Ricominciamo dall’inizio. La differenza fondamentale tra i testi (le opere) primari (letteratura, musica od altre arti) e quelli secondari è che i primi sono un atto di libertà. Possono esserci o non esserci. Sono una creazione del tutto libera. Per i secondari, invece essi esistono solo in quanto ci sono i primari. I testi secondari possono anche essere ben fatti, interessanti, ma sempre la loro esistenza dipende dal fatto che esista il testo primario di cui loro sono una derivazione. Non possiamo quindi trattare tutti i testi allo stesso modo.
Per i testi secondari si potrebbe anche accettare che essi siano solo un prodotto interno al linguaggio senza riferimento con l’esistenza di un mondo esterno e di una qualche rappresentanza che i testi diano di esso. Possiamo considerarli solo come chiacchiere (senza dare significato denigratorio alla parola, ma solo per significare che essi sono dei prodotti del sistema linguaggio e che rimangono all’interno del ‘sistema’). Per le opere primarie, no. Esse sono una creazione che prima non c’era.
Del discorso alla Barthes sui testi primari si può accettare il rapporto particolare tra autore e lettore. Ma forse non la frammentarietà del testo che finisce per essere solo una miniera di frammenti con i quali il lettore si costruisce il suo tutto. Tra l’autore ed il lettore deve instaurarsi un rapporto tra chi dà e chi riceve. Chi riceve deve essere a ciò disposto, ma anche chi si dà deve essere disponibile. A volte l’autore sembra restio. Crea solo per lui e magari poi distrugge (a volte brucia veramente il manoscritto). Ma l’opera di valore supera questa volontà dell’autore. Tra l’opera d’arte ed il fruitore, secondo Steiner si deve instaurare un rapporto di apertura, di cordialità.
A questo punto Steiner si chiede: perché vi sono opere d’arte? Se è per
creare forme che imitino la natura (come diceva Aristotele) questa è già così
ricca di forme che può accontentare tutti i nostri desideri di bellezza. La
risposta che Steiner dà è che si crea perché c’è già stato un creatore.
Sarebbe una specie di impulso di ribellione per essere stati creati, noi ed il
mondo, a nostra insaputa, senza che ci sia stato prima chiesto. Quindi l’artista
crea per riprendere in mano lui le sue origini, il potere di ricreare sé stesso, od il mondo. La creazione nell’opera d’arte sarebbe pertanto,
secondo Steiner, una rivelazione che esiste un qualcosa al di là di noi e del
mondo. Rivelerebbe la presenza di Dio.
Anche se ciascun’opera è un atto di libertà, può venir realizzata oppure
no, essa nasce da qualcosa che c’è già, da una specie di pulviscolo (che
magari è la nostra storia, la nostra cultura) che ci circonda.
Ma allora, dico io, il linguaggio non sarà poi così separato dal mondo esterno se ogni atto primario non rimane solo all’interno del ‘sistema’ linguaggio. E perché solo i testi secondari dovrebbero rimanerne all’interno? Non mi pare che Steiner metta in chiaro la conseguenza di queste sue idee, sulla presenza esterna di un qualcosa di vero che l’opera d’arte testimonia. Forse lo considera ovvio.
Certamente ho perso qualcosa di importante nei ragionamenti di Steiner, ma non mi pare che la sua sia stata una deduzione diretta da tutto quanto detto prima, l’idea cioè che l’opera d’arte testimonia una presenza di Dio.
Se si mantiene il concetto che il sistema linguaggio sia un sistema separato
dal mondo reale esterno, che vive per il fatto che ha i suoi postulati e le sue
regole per costruire proposizioni ( e da qui discorsi anche fortemente complessi),
che sia una pura convenzione far corrispondere le parole agli oggetti esterni,
allora ci si può chiedere: con quei postulati e con quelle regole costruttive
quanti discorsi si possono fare? E la risposta l’aveva già data Steiner:
infiniti.
Creare discorsi nuovi può quindi essere un gioco che piace fare
proprio per il gusto di giocare. Se tutte le proposizioni non sono decidibili
(se rispecchiano o meno la realtà), e quindi non lo sono neanche i testi fatti
con quelle proposizioni, perché dovrebbe esserlo solo l’opera d’arte?
Infatti se l’opera testimonia di una presenza vera esterna, in qualche modo
non è più indecidibile: essa rappresenta la verità.
Se è veramente un’opera
d’arte, è in qualche modo vera, nel senso che ci lega con qualcosa di esterno
a noi.