Prima dell'alba il monaco si alza al suono della campana e si reca
in chiesa per la recita dell'ufficio notturno, che termina con le
lodi mattutine.
Al termine di questo spazio di tempo riservato alla preghiera il
monaco inizia il proprio lavoro, che non interrompe più sino
alla Messa conventuale, centro di tutta l'ufficiatura e punto culminante
della vita monastica.
La campana dell'Angelus ricorda l'ora del pranzo: nel refettorio
l'abate benedice la mensa ed il lettore che, come vuole la regola,
leggerà un brano di S. Scrittura durante il pasto.
Dalla lettura ad alta voce deriva naturalmente la legge del silenzio
per evitare ogni diminuzione di raccoglimento.
A tavola i monaci si servono a vicenda, a turni settimanali.
Dopo il pranzo c'è un'ora di ricreazione comune. Pare che
la ricreazione attuale dei monasteri benedettini non risalga alle
origini dell'istituzione monastica, sebbene la Regola di S. Benedetto
assegnasse già ai monaci qualche momento al giorno per lo
scambio delle parole necessarie: comunque, dal IX secolo, la ricreazione
è ammessa ovunque ed attualmente avviene due volte al giorno,
a mezzogiorno ed alla sera.
Al termine della ricreazione i monaci ritornano al loro lavoro.
La campana della cena riunisce di nuovo la comunità monastica
per un pasto rapido e frugale, seguito da una breve ricreazione.
Quindi il monastero si immerge nel silenzio: è l'ora di compieta,
la preghiera della sera, l'ultimo atto della giornata del monaco.
L'abate benedice i monaci e, dopo qualche altra preghiera per i
morti o alla Vergine, tutto tace.
La lunga ed operosa giornata del monaco è chiusa.
Da compieta all'indomani mattina, finito l'ufficio notturno, nessuno
può rompere il silenzio senza un grave motivo.
I LUOGHI DEL MONASTERO
La Chiesa:
ciò che domina e colpisce prevalentemente nella Chiesa monastica
è la magnificenza e lo splendore; essa, con l'altezza delle
sue cupole e delle sue torri, per lo più domina materialmente
il resto dell'abbazia: questo sta ad indicare che l'Opus Dei, l'ufficio
divino che si svolge nella Chiesa, prevale per importanza su ogni
altra forma dell'attività monastica.
Il Capitolo:
è la sede delle assemblee ufficiali della vita monastica.
Qui il postulante si presenta a chiedere l'ammissione al monastero;
qui, iniziando il noviziato, l'abate gli impone il nome nuovo e,
in segno di umiltà ed affetto, ad imitazione di Cristo, si
piega a lavargli i piedi, seguito in ciò da tutti i fratelli;
qui ancora prima di emettere i voti il novizio viene accettato definitivamente
alla vita monastica; divenuto membro della comunità, avrà
diritto a sedere in capitolo ogni volta che l'abate crederà
di consultare i fratelli su qualche affare importante, perché
qui si trattano gli interessi maggiori della casa. Le origini del
capitolo furono umili: distinto appena dal chiostro, cui era attiguo,
ora primitivamente destinato alla distribuzione del lavoro manuale.
Alle preghiere che accompagnavano l'attribuzione delle varie incombenze
si aggiunse poi la lettura di brani della Regola. Benché
il passo letto quotidianamente non corrispondesse sempre ad un capitolo,
tuttavia questo nome restò attribuito alla sala ove i monaci
prendevano conoscenza del loro codice.
I chiostri,
circondati da portici sostenuti da colonne e pilastri, uniscono
fra loro le varie costruzioni del monastero di cui vengono così
a formare l'ossatura e servono ai religiosi da deambulatori e riparo.
Alcuni hanno al centro delle aiuole fiorite, altri il tradizionale
pozzo sormontato per lo più dalla croce o dal monogramma
di Cristo. Nei chiostri vige la Regola del silenzio.
La biblioteca.
Le biblioteche benedettine hanno avuto una funzione importantissima
nel corso della storia: dopo la caduta dell'impero romano, furono
i monaci a raccogliere dalle rovine quello che fu possibile salvare
del sapere dell'antichità e per molti secoli le biblioteche
claustrali custodirono con cura innumerevoli manoscritti. Anche
ai giorni nostri la biblioteca ha grande importanza in un monastero
perché la lettura e lo studio fanno parte integrante della
vita monastica benedettina.
Il dormitorio.
Il dormitorio comune prescritto da S. Benedetto fu sostituito nel
corso dei secoli dalle singole celle. Dapprima si praticarono delle
divisioni di legno per proteggere il lavoro dei fratelli dalle distrazioni
inevitabili in una sala comune ed incompatibili con le esigenze
dell'attività intellettuale (studio). In seguito la stanza
fu chiusa da una porta e, in tal modo, si giunse al tipo di costruzione
attuale divenuto di uso generale dal XV secolo.
Il refettorio,
è il luogo del pasto comune. Non è una banale sala
da pranzo, ma anche qui, come in tutta l'abbazia, si rivela una
caratteristica della vita benedettina: la cura di elevare le minime
azioni della giornata ad atti profondamente religiosi. Prima del
pranzo c'è la benedizione del cibo; durante il pranzo viene
fatta la lettura pubblica di alcuni brani della S. Scrittura come
prescrive la Regola: "mai la lettura deve mancare alla mensa
dei fratelli". (cap. 38)
Il cimitero.
Nessuno ha coltivato la pietà per i morti con tanto zelo
quanto i monaci. La ragione di ciò è semplice e profonda.
L'abbazia è formata da uomini che vivono insieme e non si
dimenticano. La vita comune è troppo intima, il cimitero,
il luogo cioè dove riposano i corpi che attendono l'eternità,
non è così lontano da permettere che i vivi non pensino
ai defunti.
Nei secoli passati quando le difficoltà delle comunicazioni
rendevano enormi le distanze, i monaci avevano trovato il mezzo
di annunziarsi scambievolmente la morte di un confratello e assicurare
così i reciproci suffragi: d'abbazia in abbazia, di provincia
in provincia, peregrinava un religioso che portava con sé
la lista dei morti dove erano notati i defunti dell'anno con un
breve "curriculum vitae".
Questo uso ha perduto la sua ragion d'essere ma ancora oggi, ogni
giorno all'ora Prima, si ricordano i religiosi ed i benefattori
defunti e, una volta al mese, tutta la comunità va a benedire
le salme che riposano nei sepolcri.
L'azienda agricola, pur mantenendosi ben curata ed ordinata, non
può più avere l'importanza dei secoli passati, quando
la terra costituiva l'elemento quasi esclusivo della ricchezza monastica.
Oggi la funzione della tenuta monastica, dove pure essa esiste,
è quella di permettere al monastero di trarne, almeno in
parte, i prodotti necessari al proprio sostentamento.