...«Lei non ha mai suonato lo Studio numero 17, dai quaranta Studi per violoncello solo della "Hohe Schule des Violoncellspiels", opera 73, composti da David Popper fra il 1901 e il 1905?»
«Sì, certo: è un breve, appasionato, bellissimo Studio in Do minore, con un Adagio in maggiore nel mezzo.»
«Un "Andante quasi Adagio", per l'esattezza: è un Corale di Chiesa, solenne, contemplativo, quasi mistico; come un'estasi. È quel che si sarebbe potuto sentire appena usciti dal ghetto, camminando a fianco della chiesa lì vicina; sarebbe giunto ai nostri orecchi "Piano, dolce", da magiche lontananze, come indica Popper sotto il pentagramma. E alle nostre spalle avremmo lasciato l'eco di quell'appassionato canto Yiddish che è la prima e l'ultima parte di quello Studio, il "Con brio; Forte", come fosse una festa nel ghetto, accompagnata da violini, clarinetti, Basso Tuba, sui quali altri uomini, imprigionati fra quelle mura, cantavano per sfuggirne l'orrore...»
«Dio mio... è vero... è come se Popper avesse raccontato la sua adolescenza, o la sua storia, in quelle poche righe di musica; la nostalgia del canto della sua gente e quella del suo sogno di libertà e leggerezza!»
«E diciassette è un uno e un sette che fanno otto: vada con la memoria all'ottavo Studio:
"Andante" in Do maggiore,
fatto di veloci e leggerissime quartine legate, in delicato movimento, come farfalle nella brezza estiva; finirà in un "Pianissimo", dove alla corda più grave l'esecutore unirà la dolcezza della sua terza maggiore, all'ottava sopra.»
«Ricordo bene anche quello: è la più autentica conquista della leggerezza d'arco e mano sinistra: il vanto del vero virtuoso... con quello Studio il mio vecchio Maestro in Conservatorio m'insegnava a reggere l'archetto come fosse solo un soffio di vento...»
«E otto e otto fanno sedici: ricorda l' "Allegro moderato" in cui Popper indica "Piano, capriccioso"?»
«Certo: anche quello è in Do maggiore, fra terzine velocissime, come un vento che prelude alla tempesta...»
«Sedici e sedici fanno trentadue: l' "Andante sostenuto" in Do minore...»
«Formidabili cascate di quartine staccate, in picchettato, quasi con rabbia, come le due strappate finali, in "Fortissimo".»
«Trentadue e trentadue fa sessantaquattro, sei e quattro dieci: l' "Appassionato", nuovamente in Do minore...»
«Quartine legate che salgono e scendono come onde del mare agitato, scale cromatiche discendenti, come scivolare sulle onde, poi riprenderle, vincerle, dominarle, con forza, con fierezza...»
«Undici...»
«Fa maggiore: terzine giocose che s'inseguono scherzando, danzando, ammiccando fra loro...»
«Ventidue...»
«Sol maggiore: come una dolce altalena spinta da una mano gentile, pervasa di piaceri primaverili, di serenità...»
«Trentatré...»
«Re maggiore: arpeggi discendenti, in quartine legate, come violenti soffi di vento autunnale... sembra quasi scritto per il pianoforte, tanto è impossibile da rendere sul violoncello: lo si immagina, lo si sogna, ma non lo si conquista mai...»
«Trentaquattro.»
«Oh, è il più bello: un canto a due voci, così dolce, così espressivo... è quasi un valzer lento, d'infinita malinconia, un ricordo struggente...»
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