"La Divina Commedia:
oratorio burlesco"

QUESTA NOSTRA "DIVINA"

Camaiti non è ammesso nella patria della grande letteratura. Né lui né i suoi compari - scrittori dialettali, animatori un poco casinisiti di fogli imbrattati di vin santo da osteria dai quali il verso vien fuori schietto, subito riconosciuto dall'uditorio del posto e ignorato dalle accademie e dalle enciclopedie. Venturino Camaiti è un nome (che già in sé è una suggestione: ce lo vediamo arguto e baffuto, vestito come ci si vestiva negli anni venti, decoroso e senza pretese) che non figura nelle enciclopedie. Eppure da lui la poesia sgorgava naturale e fresca, e con essa anche un'attenzione colta e sensibile alla grande tradizione letteraria della Toscana, come testimonia il suo fornitissimo "Dizionario etimologico-pratico-dimostrativo del linguaggio fiorentino". Si tratta di un'opera colta e utilissima, oggi rigorosamente introvabile. Una prova di più del ghetto nel quale il nostro Venturino è stato recluso, bollato probabilmente come dilettante, certo non meritevole di beccarsi una strada fiorentina in suo nome.
Invece se la meriterebbe. Tuttavia Camaiti non sembra tipo da prendersela, sa di avere le spalle larghe e ben coperte. Dietro di lui c'è un mondo antico e solidissimo di cultura popolare quotidiana, un mondo che vien da lontano e che sa riconoscere i suoi, consapevole di dove provocare e meleggiare e di dove fermarsi per non cadere, mai, nello scurrile, nel compiacimento gratuito del goliardismo.
La Divina Commedia è una selva di episodi e personaggi, di soluzioni narrative arditissime, soprattutto di inventiva straordinaria - ovvero di altrettante occasioni per sbizzarrirsi in immagini difficilissime da imitare, emulare, rappresentare. Ma con una naturalezza apparente davvero sorprendente, Camaiti ha riscritto intera intera tutta la Commedia a modo suo, trovando una misura perfetta, un azzeccato equilibrio fra gioco e omaggio, riuscito anche perché "sta in scena". E per un attore come Alessio Sardelli, al quale va il merito della riscoperta del testo, la "recita" è un'occasione ghiottissima. Camaiti la sua Commedia la scrisse per andare a recitarla nei teatrini popolari, nelle feste di piazza ed è davvero strano per noi che, avendo per anni accarezzato l'idea di uno spettacolo su Dante, ci siamo poi dedicati all'allestimento di un Dante molto diverso e inatteso rispetto alla versione canonica. Ma Dante qui è servito molto bene.
Lo scherzo, la beffa, è in realtà l'apoteosi del genio. Più dei dotti commentari, meglio delle riscritture avanguardistiche. Quello della beffa, è un meccanismo glorificante e funzionale alla fama del personaggio storico, noto, e che lo Zauberteatro aveva già indicato in "1492-libri di Lorenzo", lo spettacolo consacrato a Lorenzo il Magnifico e che quest'estate è riproposto per l'ottavo anno consecutivo - ospite al Castello di Vincigliata a settembre per l'Estate Fiesolana. Nel percorso itinerante di "1492" s'incrociavano più voci su Lorenzo, ed erano voci autorevoli: Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, Guicciardini e Savonarola. Ma la potenza del Magnifico paradossalmente veniva consacrata nella scena conclusiva della taverna popolare, dove al pubblico venivano offerti vino e crostini insieme a uno spettacolo di burattini che raccontavano una novella (una storia vera?) di Antonio Grazzini detto il Lasca nella quale si racconta di uno sciagurato scherzo ordito da Lorenzo a un fiorentino conservatore e oppositore del carnasciale laurenziano. Fra tutte le parti dello spettacolo, questa della beffa è quella che più d'ogni altra glorifica il Magnifico, indicato come eroe capace addirittura di rivivere nei beceri racconti del popolino avvinnazzato, che ne incensa non le doti di statista o di mecenate, ma la fine intelligenza messa al servizio d'una terribile beffa. Lorenzo diventa così più vicino a tutti, e perciò più grande. Cadono i monumenti, ma non cadono i miti popolari.
Camaiti rende a Dante un servizio analogo. Il divino poeta tanto più è meleggiato e tanto più è in realtà osannato. La caricatura è la forma dell'estremo omaggio, inclusa la dichiarazione implicita propria del "sei uno dei nostri", del "a te possiamo dire tutto". E non si tratta di burla grossolana, tutt'altro. Sensibile allo spirito pedagogico e didattico che voleva istruire le "masse", il nostro Venturino non si limita a una canzonatura, ma alza il tiro:
1- La sua Commedia è completa, articolata in 100 sonetti (talvolta raddoppiati), quanti sono i canti, e rispettosa delle varie suddivisioni fra gironi e cieli e quant'altro.
2- Il suo sonetto è un riassunto fedele del canto. Camaiti non tralascia un nome, non ignora nessuno degli episodi fondanti il poema. A tal punto che per la nostra versione in Arno, abbiamo dovuto sfoltire qua e là - mentre nella tournée tedesca ci siamo piccati d'una versione integrale.
3- In questa trama completa, Camaiti non è gratuito nel suo commentare. Infierisce sulle contraddizioni palesi di Dante, della chiesa e talvolta perfino della giustizia divina; abbassa le braccia arrendendosi sconsolato davanti a disquisizioni teologiche incomprensibili e per i più assurde; mette il dito nel destino paradossale di certe anime condannate, come Paolo e Francesca puniti in modo da cornificare in eterno il povero marito di lei.
4- La psicologia sommaria dei personaggi principali (Dante fra l'assonnato, il cacasotto e il divertito, Beatrice saputella, Virgilio pedante e trombone) non è del tutto peregrina, come non lo è mai nel caso delle maschere. Chi esca dalla lettura o dall'ascolto della Commedia del Camaiti avrà quindi una percezione precisa e completa dell'ambizioso disegno della Divina Commedia stessa. Lo spettacolo avrà avuto una ragione di più per avventurarsi in questa impresa alla riscoperta di una cultura con la "c" minuscola che però si capisce adesso quanto è preziosa.
Anche per questo abbiamo chiesto ad Altamante di darci una mano. Personaggi come Altamante - uno degli ultimi stornellatori, che alternerà strambotti e rime improvvisate sui barchini durante gli spostamenti in fiume fra una cantica e un'altra - sono un patrimonio quasi incommensurabile di saggezza che va conservata, registrata, diffusa. La messa in scena da parte dello Zauberteatro della Commedia burlesca era per lui un invito a nozze. E per noi tutti il segno che il mondo del Camaiti non è ancora di ieri.
Tutto questo per far passare una serata di cultura popolare nell'estate fiorentina, il che prosegue lo sforzo dello Zauberteatro di indirizzarsi a un pubblico nuovo e di scoprire nella città nuovi spazi, nuove situazioni per fare teatro. Siamo contenti di aver portato il Dante novecentesco e ancor più spensierato del Camaiti in Germania lo scorso inverno. Sia l'opera di Venturino che il nostro lavoro erano in misura diversa due testimonianze che la Divina Commedia a Firenze non è un testo morto, ma ancora un'occasione di movimento creativo.
Meno fieri possiamo essere dello stato degli argini dell'Arno. Questo emblema e protagonista di Firenze è proprio maltrattato - è sotto gli occhi e i nasi di tutti. L'Associazione I Renaioli si sta sobbarcando un compito enorme: restaurare le poche barche sopravvissute agli anni, riattivare dei percorsi fluviali, avvicinare la cittadinanza a una diversa fruizione dell'Arno e dei suoi ponti, finalmente osservabili anche dal basso verso l'alto (ed è uno spettacolo). Sin dal 1985 lo Zauberteatro si è impelagato a fare teatro là dove esso non era previsto, ma anche là dove le scenografie monumentali o naturali della città meritano una valorizzazione. Da Vincigliata alla Villa Medicea di Careggi, dall'Orticoltura a Villa Fabbricotti, dalla torre dell'acquedotto di San Salvi a chiese e musei, il pubblico ha potuto imbarcarsi in spettacoli itineranti dove lo spettacolo è anche un viaggio fisico al seguito degli attori. Non a caso la maggior parte dei testi da noi rappresentati raccontano di viaggi, come la Divina Commedia. Ma questa estate - con un grande grazie ai Renaioli senza la cui disponibilità e financo esistenza niente di ciò sarebbe stato possibile - la sfida è ancora maggiore: uno spettacolo itinerante in Arno, probabilmente il primo in assoluto. Una sfida teatrale, ma anche una grande voglia di dimostrare che questo fiume può essere vissuto altrimenti, trattato meglio, respirato.

Niccolò Rinaldi



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