Facoltà
di Egittologia
All'Illustre
Chiarissimo Rettore dell'Università "La Sapienza" di Roma.
Nella
speranza che il Professor Davide Fano sia da Voi rintracciabile,
affido al Vostro Istituto questa mia lettera personale, pregandoVi
di consegnargliela, se possibile. Essa contiene le parole di
un figlio devoto a un Padre meraviglioso, seppure fuggito altrove...
Con
deferenza,
Habib
Hafez,
Cairo,
6 gennaio 1938.
Amato Professor
Davide Fano,
Maestro, Amico,
Padre,
sono passate
ormai quattro settimane dal giorno della Sua partenza, del Suo
abbandono...
...No, ora
non posso più rivolgermi a Te con altra voce fuor di quella
del figlio che parla al Padre...
Perdona il
mio pianto scrosciante come pioggia di tempesta; perdona questo
cuore che vorrebbe solo implorare il Tuo ritorno...
Accetta le mie
parole piene di amore e di rispetto profondo, riconoscenza incommensurabile.
Ti devo tutto, a te che mi hai tolto tutto...
Quattro settimane
di disperazione, prostrazione infinita, dolore, lacerazione...
Ma ora ho
capito. Tu veramente mi hai dato la vita. E la mia vita non è
in questo mondo troppo riempito di macchine, aerei e treni e
illusioni di ricchezza.
Non so cosa
Tu pensassi di me, quando Ti dicevo che aborrivo la vista dei
miei genitori, odiavo con tutto il mio cuore quella casa in cui
ero nato, figlio d'un miserabile calzolaio, nella puzza del cuoio
impregnato e della colla d'ossa e pelli e del ferro dei chiodi,
nel rumore ossessivo del martello, nel buio desolante di una
piccola bottega immonda, nell'indigenza dolorosa, nella ciotola
squallida di grano ribollito e insipido...
Non so cosa
penseresti di me ora, vedendomi nuovamente calzolaio anch'io,
a contemplare tomaie che s'uniscono a suole, che s'uniscono a
tomaie, e tomaie ad altre suole, in lunghe corone di coppie perfette,
e pronte a camminare insieme, coi passi leggeri di colui che
ha agito, unendo con chiodi e colla e ago e filo quel che sta
sotto con ciò che sta sopra...
Sì,
ho abbandonato l'ambizione, per un'ambizione ancora più
grande. E forse ben più dura, senza il conforto della
Tua cara voce, a guidarmi, a risvegliarmi, a farmi riposare nella
serenità pacata della tua Sapienza.
Ho lasciato
il mio lavoro di Inserviente nella succursale della Tua vecchia
Università; sono tornato nella bottega del mio Padre naturale,
e gli ho donato la gioia e la grazia di ritrovare il suo unico
figlio maschio e la sua speranza nell'avvenire.
Non temere:
mi rimarrà comunque il tempo per studiare, secondo il
Tuo insegnamento, che conservo nello scrigno più prezioso
nel profondo della mia anima, insieme al ricordo del Tuo sguardo
severo e fragile, da cui traspare solo ora, verso i miei occhi,
tutto l'amore e il dolore che vi avevo intravisto, ma non compreso.
Non bere troppo,
Padre, e non gioire troppo del maiale che tanto desideri mangiare!
Se pure già so la Tua lontananza definitiva e irreparabile,
pure mi è cara l'idea del tuo sereno invecchiare in pace
e salute. Così voglia Iddio, e così il Tuo cuore
tanto appassionato e tanto deluso dalla vita...
So bene che
quei frammenti che non ho più trovato nei Tuoi armadi
hanno ricevuto il destino che Tu hai scelto per loro; e così
ho fatto per le mie copie: sono bruciate nella pira delle mie
carte rubate ai Tuoi cassetti (di cui questo sul quale scorre
la mia penna, seminando le sue ultime goccie d'inchiostro, è
l'ultimo foglio), e nel fumo che saliva al vento verso l'Oriente,
ho visto il Tuo sorriso leggero.
Ma lascia
che io creda con certezza che uno solo di quei papiri Tu l'abbia
segretamente conservato per me, poiché in esso era la
Verità, ma noi l'avremmo violata anzitempo, come un matrimonio
consumato prima del rito nuziale. Ovunque sarà la Tua
sepoltura, o Padre, là io saprò essere quel Tuo
mistero, poiché di questo io sento il bisogno. Solo Tu
ne sarai il Custode, e io serberò il Segreto.
Né
mai cercherò o profanerò la Tua tomba per cercarlo!
Esso per me sarà con Te sino alla fine del tempo di questo
mondo, emblema variegato della Tua Profondità.
Ecco: il Tuo
piccolo Habib ora è cresciuto... e la sua testa s'è
finalmente chinata perché questo cielo troppo basso l'ha
costretta. Ma il tuo giovane Habib è sempre quello: giovane
d'eternità, giovane delle nostre gioie, seduti insieme
sulle rive del fiume dell'antica Memoria. Tu, Padre amorevole,
hai benedetto i miei passi con le Tue lacrime di timore; Tu,
Maestro sapiente, hai sciolto i lacci del dolore nella mia anima.
A Te, Uomo
fragile e terrorizzato, dono la gioia segreta dei miei silenzi,
e apro il mio cuore nel canto ultimo della mia Riconoscenza.
Ovunque Ti raggiunga questo mio scritto, comunque Tu giunga a
riceverlo, le mie parole sono scolpite nei cieli che sappiamo
entrambi ammirare, con occhi divenuti di sabbia.
Benedico il
Sacro Nome del Santo,
che Egli accompagni
la Tua anima nel Giardino dei Giusti, là dove dirigerò
i miei passi, a visitare il Tuo dolce Volto.
Tuo devoto
Discepolo Habib; Salam Haleikum.
...Shalom,
Rav David... nella luce dell'amore...