-II-

 

Erano passati già alcuni mesi da quell'incontro, e nella mia Torino nebbiosa, triste, coperta della polvere grassa e nerastra di smog invernale, io mi sentivo insopportabilmente solo.
Sophia non mi aveva più telefonato; certamente -pensavo- si era innamorata già il giorno dopo di qualcun altro meno verboso di me, più leggero, più divertente. Io non avevo mai smesso di desiderarla, di amarla nelle mie fantasie, e la disegnavo su fogli di carta grigia, a volte mettendole fra le braccia un violino, altre nell'atto di tendere la mano per raccogliere qualcosa di invisibile; ma lei aveva sempre quel suo sguardo lontano, distaccato, e quel suo sorriso un po' triste, dolcissimo, indimenticabile. Col pastello bianco, poi, segnavo colpi di luce sulle figure già disegnate con cura appassionata, e le rendevo vive, plastiche, quasi per poterle toccare nella mia intimità, scavarle con la mia matita, amarle affondandola nella carta, poi sfiorandola, sussurrandone gli sfumati, passandoli ancora col contatto lieve del polpastrello, cancellando, spesso con rabbia, ripassando, altre volte, con sofferenza.
Un mattino, fra la posta, trovai un pacchetto da Ginevra. Conteneva una preziosa penna stilografica d'argento massiccio, con pennino in oro, d'un modello che desideravo da anni, senza avere il coraggio né i soldi per comprarmela. Il biglietto che l'accompagnava era battuto a macchina, senza firma, e diceva:

«Visto che le penne lei le usa per incidere il terreno, le faccio dono di questa, augurandomi che lei voglia usarla anche sulla carta.
Il suo amico ebreo.».

Mi misi subito a cercare il tovagliolo di carta su cui avevo scritto il suo numero di telefono, ma fui incapace di trovarlo: forse si era perso fra le mille carte del mio disordine, forse l'avevo buttato inavvertitamente. Ero furibondo con me stesso per essermi messo nelle condizioni di non poter rispondere a quell'uomo.
E passò così un altro mese, finché mi giunse la proposta di un concerto proprio a Ginevra, nella Victoria Hall, con un piccolo gruppo di musica barocca su strumenti originali: musica di Arcangelo Corelli.
Seduto sul treno, in prossimità della frontiera, finalmente -e mettendomi a ridere della mia indominabile sbadataggine- trovai quel tovagliolo di carta accuratamente piegato nel mio portafogli, fra i documenti d'identità e la mia patente di guida.

 

 

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Tuo Claudio Ronco.