propone il superamento di esperienze già fatte disponendo dei relativi feed back. Ma, nel contempo, esso si pone come obiettivo il "non fatto" e da qui deriva la necessità di sintetizzare con la fantasia elementi reali ed elementi immaginati per creare "l'ipotesi" (progetto di riferimento) che può dimostrarsi successivamente, plausibile od utopistica.

Ugo Businaro che, dopo le importanti esperienze vissute da top-manager della ricerca dimostra una non comune vitalità intellettuale, nel tentare di individuare le "affinità elettive" che sicuramente esistono tra il progettista ingegnere ed il progettista-designer parla di "scenario" e di "utopie" quali comuni riferimenti per entrambi. E' vero che la creazione di uno scenario è operazione che rientra, per così dire, nei due tipi di progetto quello tecnico e quello della forma, ma, a parte la diversità degli scenari, sono gli stimoli che li hanno generati che sono diversi e anche diverse sono le chiavi di interpretazione.

Il designer immagina il comportamento umano e l'oggetto come elementi inscindibili, ed è proprio la percezione umana dell'oggetto e dell'ambiente che sono il campo primario della sua ricerca. E la tecnologia, seppure con le sue enormi capacità di stimolazione, acquista per il designer il valore di strumento, importantissimo, ma pur sempre strumento.

Il progettista ingegnere, essendo più analitico, tenderà probabilmente alla creatone di scenari composti da riferimenti tecnici, scientifici ed economici tra i quali la percezione umana è considerata quasi una conseguenza e non un fattore generante.

Forse anche i principi etici dei due casi hanno sfumature diverse, ma l'elaborazione di Businaro ci dimostra quanto sia impellente la mutua comprensione tra gli addetti al progetto che tenda, non attraverso la despecializzazione, ma con la "trasparenza" delle barriere disciplinari e l'interazione culturale tra discipline, alla fondazione di una nozione"'integrata" di progetto.

Da IL Sole 24 Ore, 24 giugno 1984