Nell’atelier veneziano del Tintoretto.
Con Florence, pittrice ginevrina residente a Venezia da ormai molti anni, si parla di creare i disegni di un nuovo libro illustrato per bambini. Questo libro, però, è dedicato agli anziani, che “Sentono il bisogno di ascoltare le voci dei bambini”, come avverte la copertina...
Una di quelle fiabe racconta di un compositore di musica:
“C’era una volta, pochissimo tempo fa (dieci, vent’anni al massimo) un geniale compositore di musica che aveva deciso di starsene chiuso in casa sua per scrivere tantissimi capolavori.
Ed era veramente un genio: infatti, le note uscivano dalla sua penna alla stessa velocità del suo pensiero, e la carta si riempiva di Sinfonie a grande orchestra, Cantate cariche di grandissima commozione, o Sonate di formidabile virtuosismo. Le partiture che scriveva finivano in pile alte come mura tutto intorno al suo tavolo di lavoro, e guardandolo scrivere sembrava che crescessero a vista d’occhio.
Quel compositore era così impegnato nel suo lavoro che non aveva tempo per null’altro: per nutrirsi, infatti, mangiava solo mele, di tutti i tipi, gialle, rosse, verdi. Le teneva un po’ con la mano sinistra e un po’ con la destra, mentre l’altra mano continuava senza interruzione a segnare di note la carta. Per riposare dormiva con un occhio solo, mentre l’altro continuava a rincorrere le righe dei pentagrammi; per lavarsi e cambiarsi d’abito… beh, bisognava vederlo: era veramente un acrobata, capace di infilarsi una camicia o i pantaloni senza mai cessare di far scorrere la penna sulla carta da musica!
Solo pochi vicini di casa conoscevano il suo lavoro; persone semplici, di campagna. Ogni giorno quella gente gli portava un po’ di mele, e quasi sempre finiva col chiedergli: «Ma perché non ce le fai sentire, le tue musiche?»; al che lui rispondeva sempre: «Se mi occupassi di farle suonare non troverei più il tempo per scriverle.» E aggiungeva: «Quel che è scritto rimane per l’eternità, e ciò che vien suonato svanisce con l’eco dell’ultima nota…»
Passavano gli anni e lui scriveva e scriveva, finché nella sua casa cominciò a non esserci più posto per tutta quella carta riempita di bellissime note musicali. Fu così che un bel giorno decise di passare un po’ di tempo a far ordine, ammucchiando alla meglio il suo lavoro in tutti gli angoli delle stanze, giù in cantina e perfino in soffitta, dove teneva le mele. E così si accorse che tutte quelle note, in effetti, erano diventate quasi mute anche per lui, e giorno dopo giorno parevano perdere la loro bellezza. Finì col preoccuparsene al punto che per la prima volta nella sua vita smise di scrivere per mettersi a pensare:
«Se già ora tutto quello che suonava tanto bello alla mia mente invecchia e s’imbruttisce, prima o poi il mondo non potrà più godere del tesoro della mia musica!»
Decise quindi che al più presto avrebbe dovuto far ascoltare e conoscere la sua musica, quindi si fece subito prestare un grosso camion, lo caricò di tutti i suoi manoscritti, e partì per la più vicina biblioteca.
Appena cominciò a scaricare giunse di corsa il direttore:
«Fermo, fermo! Che diavolo le salta in mente?» gridò.
«Donarvi le mie opere! Voglio donarle all’intera umanità, sapete?», rispose il compositore. E aggiunse: «Non posso tenerle solo per me! Tutti devono poterne godere: presto o tardi io morirò, e le mie opere morirebbero con me, se non avessero il posto che meritano! Le ho già viste invecchiare abbastanza: non ho il diritto di privare il mondo della loro bellezza!»
Il direttore della biblioteca —che era un uomo molto competente, un ottimo bibliotecario e grande conoscitore della buona musica— si piazzò con autorità davanti al musicista e gli disse duramente: «Ogni cosa a suo tempo: non crederà mica che chiunque possa arrivar qui e decidere cosa conservare e cosa buttar via? In questa biblioteca non entrerà nulla che prima non sia stata accuratamente analizzata e infine giudicata da me!»
«Prego!», gli rispose il compositore, offrendogli una delle sue ultime sinfonie. E il direttore, un po’ interdetto, cominciò di buon grado a leggere, se non altro per non far brutta figura.
Ma mentre leggeva, una dopo l’altra cominciarono a colargli le lacrime dagli occhi, e non poteva più far altro che singhiozzare e leggere, leggere ancora…
«Non ho mai sentito musica così bella…» disse; «Entra dagli occhi e giunge nel cuore... convertirebbe alla bontà anche il più malvagio degli uomini. Questa è la musica della pace, la più bella musica che si possa immaginare…»
«E allora?» chiese il compositore, «Posso o non posso metterla nella sua biblioteca, ora?»
«Ahimè no!» rispose il bibliotecario, «Non saprei davvero dove metterla… Non c’è più posto neppure per un piccolo taccuino, neppure per un foglietto sottile sottile!»
«Come?» esclamò il compositore, «Com’è possibile?»
«Né qui, né altrove…» fu la triste risposta; «Il mondo in cui viviamo non è infinito: troppe opere immortali l’hanno riempito ormai fino all’orlo!»
Il compositore tornò a casa talmente affranto che non gli riuscì nemmeno di scaricare il suo camion. Da quel giorno non scrisse più nulla: non poteva più neppure far scivolare la penna nel disegno di una chiave di violino: né sulla carta, né nell’aria.
Fu così che scomparve insieme alle sue opere: si coricò su quell’enorme montagna di carte, alta più della torre più alta del mondo, e si addormentò, sognando di sciogliersi pian piano nella terra per tornare, un giorno, come mille fiori profumati, tutti uguali e tutti diversi, al ritorno di ogni bel mattino illuminato dal sole..."
(Claudio Ronco, "Il compositore di musica",
da: "Tre fiabe per chi non le sa", Venezia 2002)
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