Pensierini |
Vi sono letture che stimolano riflessioni generali o generiche su temi più grandi di noi.
Un esempio è dato dalle riflessioni generate dalla lettura, nell'autunno
del '92 del libro di J.D.
Barrow, Theories of everything.
Il libro parla di
leggi universali, delle condizioni iniziali da cui tutto ha avuto origine, delle
forze e particelle, delle costanti di natura, della rottura di simmetrie
iniziali che hanno via via causato la complessificazione dell'universo, dei
principi organizzanti, degli effetti di selezione. E si pone anche qualche strana domanda come:è
pi-greco realmente
in cielo?
Barrow ricorda come la scienza usi la compressibilità algoritmica: ogni stringa di simboli di cui si può dare una rappresentazione
abbreviata è algoritmicamente compressibile. La scienza è la ricerca di
compressioni algoritmiche. Se non fosse possibile la compressione dati, la
scienza sarebbe come una raccolta di francobolli. La mente umana è un dispositivo
che permette abbreviare le informazioni. Cercare una teoria unitaria è quindi
un esempio di come si cerchi una rappresentazione compressa del mondo.
La complessità del mondo rispetto al tentativo di ridurne una descrizione ad una teoria unitaria è un pò equivalente alla differenza tra il prendere in considerazione le soluzioni e guardare alla equazione da cui queste derivano. La varietà delle soluzioni e la loro differenza non la si percepisce guardando la semplicità e la simmetria dell'equazione. Tuttavia questa varietà di soluzioni è in essa contenuta.
La ricerca di una teoria di ogni-cosa tende a ridursi alla ricerca di una simmetria di partenza. Il mondo nella sua evoluzione passa attraverso ad una serie di rotture di simmetria, che rendono possibile sia la varietà che la non predicibilità (raffreddando un magnete, fino a che tutti i magnetini componenti sono allineati, dove sarà il N, a destra o a sinistra?).
Ecco alcune idee generate dalla lettura
del libro.
Sarebbe interessante mostrare che esiste una qualche
legge che governa la complessità del mondo che deriva dalla rottura di
simmetria. Una di queste è la teoria della selezione. Un'altra potrebbe essere
quella della auto-somiglianza.
Alla lettura si sovrappongono i ricordi degli studi
scolastici, della fisica quantistica della relatività. E vero che lo spazio ed
il tempo prima non c'erano? E perché poi sono diventati il substrato di ogni
cosa? Non ne aveva parlato anche Kant? E nella nostra vita come percepiamo lo
spazio ed il tempo? Sempre allo stesso modo o cambia con l'età?
Domande seriamente filosofiche. Se uno ci riflette, mi pare
che vada riconosciuta una effettiva difficoltà a trattare insieme sia il tempo
che lo spazio. Se ci si focalizza sull'essere è il divenire che ci sfugge e
viceversa. Tentare di mettere assieme spazio e tempo fatalmente porta ad una
visione frammentaria del mondo.
Ed allora parliamone, scriviamo
una nota filosofica o quasi sul tempo e lo spazio, sull'essere ed il
divenire.
Qualche altra lettura si sofferma sul progresso. Cosa sia,
come ci poniamo rispetto ad esso. Secondo Nathan
Rosenberg, Inside the black Box, il progresso tecnico è legato a certi tipi di conoscenza che rendono possibile: un maggior volume di output; o
un output qualitativamente superiore da una data quantità di risorse.
E nel progresso tecnico spesso si distingue tra prodotti e processi produttivi.
Un'innovazione è di processo o di prodotto a seconda da che punto di vista la
si guarda: il convertitore Bessemer fu un'innovazione di processo per i
produttori di acciaio, ma fu un'innovazione di prodotto per i fornitori di
equipaggiamento. Schumpeter definisce l'innovazione come uno spostamento della
funzione di produzione che può essere causata non solo da progresso tecnico ma
anche dallo sviluppo di un nuovo mercato, da l'accesso a nuove risorse di
materiali, alla ristrutturazione dell'industria.
Al problema del progresso ho dedicato molte riflessioni ed un libro. Ma ecco che intanto sembra emergere una innovazione, quella dell'informatica, che forse produrrà una vera e propria rivoluzione. Un nuovo passo sulla strada della condanna al progresso. Ecco il fenomeno Internet al suo primo apparire. Difficile tralasciare l'occasione per parlarne e per dare consigli su cosa fare. Siamo nel giugno 1998, un pò prima che tutti riconoscano la portata del fenomeno. ma già si possono fare delle riflessioni.
A dire il vero qualche tempo prima mi aveva colpito il tanto parlare che si
cominciava a fare della realtà virtuale.
Si
vedevano persone con uno strano casco in testa e dei guanti da cui uscivano fili
che si immergevano in un mondo virtuale tridimensionale. Come reagivano a quella
realtà simulata ma apparentemente reale? Che sarebbe successo nel futuro
dall'applicazione estesa della tecnologia? Non avevo immaginato che l'impatto
maggiore sarebbe stato nello sviluppo di giochi che insegnano ai nostri ragazzi
ad essere forti e cattivi, a uccidere con un'auto virtuale un pedone virtuale, a
dare pugni incredibili che fanno fare tre salti mortali ad un gigante che ci
importuna. Pensavo che si sarebbe potuto guadagnare molto sulla nostra capacità
di controllare il comportamento di sistemi complessi.
Forse, pensavo, si potrà gettare un ponte tra i due processi ora
separati: quelle del conoscere e quelli del fare. L'apprendimento sul campo
potrà venir simulato in realtà virtuale. Il grande cambiamento è proprio dovuto all'immediatezza
della reazione dalla acquisizione di conoscenza (dalla simulazione) alla sua
applicazione (reazione dell'uomo verso il computer) ed all'esame
degli effetti. Un grande campo di applicazione sarà quello
dell'apprendimento.
Il piacere del viaggio forse ci è rimasto come un ricordo del passato. Forse la paura di sentirsi poco bene, del male alle ossa o ai piedi, forse la sensazione o che non vi è niente di nuovo da scoprire o che il nuovo ti fa paura, che non si è più pronti ad affrontare le incognite o anche solo le scomodità del viaggio con spirito di avventura. ….
Che dire allora dei sogni di una vecchiaia serena, passata
a fare le cose sognate ma non fatte da giovane? Se non i viaggi, cosa rimane? Le
letture forse. Quanti libri non letti, accantonati per un secondo tempo o di cui
non si era proprio percepita l'esistenza! Allora se non viaggi reali, viaggi
virtuali, avventure dello spirito, visione di vite vissute e raccontate da
altri?
Si può organizzare la
propria vecchiaia?
Se qualche volta penso alla morte lo faccio solo con un senso di curiosità di come avverrà. A poco a poco, o improvvisamente, con una crescente sensazione di degrado oppure senza accorgersene? E’ vero che almeno finché ci si sente bene non si ha l’impressione che la nostra età sia particolarmente avanzata. Tuttavia, a volte, guardando dei coetanei li trovo molto invecchiati. Chissà se loro, guardandomi, fanno la stessa riflessione.
Provo un po’ di imbarazzo a parlare della morte. Ma è forse un modo per rinviare la data, come si dice di quello che legge sul giornale il suo necrologio. In ogni caso forse é meglio cambiare soggetto di riflessione.
Internet, amore mio. Per ora ci passo abbastanza tempo. Mi stuferò presto? La scusa è l’idea che ho di realizzare un museo virtuale della scienza e della tecnologia. Così devo capire cosa si è già fatto…
... Il tempo passa. Altri leggono questi pensierini. Ed ecco una voce che emerge dal vasto mondo. Una giovane, Federica, vuole sasperne di più sulla vecchia. Mi scrive, rispondo. E così dalla terza età passiamo a parlare della quarta età.
Ho deciso, (ottobre 1998) vedremo quanto a lungo durerà, di scrivere le mie memorie.
La ragione principale che mi spinge è per smentire a me stesso che non ho memoria del passato. Spero che lo sforzo riuscirà a far emergere cose che erano rimaste nascoste. Tuttavia c’è un’altra ragione più profonda.
Mi sembra di aver camminato per tutta la vita con i paraocchi. Siamo passato accanto od abbiamo attraversato tanti avvenimenti importanti, ma senza accorgercene o quasi, focalizzati come eravamo sulla nostra visuale ristretta. Vorrei pertanto rifare il viaggio mescolando i ricordi diretti con la lettura storica di avvenimenti contemporanei.
Può sembrare ridicolo farlo partendo dai miei
ricordi d’infanzia. Quando non ero certo tenuto a, o avrei saputo, osservare
quello che avveniva nel mondo. Ma, come forse si rileverà da quanto scritto, si
finisce per scoprire che quegli avvenimenti possono non solo interessarci
indirettamente in quanto modificano il contesto nel quale camminiamo con i
paraocchi, ma possono svilupparsi fino al punto di toccarci direttamente.
(da una lettera a Lino, 11 novembre 1999)
E' un periodo che sono un poco rilassato. Ho finito le memorie e ogni tanto mi chiedo cosa devo fare. Non è che il tempo d'ozio sia tanto. In realtà la micro-attività (l'alzarsi tardi la mattina, l'uscire a comperare l'insalata, il pulire la suddetta, ecc.) porta via quasi tutto il giorno. C'è poco tempo anche per la semplice lettura. A fine sera, invece di fare il punto sulla insulsa giornata finisce che uno guarda la televisione. E poiché la televisione è quasi sempre noiosa, si finisce per prendere in mano un libro. Ma poiché gli occhi si chiudono subito dopo, uno finisce per passare ad Internet. E qui si finisce per scaricare un sacco di cose interessanti da guardare poi. Finalmente è mezzanotte e si va a rigirarsi nel letto.
Tutto bene per tirare a campare. Ma poi mi viene un dubbio terribile. A 70 anni c'è il rischio al giorno d'oggi di camparne altri venti. E vent'anni sono tanti per passarli con la sola micro-attività. Il guaio di chi va psicologicamente in pensione è che non pensa di aver ancora tanto da vivere e di non poter quindi pianificare niente di serio e a lungo termine. Eppure se alla fine avrà passato vent'anni, volgendosi indietro sarà inorridito a vedere come li ha buttati. O dovrebbe esserlo. Ma allora uno che fa? Si rimette a lavorare?
Mi riprende il tarlo dell'idea che nella vita bisogna combinare qualcosa. Pensavo di esserne uscito, ma non è così. Beati quelli che avendo una professione liberale la possono portarla avanti fin che tirano le cuoia, continuando a sognare il momento tanto desiderato in cui andranno a pescare le trote.
Ma noi cosa potremmo fare? Bruna dice, tu con la tua testa potresti fare chissà cosa. E mi rimprovera uno spirito rinunciatario. Ma cosa? Posso scrivere, ma occorre avere talento. Lavoro tecnico purtroppo non ne faccio da quarant'anni. Difficile cominciare ora (non c'è nessuna Alta Direzione che sembra apprezzare la mia consulenza). Forse è il caso di pensare di aprire una libreria e di vendere libri. Magari solo su Internet. Adesso che la parola d'ordine è l'e-commerce magari uno ci fa pure i soldi. Come quel ragazzo americano che si è messo su Internet a vendere i formaggini del posto.
(da una lettera a Lino, 9 febbraio 2000)
Fa impressione scrivere 2000 nella data, quando ad esempio fai un assegno.
Di salute sto bene. Vado a ginnastica due volte alla settimana in mezzo a delle signore che mi ricordano quelle che frequentavano il mio albergo a Greenwhich (ultrasettantenni tutte). Solo che allora io non ne avevo neanche 30. Fa un effetto strano pensare di avere 70 anni e trovare che li hanno, e quindi sono vecchietti, solo gli altri. Forse ha ragione Sara che alla domanda, ma i tuoi nonni sono vecchi, risponde. " Sono vecchi quasi giovani".
La sensazione che non è più come una volta tuttavia ti capita spesso. Per esempio, trovo difficile decidermi per un viaggio. Ho un non so che senso di paura. Malgrado ciò ho deciso di portare Pietro a Venezia per carnevale. Solo io e lui. Forse è una ringiovanita (si dice?).
Certo che l'ambiente che frequenti aiuta a sentirti più o meno vecchio. Per esempio la routine quotidiana, il tempo perso in tante piccole cose, finisce per renderti oltre che casalingo, poco avventuroso. In compenso di notte sogno e molto.
Naturalmente non me li ricordo, ma sono tutti relativi a grandi progetti, a problemi da risolvere che si ripresentano ogni notte e ti sembra che finalmente la soluzione l'abbia trovata. Ma poi la perdi o cerchi inutilmente di ricostruirla. Ad esempio, in un sogno (forse ripetuto, chissà, ogni volta sembra che sia la versione ennesima dello stesso) c'è una macchina che fa, non mi ricordo cosa, (forse costruisce degli oggetti tridimensionali) ma per cui occorre una specie di diapositiva da mettere dentro e che va costruita con un processo nuovo che ho trovato, ma che non riesco a riprodurre E qualche volta m sembra di esserci riuscito, ma poi il sogno si ripresenta con lo stesso problema. In ogni caso mi sembra che si tratti sempre nei miei sogni di problemi da risolvere che impegnano e non portano da nessuna parte. Tra l'altro io dormo a spizzichi (mi sveglio circa ogni ora e poi mi riaddormento correndo dietro al sogno, ma che il più delle volte diventa un altro. Una volta mi sono chiaramente sognato dei numeri e li ho giocati al lotto secondo la migliore tradizione. Ma ovviamente non sono usciti.
Tornato dal mare dopo venti giorni con Sara, trovo una e-mail di Marchetti, che mi dice: Buh! Sei vivo? Che fai? E mi manda un suo lavoro recente in cui specula su come si forma la memoria a lungo termine nel cervello. E' interessante. Vedendo gente più vecchia di me (di un paio d'anni) che continua a fare ricerche anche interessanti, mi prende un po’ d'invidia (o forse è solo nostalgia). Mi metto a far qualcosa, a studiare? Ma poi penso che sia troppo tardi.
Forse l'unica cosa che so fare è scrivere. Ma pare che a
nessuno interessi, salvo naturalmente a Pietro che sollecita sempre nuovi fax.
Ora sono impegnato in una telenovela che riguarda la ricerca del manoscritto
rubato dell'Inferno. La banda che si è messa alla ricerca è fatta da un certo
Pietro, da Speeddy Gonzales, Willie Coyote, gatto Silvestro, ecc. Sono i
cosiddetti nostri amici e Pietro vuole solo storie con loro come personaggi. In una società che
a fatica diventa multi-etnica quella che io descrivo (del resto come nei cartoni
animati) è addirittura multi-specie. Ed il bello è che nessuno si meraviglia
se arriva un topo od un coniglio. Si siedono al ristorante ed ordinano da
mangiare. Naturalmente il coniglio vuole carote. Scrivere dei gialli con loro è
utile, perché può servire per risolvere certe situazioni che il topo più
veloce del mondo in due secondi vada da qui a Roma e ritorno. Il Barone di
Munchausen c'aveva già pensato, ma il suo era un servo e non un topo.
(da una lettera a Lino, 14 marzo 2000)
Vuoi riportarmi sulla retta via dell'ottimismo. E dire che, se qualcuno avesse detto nel passato chi di noi due fosse più ottimista…
Sono naturalmente d'accordo che molto del pessimismo degli anziani è pura nostalgia. Non vedo però che male ci sia ad esercitare un po’ di nostalgia. Ma se depuriamo il tutto da questo fattore, rimane una domanda fondamentale. Ci sono o non ci sono segni di declino della nostra società?
La storia mi pare insegni che il fenomeno del declino esiste (e non solo per l'Impero Romano). A me pare di cogliere ora alcuni segni di effettivo declino. In particolare l'edonismo crescente e l'assoluta mancanza di coscienza che esiste qualcosa come la giusta mercede. Alcuni di questi fenomeni sono mondiali. Altri sono più spiccati da noi che in altri paesi. Ad esempio da noi non esiste più, pare, il principio di chi sbaglia paga o di selezione dei migliori. I criteri con cui si stabilisce la paga sono in alcuni casi del tutto cervellotici (vedi gli stipendi degli impiegati del Parlamento).
Se questi sono i nuovi ideali (che sostituiscono quelli vecchi perché nel frattempo la società è cambiata), allora sono preoccupato. Gli ideali possono cambiare, certo, con il cambiare della società. Tuttavia certi punti di riferimento possono portare alla rovina, od al declino, se preferisci. Ed allora mi preoccupo. Non è solo, o non soltanto una laudatio temporibus actis (!?). E' una preoccupazione che mi piacerebbe qualcuno - ottimista - tramutasse in azione.
Capire che i tempi sono cambiati, va bene. Capire da che direzione ora spira il vento o la brezza, come dici tu, va bene. Ma se prevedo la burrasca, cerco di ripararmi. E' segno di pessimismo? Un pessimismo di fondo c'è in me, se vuoi. E' che non mi sento più in grado di fare niente per cambiare. Borbotto ed alzo le spalle. In questo, sono come il vecchietto nostalgico. Ma la posizione di fondo è diversa.
Qualche tentazione viene, nella terza età di dire la propria ai politici, di dare dei consigli su cosa fare, su temi da affrontare.
Un esempio. In Italia tutti dicono che ci sono troppe leggi. Nessuno sa dire esattamente quante siano. Forse 150.000, un numero spropositato. Ed allora perché non si fa qualcosa per diminuirle? Come? Semplice. Ecco la ricetta.
Naturalmente, poichè l'idea mi sembra buona la mando ad un certo numero di giornali. Senza esito, tuttavia. Allora penso di proporre l'idea all'uomo del giorno, Antonio Di Pietro che sembra stia cercando un suo ruolo in politica. Identico insuccesso.
Ogni tanto il pensiero ritorna ai problemi politici. Siamo in democrazia, o no? Che ruolo abbiamo noi semplici cittadini? Forse fare un pò di filosofia. E così ne parlo ogni tanto con gli amici.
Le speculazioni filosofiche sono tuttavia una fuga in avanti in politica. E se uno affrontasse dei problemi concreti? Delle storture evidenti cui tutti si trovano d'accordo, ma nessuno fa niente? Prendiamo i privilegi. In Italia ce ne sono molti, ma ce ne uno che fa ribollire il sangue di sdegno a tutti, salvo forse ai pochi privilegiati. Parlo delle pensioni d'oro. Qui il privilegio evidente è legato al fatto che la pensione è basata sull'ultimo stipendio e non su quanto effettivamente versato durante tutta la vita lavorativa. Almeno per queste pensioni ci si potrebbe trovare d'accordo sul fatto di applicare da subito il cosiddetto metodo contributivo. Preso da furia politica, ma sentendo la mia voce debole, scrivo al grande Montanelli.
Qualche tempo dopo, approfittando dalle opportunità democratiche che dà Internet al cittadino invio una e-mail a tutte le segreterie dei partiti chiedendo se non siano d'accordo che si possa applicare da subito il metodo retributivo alle pensioni d'oro. Ai partiti di sinistra aggiungo una frase che chiede se non ci si possa concordare che questa è un'idea di sinistra. E poiché la democrazia è tale perché permette a chi non vuole rispondere, di farlo, non mi lamenterò di non avere avuto nessuna reazione.
Ma forse le mie idee sono frustrazioni di un vecchio che sente che il mondo non gli è più famigliare. Perché, ad esempio mi sento ribollire il sangue ogni volta che leggo di certi emolumenti dati come riconoscimento del lavoro, di gambe o di cervello, fatto? Tutti siamo d'accordo che il lavoro debba venir remunerato in funzione del merito e delle responsabilità. Ma esiste un criterio per stabilire un qualche limite? Se un dirigente guadagna 10 o 20 volte più del suo dipendente medio, quando alla mattina si guarda allo specchio, non diventa un poco rosso di vergogna? Io mi auguro di sì. Ma forse mi sbaglio.
Qualche volta esterno agli amici queste idee balorde. Uno di essi dirige un giornale, sia pure di provincia. Ed ecco che pubblica una mia lettera di sfogo sull'argomento.
Allora forse non sono proprio solo al mondo.