...Un magnifico pianoforte Broadwood, come può leggere sull'interno del coperchio della tastiera...»
«Santo cielo... il pianoforte sacro! E tutt'intorno al centro di quel legno ci sono i migliori solisti dell'epoca, italiani, francesi, tedeschi, austriaci... ma eccolo qua Menter: è quello alle spalle di Bennet! È quello che tiene in bella mostra il libro su cui è scritto "RECORD": vede? lo regge con la mano sinistra, poggiandolo su questo tavolino rotondo, scolpito in modo preziosissimo, con giovani fauni a far da gambe...»
«Si chieda un po' perché De'ak scrive che Menter è seduto al pianoforte, visto che, al limite, potrebbe essere così evidente che al pianoforte ci sia piuttosto un pianista di nome Bennet, e visto che De'ak non si sbaglia nell'individuare Ernst e Vieuxtemps...»
«Va bene, andiamo per ordine; mi sembra di andar a svelare i nomi dei 36 Dignitari dei Gradi Ultimi e Segretissimi del Nuovo Ordine del Tempio di Salomone... davvero una bell'epoca, l'Ottocento!
Dunque,... se non mi è impazzita la memoria, qui, in questo ritratto di gruppo, sono riuniti alcuni dei più grandi virtuosi di quell'epoca: alcuni, insomma, fra quelli più presenti sul mercato e fra i più costosi; fra gli italiani c'è il violoncellista Alfredo Piatti, il contrabbassista Giovanni Bottesini e il violinista Camillo Sivori, l'allievo di Paganini: gli unici che si mostrano con i loro relativi strumenti. Poi riconosco due fra i maggiori rivali di Paganini: il tedesco Heinrich Ernst e il belga Henry Vieuxtemps. Tutti quanti stanno intorno a un direttore d'orchestra che siede al pianoforte e con la mano destra sembra suonare un accordo per tutti i convenuti. Sotto la mano sinistra, che lascia penzolare abbandonata al suo fianco, su una specie di scranno barocco rivestito di velluto damascato ci sono due grandi libri: sotto c'è Mozart, e sopra le "Romanze senza parole" di Mendelssohn. Dall'altro lato, Heinrich Ernst se ne sta seduto su un trono, senza violino, come anche in altre sue fotografie, e mostra un foglio a un musicista in piedi che non so chi possa essere. Menter, in effetti, con la sua aria da Gran Conservatore delle memorie del gruppo, sembra l'unico ad interessarsi a quel foglio, insieme all'altro violoncellista, Alfredo Piatti. Mi vien voglia di credere che quel foglio sia una specie di statuto, o di "regola" d'appartenenza a un Ordine, con doveri e diritti ben chiariti da impararsi a memoria. Menter mi sembra una specie di Gran Maestro del rituale d'iniziazione, Ernst un Grande Iniziato, e Bennet il Conservatore attuale del sacro legno, infilato e nascosto dentro la preziosa cassa di quel Broadwood. Mi sbaglio?»
«Più o meno... ma vede com'è facile sbagliare? Quello che guarda il foglio di Ernst, e che lei non sa chi è, si chiamava Prosper Philippe Sainton. Bennet non è al pianoforte, ma subito dietro al pianista, che è Charles Hallé, il direttore principale della Musical Union, nella stagione del '51, cui questo ritratto fa riferimento. Quello che lei crede Menter si chiamava John Hella, e Menter è giusto alle spalle di Piatti, poiché Piatti, in quel momento era il suo protetto. Ma torni un istante alla foto di pagina ventidue.»
«...Ah, vedo: il pianoforte o è lo stesso, o è solo un altro Broadwood, probabilmente uguale, nella casa di Popper, sessantadue anni dopo. Sei e due otto: pùf! il conto canta!»
«L'una o l'altra cosa, infatti. Ma poco importa, perché ciò che conta è il simbolo di un'appartenenza, di un'iniziazione. Popper vuole uscire dal ghetto, vuole successo, soldi, fama e onori; va a Vienna a cercarli; a Vienna incontra la figlia di Menter, che non solo era iniziato all'affaire del legno del tempio di Salomone, ma aveva in uso il violoncello di Cervetto; nel '72 Sophie, la sua bella figlia, virtuosa di pianoforte e pupilla di Liszt, andrà in sposa a Popper: il legame è stato saldato, e Popper entrerà nel gran mondo delle corti europee.»
«Cioè Popper si sposerà a una carriera e a un violoncello: il violoncello del re dei re, il suo sogno di gloria e onori... ecco perché l'anno di fabbricazione del Guadagnini è dato da De'ak come il '72, e non il '45...»
«È Franz Liszt a star dietro a tutte queste faccende: nel '44, a Monaco, incontra Piatti che sta disperatamente cercando di far fortuna. Menter presta il violoncello a Piatti perché è a Piatti che lui vorrebbe passare le consegne, e così Piatti suona nel concerto più importante della sua carriera. Liszt è entusiasta, invita Piatti a Parigi, pensa di far affidare il violoncello al formidabile giovane talento bergamasco. Ma poi ci ripensa: a Parigi si reca a sentire un concerto eseguito da Piatti nella sala Erard, e al termine lo avvicina e gli dice, testuali parole: "Invece del biglietto, che io non ho preso, vi prego, caro Piatti, di voler accettare un violoncello che serberete per mia memoria", e gli regala un Amati che all'epoca veniva stimato 5000 franchi, ma di misura troppo grande per la bassa statura del minuto virtuoso italiano... quasi un ripetere la scena di Lanzetti alla cena del Cervetto.
Piatti, pochi mesi dopo andrà a Londra, otterrà la protezione di Mendelssohn, e in seguito riceverà la fortuna e gli onori che cercava, così nelle alte sfere si riconsidera la sua candidatura a possessore del Guadagnini.»
«...Leggo qui che Joseph Menter morì nel '56...»
«Lo stesso anno della morte di Heinrich Heine. E il violoncello restò diversi anni senza essere affidato a nessuno che lo suonasse, dato che Liszt non riusciva a decidersi su chi scegliere. All'incirca nel '64 lo fecero portare nella residenza londinese di un uomo importante, amico di Piatti e collezionista di strumenti musicali: il Generale Oliver...»
«Aspetti, aspetti... allora credo di conoscere già perfettamente questa storia: Piatti era diventato suo amico anche facendogli da consulente per acquisti di antichi strumenti italiani. Poi un bel giorno il Generale lo invita nella sua villa e gli dispone in bella mostra quattro o cinque violoncelli meravigliosi, chiedendogli quale fra quelli sceglierebbe per sé. Piatti indica senza esitazione lo Stradivari del 1720 di cui si era innamorato proprio in quel suo fatidico '44, vedendolo a Dublino, nelle mani di un mediocre violoncellista di nome Piggot. Nel '53 Piggot morì e Sir Robert Gorebooth si occupò di vendere il suo prezioso violoncello a Londra. Piatti allora convinse il Generale ad acquistarlo, siccome lui stesso non ne aveva i mezzi, e pensando, perlomeno, di poterlo suonare di quando in quando, se finiva in casa di un amico. Quella sera di ventidue anni dopo non poteva aver scelta: quello e solo quello era il violoncello della sua vita. Il giorno successivo, il diciotto del sei del milleottocentosessantasei...»
«...ma che bel sei per sei trentasei!...»
«...giusto. Bene, dicevo, il diciotto giugno lo Stradivari arrivò a casa del Piatti con un biglietto su cui erano scritte, se non le ricordo male, queste testuali parole: "Mio caro Piatti, mi procuro il piacere di mandarvi il violoncello che spero gradirete come segno della mia stima per voi e ammirazione del vostro straordinario talento. Vostro sinceramente T. Oliver". Caspita! Il povero Piatti aveva veramente il talento di sbagliare sempre le sue scelte con i potenti, nobili o alti ufficiali che fossero!»
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