da una lettera a Lino (24 maggio 1999)
Per agire devo essere in grado di occuparmi (di
considerarlo “interno” ai miei dati di progetto, alle variabili di cui devo
tener conto) di tutto quello che viene coinvolto dalla mia azione in modo da non
venir deviato strada facendo dal fine originario.
Con ragionamenti filosofici un po' complicati, mi pare che Galimberti dica che
ciò non è più possibile. Non è più possibile agire, ma solo fare (produrre
per il gusto di produrre spinti a ciò dalla tecnica che avanza). I Verdi dicono
che se non è possibile non produrre esternalità negative, allora non va fatto
niente (opzione zero).
Rispetto a Galimberti, mi pare che ci siano ancora delle iniziative umane che rientrano nella categoria dell’agire e che il grado di complessità possa aiutare a definire detto discrimine. Poi vorrei essere più ottimista, ed immaginare che il livello di complessità affrontabile con l’agire (in cui i mezzi non diventano loro i fini) possa crescere, proprio mentre cresce la tecnica.
Adesso vengo alla democrazia. Cosa c’entra la democrazia
in tutto questo ragionamento? Forse c’entra perché la democrazia mi dovrebbe
impedire di produrre dei danni con la mia azione. Quindi in qualche modo
assicurare che il fare si avvicini il
più possibile all’agire.
Se c’è
una dittatura è facile chiudere la bocca a chi soffre le esternalità negative
prodotte.
D’altra parte, un eccesso di democrazia - o se vuoi di ideologia color
verde - può portare ad amplificare troppo tutte le esternalità e quindi a
bloccare tutto. Se mi lucido le scarpe, non dovrei produrre esternalità
negative. Ma se spingo all’estremo l’idea che tutto interagisce con tutto,
non è così. Produco della polvere usando una sostanza un po' nociva (il
lucido). Inoltre per produrre il lucido produco anche rifiuti. Dove vanno a
finire?
Quindi proibito lucidarsi le scarpe! (Salvo forse se utilizzo la cera
delle api senza alcun additivo. Ma è anche questo da discutere. Dovrei fare
degli allevamenti forzati delle api, che condizionerebbero il mondo vegetale. E
poi troppi alveari potrebbero indurre gli animalisti ad insorgere per difendere
le api, come fanno per le gabbie per i visoni...).