"Apocalisse"

La narrazione, la voce, due voci si sovrappongono, la musica dialoga con loro.
La traduzione teatrale delle più terribili visioni mai narrate dall'uomo non poteva non legarsi ad una estrema semplicità dei linguaggi e della messa in scena. Nessun gesto superfluo, nessun tentativo di rendere visibile agli occhi ciò che non può essere rivelato.
Non certo una lettura sacra, questa proposta dallo Zauberteatro: il testo originale della versione in greco (che ogni tanto riappare come una eco arcaica nella recitazione(, è stato ritradotto e restituito in una forma nuova. La visione di Giovanni assume, in questa riscrittura, dei tempi serrati di cronaca in diretta, con un ritmo recitativo ora incalzante, ora contemplativo, ora addirittura concitato, ma sempre caratterizzato da una luce piena di mistero: quella propria delle visioni che portano ad esperienze non terrene.
La voce di Giovanni descrive quello che i suoi occhi vedono, le sue orecchie sentono, il suo olfatto percepisce. Così si alternano impressioni e sensazioni terribilmente attraenti nella loro crudezza a momenti di estatica meraviglia davanti a manifestazioni sovrumane (divine? O forse arcane solo perchè incomprensibili?).

Fin da subito apparve difficile definire quale rapporto e quanta importanza dovesse avere la musica rispetto al testo recitato, anzi, raccontato. Già nel 1986 Zauberteatro si misurò con questo problema: allora la soluzione fu trovata in un quartetto di strumenti, per così dire, classici (oboe, violino, clarinetto e tromba) che eseguivano la bella partitura originale, composta per l'occasione, da Claudio Boncompagni.
I risultati furono ampiamente appaganti per noi e lusinghieri per il successo incontrato da parte di pubblico e critica (quella versione di "Apocalisse" venne presentata nella rassegne "Extramura" del Teatro di Rifredi e "Il teatro ed il Sacro" di Arezzo ed in numerosissime pievi e chiese storiche della Toscana).
Ma già dal momento stesso in cui vide la luce quella prima delicata operazione, nacque in noi il desiderio di riprovare, con altri strumenti, con altre sonorità e, perchè no, con altra mentalità, di svolgere differentemente questo difficile tema del rapporto voce-musica, per di più applicato ad un testo così poliedrico e complesso.

Così oggi, finalmente, nasce, per Zauberteatro, una nuova "Apocalisse": l'occasione viene dall'incontro con Stefano Guazzone ed altri ottimi musicisti di matrice, prevalentemente, jazzistica. L'idea di abbinare la recitazione ed il misticismo di Giovanni con una musica estremamente viva, così al di fuori dei normali abbinamenti e schemi musicali, ci ha subito affascinato. Lo sviluppo dell'iniziale concetto ha portato ad un rapporto particolare, quasi complice, fra le voci recitanti, legate sì al testo, ma libere di interpretare in ogni istante gli stati d'animo che quel singolo attimo suggerisce loro e gli strumenti che, oltre alle indubbiamente notevoli variazioni interpretative, possono abbandonarsi (ed è certo la loro caratteristica primaria) all'improvvisazione, alla fantasia, alla sensazione. Così sui leggii dei musicisti non sta una vera e propria partitura, ma lo stesso testo che viene recitato.
Una partitura di parole, insomma, che si susseguono e cambiano ritmo e sfumature, nel tentativo di materializzare la visione.
Mario Librando, ott '95

La tentazione di esprimere con musica e voce - ma certo anche con rappresentazioni figurative - le seducenti immagini apocalittiche, è pari al panico che esse generano in chi, tentando di dar loro corpo, se ne sente subito schiacciato.
La narrazione di Giovanni, in straordinario equilibrio fra ordine esplicativo ed esaltazione mistica, fra concitazione emotiva e programma liturgico, dona a questo racconto una luce per noi piena di mistero: quella propria delle visioni che portano ad esperienze non terrene ma dovute al contatto spirituale fra l'uomo-profeta e la parola di Dio. Nell'incontro divino si perde qualsiasi riferimento umano ed un lungo terremoto può esaurirsi in un istante, una sola parola angelica può risuonare per l'eternità, la voce di Satana può riecheggiare come quella di un fanciullo. Tempo reale e tempo interiore dell-avventura spirituale, dimensione metafisica e condizione terrena sono avvolti in una percezione per noi sconosciuta; ed a noi, semplici interpreti di una visione profetica risolutiva, vale a dire che fa e disfa tutto in quanto apocalisse, non rimane che risolverla con gli umili mezzi - musica e voce - e con la sensibilità intuitiva di cui disponiamo.

La descrizione di Babilonia e, dall'altra parte, quella di Gerusalemme, rappresentano, in qualche modo, il paradigma di tutta la tensione umana e quindi artistica. Attraverso il continuo alternarsi - come nella visione di un caleidoscopio meraviglioso - dalla immobilità sublime di mari di cristallo, alla dinamicità delle diaboliche cavallette, dall'oro splendente, all'ulcera brutta e maligna, dall'ira incontentabile, al banchetto di Dio, colmo della carne dei nemici, l'"Apocalisse" tende un filo che conduce dalla A alla Z di questa tensione vitale ed espressiva: la strada da Babilonia a Gerusalemme va dallo scatenarsi della vendetta al più grande atto d'amore. In questo senso l'Apocalisse è un testo limite, ai margini dell'irrappresentabilità. Ed il nostro non è che un tentativo (anche tramite un leggero sfoltimento del testo teso ad una comunicazione più espressiva) di avvicinare ed avvicinarsi alla grandiosa storia dell'Apocalisse, il cui senso va ricercato più che nella suggestione dei suoni strumentali e vocali, direttamente nella trascendenza delle parole di Giovanni.
Del resto il filosofo sconosciuto, Louis Claude de Saint Martin, ci ha indicato la meta, forse irraggiungibile ma necessaria, la tensione verso cui occorre squilibrarsi: "La legge, i profeti, l'Evangelo, l'universo e il cuore dell'uomo sono altrettanti libri apocalittici. Innàlzati insieme a questi testimoni irrevocabili, se vuoi che tutte queste scene d'orrore passino come al di sotto dei tuoi piedi". E' il tentativo di sopportare - denso mistero - la più attraente delle vertigini umane: quella verso l'alto.
Niccolò Rinaldi, settembre '86



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