II. I concili di Costanza e di Basilea

II.1. Il concilio di Costanza

Pochi giorni dopo la proclamazione ad imperatore di Germania e del Sacro Romano Impero di Sigismondo di Lussemburgo, questi si occupò del problema dello Scisma d'Occidente e lo portò a soluzione facendo convocare il concilio di Costanza.
Nel concilio di Costanza (5 novembre 1414-22 aprile 1418) la teoria conciliare si unì al concetto che dovesse essere il concilio a provvedere alla riforma della Chiesa, e che fosse indispensabile dare forma giuridica al concilio in qualità di rappresentanza di tutta la comunità dei credenti, e ciò allo scopo di tutelare la genuinità della vita della stessa Chiesa.
Nel concilio di Costanza si usò nuovamente il principio della votazione per nazioni, già usato in concili precedenti. Questo principio facilitò il sorgere di concetti di nazionalità e di idee di nazione, specialmente quando il principio della votazione per nazioni fu utilizzato nelle grandi questioni che il concilio di Costanza dovette esaminare1.
La superiorità del concilio sul Papa e la forma giuridica del concilio vennero decretati dai decreti Haec Sancta (o Sacrosancta), emanato nella quinta sessione del concilio (6 aprile 1415), e Frequens, emanato nella trentanovesima sessione (9 ottobre 1417).
Il decreto Haec Sancta comprende due frasi molto audaci, secondo le quali nella Chiesa il potere deriva immediatamente da Cristo, e la Chiesa è fondamentalmente l'insieme dei credenti. In conseguenza di ciò il concilio dispone di un potere che gli deriva direttamente da Cristo, senza interventi del Papa, e che l'insieme dei credenti, che sono rappresentati nel concilio, gioca un ruolo concreto nella Chiesa, che diventa molto considerevole nei periodi di crisi.
Occorre tenere presente che questo decreto fu causato dalla situazione che si creò a Costanza dopo la fuga di papa Giovanni XXIII (Baldassarre Cossa) e venne perciò visto come un mezzo di emergenza.
Il decreto Frequens rappresentò il "corollario procedurale"2 del primo, fissando la periodicità del concilio e stabilendo che il Papa avrebbe dovuto scegliere il luogo in cui tenere il concilio, prima che si concludesse ogni riunione ecumenica, con il consenso dei padri conciliari, per avere comunque «un Concilio con l'approvazione del Concilio medesimo [...] sempre un Concilio in sessione, oppure l'attesa del seguente alla fine d'un determinato periodo».
Secondo il decreto Frequens il concilio seguente avrebbe dovuto tenersi entro cinque anni, quello ancora successivo sette anni dopo la chiusura di questo, e da allora in poi il concilio si sarebbe dovuto riunire con una cadenza decennale.
Questi due decreti «costituirono senza dubbio un successo per il conciliarismo, ma non certo una piena e definitiva vittoria. Non una piena vittoria, in quanto il Concilio, che si convocava solo periodicamente, non avrebbe certo potuto tener fronte al Papato, istituzione permanente e potente, radicata nella coscienza della cristianità. Non una vittoria definitiva, in quanto la teoria papale non era affatto superata»3.
La teoria conciliare, che in questo modo veniva ad essere specificata ufficialmente, fu ratificata, anche se con notevoli resistenze, da papa Martino V, ma venne in seguito contrastata da Eugenio IV, il quale assunse una posizione talmente ostile verso Basilea da fargli sciogliere il concilio per trasferirlo a Bologna. Il concilio di Basilea a questo punto sostenne ancora una volta il principio della superiorità del concilio, e decretò che nessuno poteva sciogliere o trasferire il concilio senza il consenso dello stesso concilio, e che solo il concilio, in quanto rappresentanza dei credenti, era infallibile.

II.2. Il concilio di Basilea

A Basilea dunque si concluse la battaglia tra il papato ed il conciliarismo. Nel concilio di Basilea la dottrina conciliare fu messa a punto ed ebbe come teorici Enea Silvio Piccolomini (il futuro papa Pio II) e Nikolaus von Kues; ma dopo lunghi e difficili contrasti, nel corso dei quali la Chiesa, per l'ennesima volta, fu agitata da uno scisma, vinse il papato4.
Cusano aveva 30 anni quando il legato pontificio, il cardinale Cesarini, incaricato da Martino V, iniziò a Basilea un nuovo concilio (14 dicembre 1431) per riformare la Chiesa.
Cusano era giunto a Basilea nel 1432, con il titolo di nuncius et orator, insieme ad una delegazione di autorevoli personaggi per difendere i diritti di Ulrich von Manderscheid nella contrastata elezione dell'arcivescovado di Treviri, un conflitto insorto tra l'eletto del capitolo ed il titolare della nomina papale. La difesa di Cusano è già basata sul concetto del consenso come principio di legittimità dell'autorità ecclesiastica, facendo così spostare il problema ad un caso più generale5. Nel frattempo il concilio (e Cusano faceva già parte della sottocommissione incaricata di studiare la bolla papale) aveva sospeso il Papa, che si era assoggettato a questa decisione.
Nel corso di questo periodo di discussioni e di ansie nei rapporti tra il concilio ed il Papa, Cusano accettò l'invito del cardinale Cesarini a suggerire piani di riforma, e perciò scrisse e sottopose allo stesso concilio il De concordantia catholica che esamina proprio il problema del rapporto Papa-concilio, ma inquadrandolo in una riflessione più ampia della natura e dei poteri della Chiesa. Il De concordantia catholica rispecchia una certa situazione storica, ma non è un libro di circostanza, non è un cahier de doléances, anche se non manca la polemica; il De concordantia catholica è la migliore sintesi di tutto il pensiero conciliarista, ed è anche la «più grande opera del pensiero politico prima di Machiavelli»6. Quest'opera di Cusano ebbe anche reali conseguenze perché diede al concilio di Basilea alcune idee concrete che vennero accolte e poi realizzate, per esempio la celebrazione periodica dei sinodi diocesani, la definizione delle competenze del Collegio dei cardinali, il diritto elettivo del capitolo, il divieto dell'appello del concilio alla Curia romana, ecc.
Si può dire che in pratica il concilio di Basilea considerò l'opera di Cusano come la piattaforma programmatica della sua attività, cioè come il programma che dichiarava espressamente il bisogno del consenso come principio generale del governo della Chiesa e come requisito per la validità e la forza obbligante delle leggi ecclesiastiche.
Si può dire che a Basilea si impose un'idea "democratica" della natura della Chiesa, dal momento che furono tratte tutte le conseguenze dal concetto che la Chiesa è costituita dall'insieme dei credenti, è ispirata dallo Spirito Santo, e perciò è una vera e propria congregatio fidelium.
Quest'idea venne messa in atto sùbito con il sistema di votazione, che non fu più a nazione ma con il conteggio dei votanti, per cui fu possibile far vincere anche le tesi più disinvolte a patto che avessero un certo numero di adesioni; è implicito che per gli oppositori a quest'idea democratica della Chiesa quella congregatio era composta da una factio ex vili plebe, ma nel frattempo quest'opinione «faceva la sua strada, e tutti sanno quale fu poi la sua stazione di arrivo»7.
L'Impero d'Oriente ebbe un peso determinante sulle sorti conclusive del concilio di Basilea; per garantirsi la collaborazione del mondo occidentale nella guerra contro i Turchi, l'imperatore d'Oriente scelse gli strumenti che secondo lui avrebbero sicuramente condotto al successo: una nuova proposta di unione della Chiesa occidentale con la Chiesa orientale. La delegazione greca giunse nel 1437, e ciò rese indispensabile scegliere una località sulla quale concilio e Papa concordassero. Papa Eugenio IV scelse Ferrara. Intanto (siamo nel 1436) il presidente del concilio di Basilea, cardinale Cesarini, e l'opposizione, che comprendeva Cusano, lasciavano i "progressisti" e si univano alle forze tradizionali: a questo punto la divisione non poteva più essere evitata8.
I padri conciliari di Basilea si scagliarono contro il decreto di trasferimento del concilio e deposero Eugenio IV (che però ignorò il provvedimento ed aprì il concilio di Ferrara, poi trasferito a Firenze a causa di un'epidemia): nella trentatreesima sessione del 16 maggio 1439 il concilio decretò che «il Concilio ecumenico è superiore al Papa». Con la deposizione di Eugenio IV e l'elezione di Felice V il concilio trasse da questa sua frase le estreme conseguenze9.
In questo lasso di tempo, sia in Francia sia in Germania il potere laico prese decisioni innovative e contemporaneamente intavolò trattative con il papato in cambio di un aiuto di tipo chiaramente politico: «In tal modo il papato poté ottenere la vittoria sui movimenti conciliari, ma una vittoria a caro prezzo: il vero vincitore fu lo Stato moderno. Quest'ultimo infatti, durante la lunga disputa, si era venuto abituando a prendere posizione per conto proprio nei confronti di problemi puramente ecclesiastici ed aveva allargato i propri poteri sulla Chiesa, sugli uffici e sulle proprietà ecclesiastiche esistenti nell'àmbito del territorio su cui lo stato aveva giurisdizione. Di più, si erano instaurati [sic] tra Stato e Papato relazioni di diritto internazionale, attraverso la stipulazione di Concordati»10


1. Walter Ullmann, A Short History of the Papacy in the Middle Ages, London, Methuen & Co. Ltd., 1972; in it. Il Papato nel Medioevo, trad. di Isabella Cherubini Roncaglia, 1ª ed., Bari, Laterza (Biblioteca di cultura moderna 777), 1975, p. 306-7.
2. Lamberto Boni (a cura di), Enciclopedia Garzanti di filosofia e epistemologia, logica formale, linguistica, psicologia, psicoanalisi, pedagogia, antropologia culturale, teologia, religioni, sociologia, 2ª ed., Milano, Garzanti, 1982, p. 162.
3. H. Jedin, Storia del concilio di Trento, I 20.
4. Ivi, I 21.
5. La questione fu risolta solo nel 1434, e fu risolta in senso contrario alla tesi sostenuta da Cusano: Paolo Rotta, Nicolò Cusano, Milano, Fratelli Bocca (Storia universale della filosofia 32), 1942, p. 30.
6. Pio Gaia (a cura di), Opere religiose di Nicolò Cusano, 1ª ed., Torino, UTET (Classici delle religioni, sez. IV), 1971, p. 14.
7. Paolo Brezzi, Il dissolversi del mondo medioevale (1313-1453/4), Roma, Istituto di Cultura Nova Civitas (La civiltà del Medioevo europeo), 1973, p. 209.
8. W. Ullmann, Il Papato nel Medioevo, p. 315.
9. H. Jedin, Storia del concilio di Trento, I 21.
10. Ivi, I 23.

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