Pochi giorni dopo la proclamazione ad imperatore di Germania e del Sacro
Romano Impero di Sigismondo di Lussemburgo, questi si occupò del
problema dello Scisma d'Occidente e lo portò a soluzione facendo
convocare il concilio di Costanza.
Nel concilio di Costanza (5 novembre 1414-22 aprile 1418) la teoria conciliare
si unì al concetto che dovesse essere il concilio a provvedere alla
riforma della Chiesa, e che fosse indispensabile dare forma giuridica al
concilio in qualità di rappresentanza di tutta la comunità
dei credenti, e ciò allo scopo di tutelare la genuinità della
vita della stessa Chiesa.
Nel concilio di Costanza si usò nuovamente il principio della votazione
per nazioni, già usato in concili precedenti. Questo principio facilitò
il sorgere di concetti di nazionalità e di idee di nazione, specialmente
quando il principio della votazione per nazioni fu utilizzato nelle grandi
questioni che il concilio di Costanza dovette esaminare1.
La superiorità del concilio sul Papa e la forma giuridica del concilio
vennero decretati dai decreti Haec Sancta
(o Sacrosancta), emanato nella quinta sessione del concilio (6 aprile
1415), e Frequens, emanato nella trentanovesima
sessione (9 ottobre 1417).
Il decreto Haec Sancta comprende due frasi molto audaci, secondo
le quali nella Chiesa il potere deriva immediatamente da Cristo, e la Chiesa
è fondamentalmente l'insieme dei credenti. In conseguenza di ciò
il concilio dispone di un potere che gli deriva direttamente da Cristo,
senza interventi del Papa, e che l'insieme dei credenti, che sono rappresentati
nel concilio, gioca un ruolo concreto nella Chiesa, che diventa molto considerevole
nei periodi di crisi.
Occorre tenere presente che questo decreto fu causato dalla situazione
che si creò a Costanza dopo la fuga di papa Giovanni XXIII (Baldassarre
Cossa) e venne perciò visto come un mezzo di emergenza.
Il decreto Frequens rappresentò il "corollario procedurale"2
del primo, fissando la periodicità del concilio e stabilendo che
il Papa avrebbe dovuto scegliere il luogo in cui tenere il concilio, prima
che si concludesse ogni riunione ecumenica, con il consenso dei padri conciliari,
per avere comunque «un Concilio con l'approvazione del Concilio medesimo
[...] sempre un Concilio in sessione, oppure l'attesa del seguente alla
fine d'un determinato periodo».
Secondo il decreto Frequens il concilio seguente avrebbe dovuto
tenersi entro cinque anni, quello ancora successivo sette anni dopo la
chiusura di questo, e da allora in poi il concilio si sarebbe dovuto riunire
con una cadenza decennale.
Questi due decreti «costituirono senza dubbio un successo per il
conciliarismo, ma non certo una piena e definitiva vittoria. Non una piena
vittoria, in quanto il Concilio, che si convocava solo periodicamente,
non avrebbe certo potuto tener fronte al Papato, istituzione permanente
e potente, radicata nella coscienza della cristianità. Non una vittoria
definitiva, in quanto la teoria papale non era affatto superata»3.
La teoria conciliare, che in questo modo veniva ad essere specificata ufficialmente,
fu ratificata, anche se con notevoli resistenze, da papa Martino V, ma
venne in seguito contrastata da Eugenio IV, il quale assunse una posizione
talmente ostile verso Basilea da fargli sciogliere il concilio per trasferirlo
a Bologna. Il concilio di Basilea a questo punto sostenne ancora una volta
il principio della superiorità del concilio, e decretò che
nessuno poteva sciogliere o trasferire il concilio senza il consenso dello
stesso concilio, e che solo il concilio, in quanto rappresentanza dei credenti,
era infallibile.
A Basilea dunque si concluse la battaglia tra il papato ed il conciliarismo.
Nel concilio di Basilea la dottrina conciliare fu messa a punto ed ebbe
come teorici Enea Silvio Piccolomini (il futuro papa Pio II) e Nikolaus
von Kues; ma dopo lunghi e difficili contrasti, nel corso dei quali la
Chiesa, per l'ennesima volta, fu agitata da uno scisma, vinse il papato4.
Cusano aveva 30 anni quando il legato pontificio, il cardinale Cesarini,
incaricato da Martino V, iniziò a Basilea un nuovo concilio (14
dicembre 1431) per riformare la Chiesa.
Cusano era giunto a Basilea nel 1432, con il titolo di nuncius et orator,
insieme ad una delegazione di autorevoli personaggi per difendere i diritti
di Ulrich von Manderscheid nella contrastata elezione dell'arcivescovado
di Treviri, un conflitto insorto tra l'eletto del capitolo ed il titolare
della nomina papale. La difesa di Cusano è già basata sul
concetto del consenso come principio di legittimità dell'autorità
ecclesiastica, facendo così spostare il problema ad un caso più
generale5. Nel frattempo il concilio (e Cusano
faceva già parte della sottocommissione incaricata di studiare la
bolla papale) aveva sospeso il Papa, che si era assoggettato a questa decisione.
Nel corso di questo periodo di discussioni e di ansie nei rapporti tra
il concilio ed il Papa, Cusano accettò l'invito del cardinale Cesarini
a suggerire piani di riforma, e perciò scrisse e sottopose allo
stesso concilio il De concordantia catholica che esamina proprio
il problema del rapporto Papa-concilio, ma inquadrandolo in una riflessione
più ampia della natura e dei poteri della Chiesa. Il De concordantia
catholica rispecchia una certa situazione storica, ma non è
un libro di circostanza, non è un cahier de doléances,
anche se non manca la polemica; il De concordantia catholica è
la migliore sintesi di tutto il pensiero conciliarista, ed è anche
la «più grande opera del pensiero politico prima di Machiavelli»6.
Quest'opera di Cusano ebbe anche reali conseguenze perché diede
al concilio di Basilea alcune idee concrete che vennero accolte e poi realizzate,
per esempio la celebrazione periodica dei sinodi diocesani, la definizione
delle competenze del Collegio dei cardinali, il diritto elettivo del capitolo,
il divieto dell'appello del concilio alla Curia romana, ecc.
Si può dire che in pratica il concilio di Basilea considerò
l'opera di Cusano come la piattaforma programmatica della sua attività,
cioè come il programma che dichiarava espressamente il bisogno del
consenso come principio generale del governo della Chiesa e come requisito
per la validità e la forza obbligante delle leggi ecclesiastiche.
Si può dire che a Basilea si impose un'idea "democratica"
della natura della Chiesa, dal momento che furono tratte tutte le conseguenze
dal concetto che la Chiesa è costituita dall'insieme dei credenti,
è ispirata dallo Spirito Santo, e perciò è una vera
e propria congregatio fidelium.
Quest'idea venne messa in atto sùbito con il sistema di votazione,
che non fu più a nazione ma con il conteggio dei votanti, per cui
fu possibile far vincere anche le tesi più disinvolte a patto che
avessero un certo numero di adesioni; è implicito che per gli oppositori
a quest'idea democratica della Chiesa quella congregatio era composta
da una factio ex vili plebe, ma nel frattempo quest'opinione «faceva
la sua strada, e tutti sanno quale fu poi la sua stazione di arrivo»7.
L'Impero d'Oriente ebbe un peso determinante sulle sorti conclusive del
concilio di Basilea; per garantirsi la collaborazione del mondo occidentale
nella guerra contro i Turchi, l'imperatore d'Oriente scelse gli strumenti
che secondo lui avrebbero sicuramente condotto al successo: una nuova proposta
di unione della Chiesa occidentale con la Chiesa orientale. La delegazione
greca giunse nel 1437, e ciò rese indispensabile scegliere una località
sulla quale concilio e Papa concordassero. Papa Eugenio IV scelse Ferrara.
Intanto (siamo nel 1436) il presidente del concilio di Basilea, cardinale
Cesarini, e l'opposizione, che comprendeva Cusano, lasciavano i "progressisti"
e si univano alle forze tradizionali: a questo punto la divisione non poteva
più essere evitata8.
I padri conciliari di Basilea si scagliarono contro il decreto di trasferimento
del concilio e deposero Eugenio IV (che però ignorò il provvedimento
ed aprì il concilio di Ferrara, poi trasferito a Firenze a causa
di un'epidemia): nella trentatreesima sessione del 16 maggio 1439 il concilio
decretò che «il Concilio ecumenico è superiore al Papa».
Con la deposizione di Eugenio IV e l'elezione di Felice V il concilio trasse
da questa sua frase le estreme conseguenze9.
In questo lasso di tempo, sia in Francia sia in Germania il potere laico
prese decisioni innovative e contemporaneamente intavolò trattative
con il papato in cambio di un aiuto di tipo chiaramente politico: «In
tal modo il papato poté ottenere la vittoria sui movimenti conciliari,
ma una vittoria a caro prezzo: il vero vincitore fu lo Stato moderno. Quest'ultimo
infatti, durante la lunga disputa, si era venuto abituando a prendere posizione
per conto proprio nei confronti di problemi puramente ecclesiastici ed
aveva allargato i propri poteri sulla Chiesa, sugli uffici e sulle proprietà
ecclesiastiche esistenti nell'àmbito del territorio su cui lo stato
aveva giurisdizione. Di più, si erano instaurati [sic] tra
Stato e Papato relazioni di diritto internazionale, attraverso la stipulazione
di Concordati»10
1. Walter Ullmann, A Short History
of the Papacy in the Middle Ages, London, Methuen & Co. Ltd., 1972;
in it. Il Papato nel Medioevo, trad. di Isabella Cherubini Roncaglia,
1ª ed., Bari, Laterza (Biblioteca di cultura moderna 777), 1975, p.
306-7.
2. Lamberto Boni (a cura di), Enciclopedia Garzanti
di filosofia e epistemologia, logica formale, linguistica, psicologia,
psicoanalisi, pedagogia, antropologia culturale, teologia, religioni, sociologia,
2ª ed., Milano, Garzanti, 1982, p. 162.
3. H. Jedin, Storia del concilio di Trento, I 20.
4. Ivi, I 21.
5. La questione fu risolta solo nel 1434, e fu risolta
in senso contrario alla tesi sostenuta da Cusano: Paolo Rotta, Nicolò
Cusano, Milano, Fratelli Bocca (Storia universale della filosofia 32),
1942, p. 30.
6. Pio Gaia (a cura di), Opere religiose di Nicolò
Cusano, 1ª ed., Torino, UTET (Classici delle religioni, sez. IV),
1971, p. 14.
7. Paolo Brezzi, Il dissolversi del mondo medioevale
(1313-1453/4), Roma, Istituto di Cultura Nova Civitas (La civiltà
del Medioevo europeo), 1973, p. 209.
8. W. Ullmann, Il Papato nel Medioevo, p. 315.
9. H. Jedin, Storia del concilio di Trento, I 21.
10. Ivi, I 23.