«...a sinistra, invece, c'è
una specie di giardino dell'Eden, dove Adamo ed Eva se ne stanno
nudi e pacifici a chiacchierare con un uomo vestito d'una lunga
tunica chiara, che sembrerebbe Gesù...»
«Interessante...»
«Già. Almeno... questo
è quel che si sostiene normalmente, per evitare di perdersi
nel labirinto delle ipotesi, dei significati esoterici, delle
spiegazioni di una simbologia che ormai nessuno sa più
leggere. Tu, invece: tu potresti proprio leggerti il libro di
uno studioso tedesco, Wilhelm Fraenger, su quel trittico. Fraenger
era uno studioso bavarese che vide i suoi lavori bruciati nei
roghi dei nazisti. Nel 1945 scrisse proprio su questo dipinto,
intitolandolo: "il Regno millenario"...»
E fu proprio qui - sì, lo
ricordo benissimo, senza dubbi -, fu esattamente questo il punto
in cui mi accorsi che qualcuno si era fermato ad ascoltarmi:
fu sul titolo del libro di Fraenger.
Lo percepivo nettamente: la sua
presenza pressante, inquieta, proprio dietro alle mie spalle;
sentivo l'invadenza del suo sguardo, il suo attendere il seguito
delle mie parole... E anch'io - sì, sì, ora lo
so bene - anch'io seguitai solo per lui, per quell'ombra vaga,
misteriosa, che eccitava tutta la mia vanità.
«...In quel saggio, - che
ti assicuro: è bellissimo, perché puoi star certa
che riesce a coinvolgerti dall'inizio alla fine - questo professor
Fraenger espone una sequenza di idee incredibilmente affascinanti,
e con quelle ti svela un significato nuovo e completamente diverso
del lavoro di Bosch. Ti fa veramente girare la testa... Siccome
però all'epoca in cui il trittico fu dipinto c'erano ancora
maestri di una antica tradizione esoterica lì per spiegarlo,
e quella tradizione si è persa e dimenticata ormai da
troppo tempo, Fraenger dimostra solo quel che può. Voglio
dire: sono scomparsi i maestri, ma è morta con loro e
da troppo tempo anche la tradizione che conservavano.
Sai, se lo vuoi, un giorno ti regalerò
volentieri quel libro, ma anche se te lo giri e te lo rigiri,
te lo leggi lettera per lettera, nonostante le mille osservazioni,
connessioni e rivelazioni che ci leggerai, non credo che potrai
trovarci quella per cui questa ghironda, dipinta nel pannello
di destra, per posizione e dimensione, corrisponde precisamente
al Cristo dipinto nel pannello di sinistra. Mi spiego meglio:
se guardi il trittico nella sua interezza, là dove nella
pala di sinistra vedi il Cristo fra l'uomo e la donna nudi, in
quella di destra, nella stessa posizione, ci trovi la ghironda
fra un'arpa unita a un liuto e un pifferone messo sopra un tamburo.
Così ti capiterà di capire che il messaggio è
un po' quello in cui ti si vuol spiegare come la "viola
da orbi" fosse l'idolo maledetto che i dannati in quel particolare
inferno avevano adorato in vita quale rappresentazione, o addirittura
materializzazione, "incarnazione" di Dio. Insomma:
quei brutti e cattivi condannati l'avevano adorata al posto di
Gesù...»
«Adorare una viola da orbi?»
«Prendila come un simbolo:
sono orbi, e quindi non sanno vedere, ossia riconoscere,
il vero Dio. Io penso semplicemente che fosse un simbolo per
raffigurare gli ebrei.»
«Uffa, sempre questi ebrei
di mezzo!»
«Non era mica ebreo Bosch!
E poi, nessuno è mai stato contento di essere sempre e
sistematicamente dipinto e trattato come il cattivo, l'ipocrita
o il deicida!»
«Sì, va be', ma che
palle: sembra sempre che siano loro le uniche vittime del potere
della Chiesa! Ma i cristiani non avevano altro da fare che occuparsi
di maltrattare gli ebrei?»
«In effetti sembra di no.
Eppure, se ci pensi, la ragione è semplice e tragica:
al cristianesimo di epoche antiche serviva fin troppo bene quella
figura, quell'"immagine" dell'ebreo, per poter spiegare
e giustificare se stesso. Vedi i due omini nudi che stanno in
cima alla ghironda? Bene: l'uno cerca di tenere in equilibrio
un enorme uovo sulla schiena, ma sta in una posizione che rende
ciò impossibile e disabilitante, e l'altro, da una posizione
altrettanto assurda, cerca di girare la manovella per far suonare
la ghironda...»
«Già, vedo... ma perché
una manovella?»
«Perché la ghironda
si suonava così: la manovella faceva girare una ruota
di legno passata sulla pece, come i crini d'un archetto di violino,
e quella ruota funzionava proprio come un archetto circolare,
e quindi continuo, sfregando e facendo vibrare le corde che erano
tese in modo da passargli sopra. Ma la corda principale, quella
del canto, suonava solo se era sollevata fino al punto di entrare
in contatto col bordo della ruota, e si sollevava per effetto
di quei tasti che vedi a lato; insomma: la ruota è là
dove tu ci vedevi il mio naso, e i tasti sono quelli che sporgono
come denti da una bocca spalancata...»
«Divertente. E allora?»
«E allora, se tu potessi vedere
poco sopra in quel dipinto, su una specie di vassoio rotondo,
o una specie di piattaforma, vedresti anche una grande cornamusa
del tipo di quelle che suonano i pastori a Natale. Ora, vedi,
la cornamusa e la ghironda non si somigliano affatto, ma l'una
corrisponde all'altra per una ragione molto interessante: tutt'e
due producono un suono continuo, mai interrotto dal respiro...»
«Spiegati meglio.»
«Se suoni il flauto o la tromba,
oppure se ti metti a cantare, per forza devi prendere il respiro
qua e là nella musica che esegui. Anche l'archetto del
violino - tu l'hai presente? Sì, dài, l'hai visto
benissimo un sacco di volte! - va in giù e poi va in su;
esattamente come il respiro di un cantante, come le onde sulla
spiaggia che vengono e vanno, come le stagioni, come tutte le
cose che vivono e muoiono. Ma la cornamusa e la ghironda si ribellano
a tutto questo, e il loro respiro, invece, è un ininterrotto
soffio di vita: non si ferma mai a riprendere il fiato, non ne
ha mai bisogno. Si vorrebbe quasi credere che non fosse mai iniziato,
che fosse sempre stato già lì. Per conseguenza
ne nasce l'illusione che quel respiro non possa mai finire, che
sia un soffio eterno di suono, e che finisca col donare l'eternità
a chi lo ascolta.»
«...Questo è molto bello;
l'ho già sentito quel suono: è come la musica delle
Launeddas della Sardegna; ti prende da matti, ti fa girare la
testa, ti entra dentro e ti fa vibrare tutto. E poi a un certo
momento... pùf: è finita, c'è il silenzio,
non c'è più... E tu non sai dov'è andata
a finire, perché ti continua a girare dentro e non ti lascia.
È bellissimo! ...Dài, raccontami ancora...»
«Gli antichi greci avevano
un mito meraviglioso per la musica: quello di Apollo e Marsia.
Vuoi che te lo racconti?»
«Sì, se non è
una storia triste.»
«Giudicherai tu. C'era una
volta un pastore di nome Marsia. Forse era un fauno, metà
uomo e metà capro, o forse no, ma comunque era un essere
terreno, un essere della natura. Marsia, un giorno, trovò
uno strumento musicale abbandonato nell'erba, vicino a un lago.
Lo prese, provò a suonare e si accorse di essere bravissimo,
così corse subito a farsi ascoltare dagli altri pastori
che conosceva. Ciò di cui non era al corrente, però,
è che quello strumento non l'aveva gettato via una persona
qualsiasi, bensì una dea, poco dopo averlo creato. Quella
dea era Pallade Atena, detta "la Musicale". Atena aveva
visto nel laghetto la carcassa di un animale morto affogato,
e quindi gonfio come un palloncino, per via dei gas della decomposizione...»
«Ma che schifo!»
«Sì, ma in questa storia
c'è di peggio; sopporta e vedrai. Dunque Atena, essendo
appunto una dea, trasformò quella carcassa in decomposizione
in una cosa bella e preziosa: una cornamusa, dove al posto dei
gas puzzolenti c'era il suo fiato profumato di gelsomino e violetta.
Ossia il suo respiro: il soffio eterno di una dea!»
«Uau! quello che c'era
da sempre e per sempre ci sarà!»
«Bene; tutta contenta della
sua bella invenzione, se la portò al convitto degli dei,
dove cominciò a suonare una divina melodia. Solo che,
invece di applaudire contenti e riconoscenti, tutti si misero
a ridere a crepapelle...»
«Okay, perché?»
«Perché Atena, pur
essendo divina, in quel coso ci doveva comunque soffiare,
e soffiando le si gonfiava tutto il suo bel visino da dea, che
così diventava rosso paonazzo e orribile a vedersi.»
«Gentili, quegli stronzi degli
altri dei!»
«Beh, gli dei non sono necessariamente
gentili... comunque Atena non capì un bel niente di quel
che era successo finché non andò a specchiarsi
nel solito laghetto e lì, scoperto il problema, ne eliminò
la causa, scagliando la cornamusa in mezzo al prato; giusta e
santa sepoltura per una carcassa d'animale.»
«Amen.»
«Appunto. Solo che Marsia
passò di lì, e anziché lasciarla biodegradare
in ecologica pace eterna, ne approfittò per diventare
un virtuoso di cornamusa, visto che quello strumento era davvero
divino, e quindi bello carico di buone vibrazioni.»
«Ed ebbe successo?»
«Formidabile! Tutti venivano
a sentire Marsia suonare, persino le Muse in persona!»
«Tutte e nove?»
«Non ne mancava nessuna. E
il successo fu tale che non solo Marsia, ma tutti quanti gli
abitanti della terra si montarono la testa pensando: "se
Marsia -che è uno come noi- può suonare così
magnificamente, allora vuol dire che anch'io posso, e allora
vuol dire pure che non c'è solo Apollo che può
fare delle belle cose!"...»
«Giusto! Ecco un vero inizio
di Rivoluzione democratica! Abbasso Apollo! Abbasso il potere
dei ricchi e dei belli! Viva il popolo libero ed emancipato!»
«Sì sì, non
ti agitare troppo, perché quell'Apollo lì era proprio
un dio, non come Kevin Kostner o chi so io... »
«Non distruggere i miei valori
solo perché ti senti un po' più bruttino di loro!
Mi sei simpatico lo stesso, testolone mio tutto pieno di storia
antica... »
«E io ti continuo la storia.
Dunque Apollo si vide sfidato in singolar tenzone...»
«E non si tirò indietro!»
«Anzi: dettò le regole...»
«E già, come al solito!»
«Sì, ma con equità:
in fondo Marsia aveva dalla sua parte tutto il mondo più
le Muse, e Apollo solo se stesso, perché pure gli altri
dei se ne fregavano di lui e di tutta la faccenda. Così
Apollo elesse a giudici proprio le Muse (visto che per far votare
il popolo ci sarebbero voluti ancora un bel po' di millenni),
e stabilì che Marsia dovesse ripetere tutto ciò
che lui era in grado di fare con la sua divina Lira, che era
una specie di magnifico violino.»
«Faccio il tifo per Marsia!»
«Non sei che nel posto della
maggioranza; anche Apollo, dopo un po', si rese conto che Marsia
non solo ripeteva perfettamente qualsiasi suo passaggio sulla
Lira, ma quando la sua musica usciva dalla cornamusa tutti, ma
proprio tutti, erano commossi fino alle lacrime, al punto che
nessuno avrebbe più dato Apollo per vincitore.»
«Momento ideale per le scommesse,
perché sento che c'è una sorpresa... tipo fregatura
del potente e intoccabile al poveraccio illuso, che si fida della
legge!»
«Se proprio vuoi, sì:
è proprio così. Apollo, vistosi perduto, passò
ai ripari con una vigliaccata degna del peggior uomo politico
corrotto e senza scrupoli: capovolse la sua Lira e continuò
a suonare. Marsia dovette imitarlo, e presto l'aria contenuta
nel sacco della cornamusa finì, e con il soffio finì
pure la musica...»
«La ghironda capovolta!»
«Vedi? Solo che in questa
storia era una cornamusa.»
«E il povero Marsia?»
«Oh, che tu mi vuoi fare?
- chiedeva, tutto rannicchiato e impaurito, il disgraziato Marsia
ad Apollo - Io ti vo' scorticare! Rispose il dio ridente per
la sua vittoria!»
«Scorticarlo? Levargli perfino
la pelle! Ma non è logico, e neppure razionale! Non gli
bastava averlo fregato?»
«No, perché essendo
un dio doveva fare qualcosa che resti bene impresso nella memoria,
e su cui si possa ragionare a fondo. Vedi, la cornamusa è
il simbolo delle vanità, perché è un sacco
gonfio d'aria, come tutte le persone tronfie, vanitose e arroganti.
Se la vedi dipinta da Bosch, poi, scopri che somiglia al sacco
dei testicoli, e la lunga canna su cui si suona sembra ciò
che gli sta attaccato sopra, e tu sai che nelle nostre culture
tutto il male viene da lì, e da quella bella cosina che
tu hai fra le gambe...»
«Stacci attento, tu, alla
mia bella cosina, che non è così facile da prendere!»
«Insomma, Apollo legò
Marsia a un albero e gli cavò la pelle. Tutti piangevano,
le Muse soprattutto, e la terra si inzuppò di lacrime
e del sangue di Marsia che colava dal corpo senza più
il suo bell'involucro rosato. E la terra odiò così
tanto quei liquidi dei suoi figli, che li rigettò fuori
di sé. Così da Marsia nacque un fiume e, come tutti
i fiumi, anche quello scende al mare, origine di tutta la vita
e di tutti i misteri, e là si disperde. Ma non la memoria
e la morale della favola, perché dall'alto del monte sacro,
nel tempio di Apollo, si vede appesa la pelle svuotata di Marsia,
e negli oceani corre il suo sangue e le lacrime dei mortali,
a memoria di chiunque voglia credere che gli argomenti degli
uomini possano vincere quelli immortali ed eterni degli dei...»