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Arte nel mondo

Negli anni che ho passato a Calcutta per studiare musica hindostani ricordo di aver dovuto imparare a far risonare per "simpatia" le corde fuori tastiera del mio strumento. Mi si diceva di far molta attenzione, perché era con la musica che gli dèi avevano formato il mondo, e con la musica sarebbe stato possibile distruggerlo...
Ora, su sette corde sopra i tasti era possibile agire col plettro; su tre di esse si poteva agire col plettro e con la mano sinistra, che con due sole dita (maschio e femmina) poteva modulare la melodia; infine, sotto i tasti, c'erano dodici corde di lunghezza proporzionale accordate secondo la scala modale, ma queste potevano suonare solo per effetto della vibrazione prodotta dalle corde principali, e trasmessa dalla cassa armonica. Tutto ciò doveva produrre suoni intonati su una scala di cinque, o sei, o sette o più note, ma ottenute da una divisione in 22 parti dell'ottava, e non di dodici (o 24) parti, come nella nostra tradizione musicale. Quei ventiduesimi si chiamano schruti, che può venir tradotto in "udibili", intendendo ciò che è al limite ragionevole del discernimento d'un orecchio normale; ma in effetti "schruti" significa "unità riconoscibile al senso". Ventidue segni udibili, come lettere dell'alfabeto, erano il mio pane quotidiano, mentre cantavo in note esotiche le mie pene d'amore di ragazzo sedicenne pieno di ormoni in ebollizione.
Per questo, mentre tutti i miei compagni di studio suonavano nel ciclo ritmico chiamato Teen-Tal, di sedici battiti divisi in quattro gruppi di quattro, col gruppo debole al terzo posto, il mio Maestro costringeva me solo a soffrire nel durissimo Tal-Sawari, che si costituiva di quattro gruppi così divisi: 2+2+2+2+1 e mezzo+1 e mezzo, per un totale di 11 battiti.
Io soffrivo e sudavo, sudavo e soffrivo, e pensavo alle cosce morbide della figlia minore del mio maestro, Rangeeta, che mi guardava con desiderio. Una notte di maggio, nel profumo degli alberi di mango, Rangeeta scalò il muro interno della casa, lungo la buganville, fino alla mia finestra. La vidi incorniciata dalla luna, mentre lasciava cadere il suo sari a terra, e veniva verso di me come il più bel sogno di ogni tempo. Mentre ci amavamo, il ritmo del Tal-Sawari non cessava di vorticarmi dentro, e Rangeeta sembrava danzarlo per me, nei nostri respiri, nei baci, in quella mia prima penetrazione.
Quando al mattino cominciai la mia lezione, il Maestro spalancò gli occhi e prese lui stesso ad accompagnarmi nel Tal-Sawari. Quel giorno ricevetti le sue lodi, un allievo da iniziare alla musica, una splendida camicia di seta in dono e uno sguardo sornione rivolto a me e sua figlia.
Quando, un anno dopo, gli chiesi che cosa fosse stato a colpirlo del mio suonare, mi rispose: «dal tuo strumento si sono levate insieme le tre voci sacre: esse fluttuavano nell'aria come eroi divini, pieni di luce... Forse non te n'eri accorto?»
Dovetti rispondere di no... ma sapevo ormai benissimo far vibrare le mie corde simpatiche per produrre accordi di tre note suonandone una sola, modulata fra ventuno possibilità di permutazione. Purtroppo, però, non ne ricordavo più il piacere, né il significato; mi ero solo abituato ad accordare bene il mio strumento e a dirigere con esattezza le mie note, benché quella musica non servisse ad appagare il mio desiderio.
Oggi non posso che ringraziare Dio, che permette sempre d'avere un'altra possibilità.

C.R.

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©claudioronco2006