La forza di un
qualsiasi racconto non può essere altro che nel mito. E scriverli,
i racconti, richiede quindi un atto "rituale".
Il dipinto di Turner che ti ho inviato stanotte lo conferma: alla pittura
romantica, sensibile, impressionistica, si unisce il mito: il VORTICE,
lo stesso del quadro dell'Alchimista di Rembrandt, e di tanti altri
classici antichi o moderni.
A ben guardare, qualsiasi vortice dipinto contiene o comincia da un
segno grafico semplice, che è una X dalle linee "mosse",
come il disegno dell'Aleph:
E se questo segno
è per i latini il numero 10, lo è in effetti anche per
l'ebraismo, come insegna la Qabbalah, equiparando l'uno al dieci e a
tutto ciò che in matematica moltiplica o divide l'uno con lo
zero (ad es. -1, -0,1, -0,01 ecc., tenendo conto che i numeri si possono
contare nelle due direzioni).
Dunque anche Turner inscrive la sua visione romantica nel segno "rituale"
di una tradizione che è "seconda natura" dell'espressione
universalmente condivisibile. D'altronde, nulla meglio di una divisione
a X della tela ci permette di leggere un dipinto con facilità,
penetrandone lo spazio illusorio e vivendolo con i nostri sensi. Tutta
la pittura, sia quella che usa la prospettiva, sia quella che non la
conosce, si avvale infatti delle linee trasversali del campo visivo
per "omogeneizzare" il tutto, così da poter sviluppare
ritmi anche assai complessi al suo interno, ma "visitabili"
e percettibili poiché "ordinati" e trattenuti da un
campo totale "simpatico". Lo stesso procedimento si usa nella
composizione musicale, là dove essa sia "colta", tanto
nell'Europa di Corelli e Bach quanto nell'India del Raga e del Tala,
e in tutte le grandi culture antiche.
Dunque cos'è il ritmo? (di una composizione musicale, o pittorica,
o letteraria)
Io credo sia innanzitutto il "TEMP--I--O", costruito idealmente
dall'esecutore e dal fruitore insieme, dove insieme essi si recano e
si ritrovano. E il Tempio, sempre e invariabilmente, è un microcosmo.
Diverso quindi da un "TEATRO", dove si riflette la nostra
figura, "spostata" a un'altra realtà possibile. Il
teatro, quindi, è il luogo del racconto, della narrazione catartica,
della liberazione dai lacci e dai lucchetti del "destino".
Infatti questo è il luogo della "VISIONE", laddove
il Tempio è il luogo della trascendenza, o dell'intuizione dell'invisibile.
Ma cos'è dunque un CHIOSTRO?
Ecco, io credo sia tempio e teatro insieme.
Esiste a Genova, nella chiesa medioevale di San Agostino, un CHIOSTRO
TRIANGOLARE, di straordinario fascino, realizzato con regolare alternanza
di pietra scura e pietra chiara, a comporre il battito regolare di un
ritmo binario, inscritto nel percorso ternario dei suoi lati. Percorrendolo,
la sua forza si percepisce quando l'assenza del quarto lato è
raggiunta, facendoci collassare nel ritorno al principio. L'esperienza
del percorrerlo è sconcertante, sebbene uno degli angoli sia
acuto, creando così un senso di direzione; ma certo proprio in
ragione di quella, l'esperienza emotiva diventa "drammatica",
intendendone il senso greco, di Drama, "AZIONE".
Qua a seguito qualche elemento in più di meditazione:
«"Dieci e non nove". Sebbene la sapienza sia
con tutte (le sephirot), non chiederti: Come posso dire che la
sapienza (Hochmah) è una sefirah? "Dieci
e non undici". Non chiederti: Dal momento che la sapienza rappresenta
l'inizio del pensiero del discorso, come potrò non contarne undici?
Non devi infatti separare la sapienza dalla corona (Keter, la
prima sefirah), che è il pensiero dell'inizio del discorso, sebbene
tu non possa afferrare il pensiero di Colui che conta e che unisce.
(...) Poiché non vi è fine alla causa del pensiero dell'inizio
del discorso, come potrò fare del pensiero una sefirah?
Non dire dunque che esse sono undici né nove. Sebbene il discorso
sia nell'infinito, vi è nondimeno una causa sottile, o un essere
sottile che il pensiero afferra nella contemplazione di ciò che
vi allude. Questa causa rappresenta pertanto una sefirah del
pensiero, che è un essere sottile in cui ve ne sono dieci. Le
cose hanno dimensioni e misura, ma il pensiero non ha misura; per questo
vanno di dieci in dieci: dalle sottili derivano quelle che sono state
tracciate, giacché dieci derivano da dieci, le sottili da quelle
poste nell'intima sottigliezza. Dalla forza di allusione del pensiero
riconosciamo ciò che possiamo comprendere e quanto siamo costretti
a tralasciare, giacché da quel punto in poi non è possibile
capire il pensiero allusivo. La cosa creata non ha infatti la forza
di afferrare l'intima allusione del pensiero alla comprensione dell'En
sof (l'ineffabile, l'infinito) giacché ogni contemplazione
nella sapienza, a partire dalla comprensione intellettuale, è
sottigliezza, allusione del suo pensiero nell'En sof. Per questo
afferma: dieci e non nove, giacché il pensiero non concepisce
di dare misura a ciò che è al di sopra della sapienza,
se non attraverso la contemplazione, come è detto: devi intuire
con sapienza. Intuire è un verbo all'infinito; in
quanto imperativo, devi intuire è rivolto alle sole persone
in grado di comprendere. (...)»
Yitzhaq ben Avraham il Cieco, Perush Sefer Yetzirah,
"commento al libro della formazione", Francia meridionale,
fra il XII e il XIII sec. Traduzione di Giulio Busi, in Mistica Ebraica,
ed. Einaudi, 1995.
"......l'albero sefirotico è l'Adamo
primordiale, e quello, quindi (o ciò che ne rimaneva) è
ovvio credere che fosse l'albero proibito nel giardino di Eden.
Né esiste differenza vera fra la conoscenza del bene e del male
e la vita stessa, come si può ben capire guardando l'animale
che non mangia del cibo che sa essere velenoso per lui.
Così, di alberi con le radici nella terra ce n'è tanti
quanti ce ne sono con le radici nel cielo, e si chiamano "anime".
Se la tua immaginazione ricorre all'albero in metafora, le troverà
sia all'interno di un violino o di un violoncello (l'anima, negli strumenti
ad arco europei, è quella colonnina non incollata, che all'interno
della cassa armonica trasmette la vibrazione della corda, attraverso
il ponticello e la tavola armonica, al fondo della cassa, traducendone
il movimento da ondulatorio a sussultorio, ovvero da orizzontale a verticale),
sia dentro a un bosco............"
Claudio
«Il Santo, sia Egli benedetto, sposa
le coppie»
Sappi che colui che conosce il segreto del grado superiore e dell'emanazione
delle Sephirot, secondo il segreto dell'espandente e del ricevente,
secondo il segreto della terra e del cielo e del cielo e della terra,
conoscerà il segreto del legame di tutte le Sephirot e il segreto
di tutte le creazioni dell'universo: come le une ricevono le altre e
come si nutrono le une con le altre.
Tutte ricevono potenza emanativa, alimentazione, sussistenza e vitalità
da parte del Nome, sia egli benedetto.
Colui che conosce questa via conoscerà quanto è grande
la potenza dell'uomo: sia dove egli compie i 613 comandamenti, riparando
così i canali, tutto espandendo e ricevendo, sia dove egli danneggia
i canali e interrompe gli influssi. (...)
R. Joseph ben Abraham Gikatilla, Medinaceli, Castiglia,
1248 - 1325 ca.; inizio de: "Il segreto del matrimonio di Davide
e Betsabea".
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