Nel 1947, Antonin Artaud assiste a una retrospettiva su Van Gogh al Museo dell'Orangerie a Parigi.
Pochi giorni dopo scrive di getto "Van Gogh, il suicidato della società", un saggio che
è al tempo stesso un omaggio alla forza espressiva del colore scagliato sulla tela dal grande pittore
olandese e una denuncia contro la società che si serve della psichiatria e la legge sul manicomio per sbarazzarsi di
certi individui pericolosi.
La novità espressiva della pittura di Van Gogh è una bomba capace di far esplodere i canoni borghesi
di un'arte imprigionata dalle convenzioni accademiche della società del Secondo Impero.
Questa visione delle cose, questa intuizione - che è il punto critico di un
processo di trasformazione - e questa impotenza di autoaffermazione,
minano alla radice la salute mentale di certe anime già indebolite da una
forte sensibilità e da un smania esistenziale che non trova mai pace.
Artaud, come Van Gogh, soffre questa insofferenza; come Van Gogh è perseguitato
da certi disturbi psichici che in seguito a ricoveri frequenti in manicomi e a
cure traumatizzanti, si trasformano in malattia cronica e in delirio.
Ma da questa follia traspare una lucidità impressionante, con la capacità di
guardare e sentire le cose al di là della normale percezione, e si traduce in
rappresentazione della realtà per raggiungere un legame più profondo con le
cose, in uno state di totale immedesimazione.
I contadini nei campi dipinti
da Van Gogh emanano la forza e la fatica del lavoro che trasuda dalla tela,
certi quadri bruciano di calore estivo in un campo giallo di girasoli. Altri,
come ii quadro dei corvi, lanciano l'ultimo grido disperato prima del giorno
del suicidio.
Artaud, come Van Gogh, vive in sè il dramma
dell'identificazione della natura universale delle cose, che si scontra con le
leggi e le regole stabilite da un certo tipo di società. Una società
sclerotizzata che si difende da certi individui pericolosi per affermare la
propria legittimità.
Questo concerto per voce e musica jazz è un omaggio a tutte le vittime
suicidate da vari sistemi di società che si sono alternati nel processo di
cambiamento brutale della Storia, ma vuole anche essere un grido di
bellezza poetica nel tentative di interpretare con voce e suoni la forza del
colore e l'energia della terra che ribolle come mare in tempesta nelle tele di
Van Gogh. Iljazz come improvvisazione di pennellate laceranti che tagliano
gli autoritratti di Van Gogh con un'accetta, la voce come l'eco di un'anima
che cerca nel buio disperato dell'esistenza la luce di una candela accesa su
una sedia di paglia intrecciata.
La pittura legata alla musica, la musica alla
poesia, la poesia alla parola, la parola al colore: un percorso circolare,
infinite, che rotola sul ritmo sincopato della musica jazz, inseguendo le tappe
irregolari dell'esistenza di Van Gogh. E in mezzo al cammino, c'è spazio
solo per l'improvvisazione.
Sandro Carotti, Settembre '95
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