«La prego... questo è di una crudeltà insopportabile...»
«Claudio, così era! Giorno dopo giorno! Nessuno sa più chi fosse quell'uomo e come si chiamasse. Il violoncello venne ritrovato alla liberazione, dagli americani.»
«Nessuno dei liberati, dei sopravvissuti, poteva ricordare, o testimoniare nulla al riguardo?»
«Evidentemente no, perché altrimenti avremmo un nome, e forse tutto sarebbe stato più facile...»
«...Cioè?»
«Intorno a un nome si può costruire un'esistenza, una vita, una storia. Se la storia è ben scritta la gente può guardare e vedere, riconoscersi e dire: poveretto! Quanto ha sofferto! Non lasceremo più che succeda tutto questo. Anzi: non lo permetteremo! A morte i carnefici! Sbudelliamo e impicchiamo! Facciamoli pentire d'esser nati! E la storia si ripete... sarebbe stato più facile, certo: per risolvere tutto con la banalità dei nomi, dei numeri e dei fatti storici.»
«...Non c'è solo questo... c'è anche la lenta ma profonda maturazione del senso di giustizia... c'è una cultura della pace, che cresce nel mondo... non solo violenza stupida... e abbiamo tutti il dovere universale che la storia da noi raccontata sia rigorosa verità..
«Macché... tutto gira troppo velocemente: l'uomo resta sempre un passo indietro da ciò che gli è necessario per capire, per conoscere. L'uomo arriva sempre troppo tardi alle cose del suo cammino, e non ha mai il tempo per guardarle; figurarsi per contemplarle! Quando lo fa, contempla solo se stesso in una lucida schifosa pozza di sangue altrui, e se la guarda tutto godurioso, credendo che sia un bello specchio in cui ammirarsi...»
«...Ma... ma questa è follia!... Non ha senso dire cose simili! Non ha senso lasciarle uscire dalla bocca di un'intelligenza come la sua, con tutta la sua cultura e la sua erudizione... Hans, perché adesso si riduce a pensare in questo modo così basso?»
«E perché, allora, non si può mai raccontare nessuna verità per intero?»
«E chi lo vieta?»
«Ma lei li ha visti i filmati della liberazione dai campi di sterminio?»
«Si, e più volte; credo quasi tutti.»
«E non ha notato dove la camera si soffermava e dove sfuggiva?»
«...No... non credo di ricordare questo...»
«Ci pensi bene: indugiava nei "toni di grigio", non nel "bianco e nero"... indugiava lungamente sui cadaveri, uno ad uno nei mucchi; indugiava sul trascinamento sul terreno di una cosa che era stata una donna, tirata per i piedi, e sembrava solo più un orrido manichino di gomma, disarticolato, grottesco, persino ridicolo... indugiava sulle fosse riempite di roba grigia, informe, anche se con gambe e braccia; poi indugiava sul rimbalzo elastico delle teste dei corpi sbattuti sui carri da trasporto. Ma sfuggiva sempre, scappava via, si ritraeva svelta, vergognosa, quando passava davanti a dei numeri ancora vivi, che si aggiravano incoscienti, larve svuotate di ogni pensiero e volontà, che scivolavano adagio, lenti, per gli spazi dell'inferno. Erano quelli che non avrebbero mai testimoniato, che non avrebbero potuto più vivere oltre quel campo, che erano morti per l'eternità... la ruota della loro esistenza girava a una velocità diversa da quella del mondo: stessa direzione, movimenti paralleli ma incomunicanti... quelli non sarebbero vissuti più neppure nella memoria degli altri, simili a buchi neri nello spazio della mente dei sopravvissuti...»
«...Ho letto anche di questi esseri...»
«Ha letto! Bravo. E cosa ha visto?»
«...Ciò che la lettura mi ha concesso...»
«E poi?»
«...e poi ho coperto il ricordo con altri pensieri... che altro?»
«E cosa ne farà di quell'informazione
«La preserverò per saper riconoscere il pericolo.»
«Così potrà salvarsi quando lo vedrà e lo riconoscerà in televisione! Ottimo! Promosso!»
«Non sia cinico...»
«Cosa vuole? che la baci in fronte perché lei è un paladino della memoria, e sa riconoscere il buono dal cattivo nei film d'azione e d'avventura? Attenzione! Il cattivo è quello che quando arriva c'è una musica tetra che comincia piano piano... oppure una musica ambigua! Il buono è quello che ha quella bella melodia commovente. Bisogna capire bene la musica, per non confondersi!»
«Le ripeto: per favore, non sia cinico! Non su queste cose!»
«E in cosa sarebbe meglio o peggio? Non si accorge che tutto sta nello stesso pentolone? Topolino, Dracula, Auschwitz, Pavarotti, i mondiali di calcio, la Repubblica, i pannolini, la Coca-Cola, i nazisti cattivi...»
«Non posso dire che non sia vero, ma...»
«Ma cosa?! La verità è imprigionata in quelle assenze, in quei buchi. Chi può riempire, o aprire, visitare quei luoghi? È solo andando lì che la verità potrebbe liberarsi, espandersi, emanare, manifestarsi, cambiare il mondo, le dinamiche del mondo: rivoluzionarlo! Chi ha il coraggio di andarci?»
«Basta! non continui così!! Io devo sapere qual è la verità! Io ho suonato tutti questi anni con il violoncello che aveva suonato nel cortile di Auschwitz? Mi risponda!»
«Sì, Claudio! È verità.»
«E io come faccio a saperlo? Come faccio ad esserne certo? Chi me lo testimonia?»
«Guardi la fascia sinistra in basso del violoncello: vedrà lo sfondamento dello stivale pesante di un soldato. Sono otto schegge di legno rimesse insieme con la colla e riverniciate alla meglio. Conti le fratture sulla tavola, lungo le vene del legno: sono sedici, tutte rimesse insieme alla meglio, legate, in origine, da piastrine e chiodini di legno, poi tolti da liutai professionisti del restauro.»
«...Perché è successo?»
«Quel violoncello frantumato, schiantato contro un muro, muoveva a pietà, o forse era solo una necessità per sopravvivere.»
«...Chi lo raccolse?...»
«Lo ripararono in campo, con infinita pazienza, con quel che c'era: colla di ossa, cartilagini e pelle di topi, bollita per giorni interi.»
«...e ritoccarono anche la vernice rovinata?...»
«Con vernice fatta di olio di macchine, colla, legni ed erbe infuse in poco alcool per colorarla. Poi il violoncello suonò ancora, e dava gioia...»
«...Oddio... dava gioia... è vero... emetteva gioia... suonava ancora per la vita... è dolcissimo... è... è impossibile non capirlo... è meraviglioso... io le conosco a memoria una ad una, quelle fratture; sono anni ormai che le carezzo, le osservo, le amo; ne disegno il contorno con le dita, soffio via la polvere con brevi sbuffi, con le labbra socchiuse, come baci... ormai sono tutte fratture mie, mie ferite, già risanate... Dio... tutto questo è incredibile, straordinario... Grazie, Hans... grazie di tutto questo, amico...»
«Non ringrazi me, ma il destino... e vada in cerca del pentimento: guardi ancora quella tavola, e pensi alle dita nude che hanno spalmato la colla, l'hanno pulita dalle sbavature, con lo sputo, con gli occhi spalancati per vedere senza lente, occhi troppo stanchi e feriti...»
«...Quanto bisogno di musica dovevano avere...»
«...E il suono si spandeva pesante di stanchezza, strozzato, ingolato, nei cortili gelati, riempiti di sofferenza...»
«...Lo vedo. Lo sento. Lo conosco... La musica è vita... e io quel suono l'ho ascoltato mille volte, ancora chiuso là, dentro quella cassa armonica...»
«Sì, è vero: lei l'ha fatto cantare di nuovo. Ora però impari a cantare l'umiltà che quello strumento ha appreso ad Auschwitz. Lasci, abbandoni, cacci via da sé, rigetti la vanità che l'ha accompagnato per tre secoli, fino a quelle folli illusioni di grandezza, di potere, tutte quelle illusioni di superiorità assoluta sull'universo intero! Pensi alla follia di tutti i re, degli imperatori, dei duci! Si ricordi della stupidità, dell'invidia, degli intrighi, degli inganni, delle menzogne che l'hanno accompagnato in tutti i suoi viaggi per l'Europa; quell'Europa che preparava ogni giorno l'orrore delle guerre e dei crimini più assurdi! Lo faccia cantare d'amore vero! Gli offra una vita di sentimenti autentici, di speranza nella verità! Lo faccia cantare il canto delle sole cose vere, il suono della redenzione!!»
«Sì, sì lo prometto, lo farò. Lo posso fare!»
«A lei è stato dato qualcosa per poterlo fare.»
«Sì, è vero: lo sento... È il destino più bello e più grato che avrei mai potuto credere per me... lo suonerò per rendere dolce il mondo, per farlo piangere e ridere; come una mamma col bambino, come la pioggia sulla terra secca... grazie... infinite grazie per tutto questo...»
«Mi lasci solo, ora; sono stanco. Sono vecchio...»
«Certo, sì, subito. Anch'io devo meditare, devo guardarmi dentro...»
«Vediamoci domani.»
«Quando? A che ora?»
«Quando potrà lei. Io non mi muovo di casa.»
«Verrò al più presto, lo prometto.»
«...Guarderò ancora un po' quel dannato camino dalla mia finestra. E quel mostro di cemento, coi suoi quattro occhi quadrati a fissarmi nel vuoto...»
«...L'ho guardato anch'io allo stesso modo... posso venire di mattina?»
«Certo, certo; quando vuole.»
«...A domani...»
«...Piange e ride il vecchio Hans, ma non sa quello che vuole!...»
«Le sono grato... Davvero...»
«A domani.»

 

 

 

 

Per continuare clicca sull'immagine qua sopra.

per andare altrove,
clicca l'immagine qua sotto: