«Rido! ...Parola di pagina "Trecentocinque": tre, zero, cinque, otto, otto, otto... diventò un bel numero tatuato sul braccio... tre per otto ventiquattro, due per quattro otto! Buon compleanno!... e ti dissolvi in fumo che sale per il camino... zero... due, tre, quattro, cinque... su, su, sempre più in alto, su per il camino... sei, sette otto, nove... guarda: è cenere bianco-celeste, e sembra neve che ricade in testa a quelli che se ne stanno in terra!»
«...No!... no!... La prego! Perché ora mi parla così?... no, non pianga!...»
«No? Leo Stern? o Pinkhas Feldmann? o Joshua Rubinstein? o Yitzhak Levi? Mi dica un po' lei: come diavolo si sarà mai chiamato quel giovane talento di violoncellista che ebbe da Olga il violoncello di Davide? Me lo dica! ...E che importa, se tanto poi era un numero qualsiasi...»


«Ma che dice?!»
«Che numero fa Epstein? e Horowitz? e Cohen? Ogni buon ebreo sa che numero è il suo nome! Quello di Dio è ventisei: due più sei cioè otto, come la lettera Chet di Chaim! Vuol dire vita! Si chiamava Chaim? Chaim Malowitsky? o Chaim Novak? Siamo tutti solo un otto! La loro vita è passata per il camino... è la Chet di Chokhmah, la Sapienza di Dio che formò il mondo!... numeri, numeri, camini, camini, e nient'altro che numeri... sette, sei, cinque, quattro: ...Daleth! È un numero e vuol anche dire porta! La porta! La mia porta in Neulinggasse quattro; "Shalòm, Hans; vedo che lei prega con le spalle a Gerusalemme!"... "Mi scusi, Rabbino, io prego il Camino..."...squallida Neulinggasse dell'inferno!...»

«...Si calmi, per favore!... non pianga...»
«...Non pianga? Alla mia età?! Oh dio, che imbecille!... Sì, sì, mi scusi, va bene... mi perdoni... però mi trattenevo da un bel po' di tempo!... Io sono vecchio, Claudio, non reggo più la fatica... ah, no no, è troppo, troppo... troppo... ricordare tutta questa storia per lei...»
«La capisco... capisco benissimo... su, adesso beva qualcosa che la tiri su.»
«...Io le ho dato il violoncello del quartetto che suonava ad
AUSCHWITZ
«Cosa? ...No!... non... quello!...»
«Oh sì sì: quello! È proprio quello il violoncello che suonava dolci quartetti di Mozart agli impiccati mentre la corda gli stritolava la carotide! Col caldo e col freddo! È proprio quello e nessun altro!»
«...Lei era là?...»
«Ah no, no!... io? Io ero nella mia tiepida casa... il sabato andavo al cinema!»
«...Chi gliel'ha detto?»
«Cosa gliene importa? Lei lo vuole ancora quel violoncello, adesso? Solo questo è importante! Nient'altro!»
«...Auschwitz... non è un nome: è un frastuono... un frastuono di nomi ammassati, gridati... forse... poesie che resteranno incompiute... per l'eternità... no, la prego! La prego con tutto il cuore: non mi racconti bugie!...»
«Come potrei?... Chi potrebbe? Nessuno ha più voluto quel violoncello... nessuno!»
«...Perché a me, allora?!...»
«Perché lei era là! E perché a me, allora? O perché a Chaim Stern, o a Jehudah Katzmann? E quando mai l'hanno chiesto, quei poveri disgraziati?»


«Ma... io non posso!... Auschwitz ... Auschwitz è un simbolo, è enorme, non è un campo qualsiasi... non è una parola qualsiasi... è un nome... io ho un concerto fra poco... qui a Vienna... importante...»
«Sì, bravo, e proprio nella sala dove debuttò Popper! Lo sapevo... lo sapevo!! Vede, vanitoso violoncellista? Anche lei vuole solo la gloria!!»
«...No, non con quest'oppressione addosso! La prego, mi tolga questo peso! No! Non lo voglio! È troppo...»
«Ma però le andava bene, se era solo il violoncello di Popper!»
«...Auschwitz è troppo!...»
«Per dio, anche tu! Anche tu!! Auschwitz maledetta! Schifosa pozza di sangue! Ma allorachi dovrà mai suonarlo, quel violoncello?»
«No... non io, no, dannazione!!... E poi... e poi non è vero niente!... io lo so: lei si è inventato tutto di sana pianta! Non c'è nulla di vero, lei mi sta solo mettendo alla prova!... mi dica la verità! Adesso!!»
«Prima vuoi la verità, e poi ci sputi sopra... ah, che bello schifo! È sempre la stessa cosa: gli anni passano e la memoria, come sempre, non serve a un bel niente! ...Mi lasci in pace, allora. Se ne torni pure a casa sua col suo bel pseudo-Guadagnini, anche se è tutto rovinato da un banalissimo incidente d'auto a Los Angeles!»
«...Un momento... no, aspetti:... lei mi ha scioccato... Cerchi di comprendermi, io non potevo aspettarmi questo!...»
«Nessuno se l'aspettava. È successo e basta!»
«So cosa vuol dire; l'hanno raccontato in tanti... ho letto fin troppi libri con quel racconto!... Si sapeva, ma non ci si voleva credere...»
«Libri su libri per la memoria... ma la memoria ci inganna, spostando la verità sempre nel mondo della finzione, della rappresentazione, del teatro...»
«Il teatro non è solo il luogo della finzione, non è un luogo sbagliato... è solo sbagliato il modo in cui noi ci andiamo per guardare le cose. Forse dovremmo sempre prima imparare a pregare... poi pregare davvero, e infine... vedere le cose dal teatro...»
«...Sì, questo è giusto. Ma redimere la nostra anima resta sempre troppo difficile...»
«...Ma infine: qual è il suo rimorso, Ahasvero?»
«...Non esser stato là a soffrire...»
«Quel che dice è terribile!»
«Oh, lo so bene. Ma il rimorso è peggio, e la morte non arriva mai a concludere nulla. Proprio come la nascita, che sembra non sia cominciata mai...»
«Vuol dire che non riusciamo a percepirle né coi sensi né con la mente, così da non riuscire a prenderle per mano, per farci accompagnare con coscienza dentro o fuori dalla vita?»
«...Sì, forse questo.»
«Lei non riesce proprio a credere di poter vivere oltre questo suo cuore e questi suoi organi?»
«No!...»
«Dio... forse neanch'io ci riesco...»
«...Fu un calcio. Uno stupido, un volgare calcio di un SS a gettare contro un muro il violoncello: è così che la tavola armonica è andata in pezzi...»
«Un calcio al violoncello? ...perché?!»
«Perché? Non lo sente come suona stupida la sua domanda? Com'è banale? C'era forse bisogno di ricordare o documentare le ragioni per cui le SS davano calci, pugni, frustate o pistolettate nella testa? Fu un calcio e basta; forse di derisione, non credo di rabbia: la loro rabbia era finta, recitata; era divertimento, gioco gratuito, crudele. Di che si dovevano arrabbiare?... Claudio, ma non si rende conto? Quei soldati erano onnipotenti, in un campo di sterminio!»
«...E l'uomo che suonava il violoncello?»
«Uomo? Era un numero, l'immagine di uno schifoso ebreo. Per di più aveva due corpi fragili: se stesso e un violoncello; doveva essere divertente provare a vedere chi dei due si rompeva prima con una bella pedata...»

 

 


Per continuare clicca l'immagine, scattata da un soldato tedesco per il divertimento del suo commilitone.

per andare altrove,
clicca l'immagine qua sotto: