-IV-

 

Passarono due giorni fra prove e un secondo concerto.
Mi accorsi che non ero simpatico ai miei colleghi. Mi tolleravano durante le ore di lavoro, perché ero ingaggiato come solista, ma poi mi sfuggivano appena possibile: uscivano senza dirmi dove si sarebbero riuniti per mangiare o anche solo bere qualcosa, e se li ritrovavo in un bar o in un ristorante fingevano di non vedermi, o comunque non mi invitavano mai a sedere con loro.
Capii che erano infastiditi dalla mia saccenteria, dal mio sapere sempre tutto di tutto, che fa sentire ignorante e stupido l'interlocutore. Era stato così anche con Sophia, e Sophia non meritava più il mio desiderio.
In effetti, però, era proprio successo quel che mi auguravo: non ero più in grado di provare alcun dolore nel pensare a lei; era completamente scomparso quel senso orribile di oppressione e soffocamento che avevo provato per mesi, ossessionato dal suo ricordo. Le parole del mio bizzarro amico dovevano aver compiuto la guarigione definitiva, o forse quel violoncello aveva riempito il vuoto che mi era restato dentro.