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Giochiamo ad ascoltare.
Metodologie per elaborare il disagio e i problemi dei bambini e degli adolescenti

a cura di: Claudio Foti, Claudio Bosetto

Franco Angeli Editore, Milano, 2000
collana: Hansel e Gretel, dalla parte del bambino - direttore Claudio Foti, condirettore Claudio Bosetto


 

 

Introduzione

 

 

di Claudio Foti, Claudio Bosetto

pag.

 7

 

 

 

 

 

 

Parte prima

 

 

Premesse teoriche e culturali

 

 

 

 

 

Aiutare gli insegnanti per aiutare gli allievi

 

 

di Claudio Foti

»

31

Per una pedagogia dell’ascolto

 

 

di Maria Antonietta Pinto

»

44

Il gioco nella proposta del Centro Studi Hänsel e Gretel

 

 

di Daniela Bruno

»

55

Gioco, emozioni e integrazione del Sé

 

 

di Claudio Foti

»

66

 

 

 

 

 

 

Parte seconda

 

 

Esperienze e metodologie di elaborazione del disagio e del maltrattamento

 

 

 

 

 

Esperienze e metodologie di gioco nell’attività didattica

 

 

 

 

 

Gioco e insegnamento per crescere insieme e prevenire il disagio

 

 

di Anna Maltese

»

87

Ore 12,30: un vulcano di voci e di emozioni

 

 

di Paola Martinotti

»

109

 

Esperienze e metodologie di gioco nell’educa-zione alla sessualità e alla affettività

 

 

 

 

 

Un modello interattivo, integrativo e trasformativo di educazione sessuale nella scuola

 

 

di Claudio Foti, Cristina Roccia

»

115

 

 

 

Esperienze e metodologie di gioco nella preven-zione del maltrattamento e dell’abuso

 

 

 

 

 

Maltrattamento all’infanzia e scuola. Ascolto negato e ascolto possibile

 

 

di Claudio Bosetto

»

158

Mi sono sentito trattato male, proprio male quando…

 

 

di Claudio Foti

»

194

 

 

 

Esperienze e metodologie di gioco nell’elabora-zione del conflitto

 

 

 

 

 

La violenza nella scuola e la sua elaborazione attraverso il gioco

 

 

di Claudio Foti

»

201

Alle radici degli atteggiamenti di intolleranza e di razzismo. Quale intervento nella scuola?

 

 

di Claudio Foti

»

217

Adulti e bambini di fronte alla guerra: dialogo in gioco

 

 

di Anna Maltese, Claudio Foti

»

227

 


 


 

Introduzione


di Claudio Foti, Claudio Bosetto

 

 

1. L’ascolto, il gioco e le quattro aree di crescita mentale dei bambini e degli adolescenti nelle istituzioni educative

 

Questo libro vuole essere uno strumento utile ai professionisti della scuola e a gli operatori psico-sociali che intendono realizzare con i soggetti in età evolutiva iniziative di prevenzione del disagio e del maltrattamento e, più in generale, attività di discussione e di elaborazione delle problematiche relazionali e sociali dei bambini e degli adolescenti.

All’interno di questo volume vengono illustrati i contenuti e le modalità dell’intervento che gli esperti del Centro Studi Hänsel e Gretel propongono da oltre dieci anni nei vari contesti formativi in cui sono chiamati ad operare (scuole, comunità o altri luoghi di aggregazione di soggetti in età evolutiva). Vengono inoltre chiarite diverse esperienze significative compiute e varie tecniche di gioco utilizzate.

Il testo è suddiviso in due parti: la prima parte mira a chiarire le premesse culturali degli interventi e delle metodologie che sono presentate nella seconda parte. La descrizione degli interventi e la riflessione sull’operatività, contenute nella seconda parte, non possono essere correttamente comprese senza un’acquisizione conoscitiva ed una comprensione approfondita dei contenuti teorici della prima parte.

Le esperienze e le tecniche descritte nella seconda parte riguardano quattro aree fondamentali su cui si può sviluppare l’intervento educativo e psicologico finalizzato alla crescita mentale e culturale dei bambini e degli adolescenti: la gestione dell’attività didattica e la conduzione del gruppo classe (contributi di Anna Maltese e Paola Martinotti); l’educazione alla sessualità e all’affettività (contributi di Cristina Roccia e Claudio Foti); l’intervento sulle tematiche del conflitto: la violenza, il razzismo, la guerra (contributi di Claudio Foti e di Anna Maltese): l’iniziativa di prevenzione del disagio e del maltrattamento (contributi di Claudio Bosetto e Claudio Foti).

In questo libro abbiamo scelto di soffermarci maggiormente sugli interventi rivolti agli allievi, benché nella nostra teoria e nella nostra pratica occupi un posto privilegiato l’intervento di responsabilizzazione, di messa in discussione e di formazione degli adulti interessati a vario titolo al ruolo educativo e preventivo della scuola: dirigenti scolastici, insegnanti, genitori, professionisti dell’infanzia e dell’adolescenza.

È molto importante ricordare che non può prodursi una significativa crescita mentale e culturale dei soggetti in età evolutiva nell’ambito dei processi di apprendimento, nell’area della sessualità e dell’affettività, nelle problematiche del conflitto interculturale e della violenza, nella risposta al disagio e al maltrattamento se non si produce, preliminarmente o parallelamente, sugli stessi terreni, una crescita mentale e culturale degli educatori. È quest’ultima che può stimolare l’evoluzione e il cambiamento dei bambini e degli adolescenti (vedi i contributi di Daniela Bruno “Il gioco nell’impostazione teorica e metodologica del Centro Studi Hänsel e Gretel” e di Claudio Foti “Gioco, emozioni e integrazione del Sé”).

 È la crescita degli adulti che può inventare e sperimentare, come si suggerisce in questo testo, nuovi atteggiamenti e nuovi metodi di confronto dialogico e di stimolante interazione con le curiosità, con le problematiche e con le sofferenze della nuova generazione.

Le tecniche di gioco e di ascolto presentate in questo libro sono state inizialmente utilizzate, nella storia del Centro Studi Hänsel e Gretel, all’interno di interventi di sensibilizzazione e di formazione sulle tematiche della relazione educativa, con genitori, insegnanti, educatori ed assistenti sociali e all’interno di corsi di educazione alla sessualità e all’affettività nelle scuole. Successivamente sono stati via via ampliati, con successo l’utilizzo, la sperimentazione e l’adattamento di queste tecniche in altri ambiti di intervento e con altri soggetti: per es. nella formazione specifica per psicologi, assistenti sociali, insegnanti, operatori dell’area giudiziaria, finalizzata alla rilevazione e alla gestione delle situazioni di maltrattamento all’infanzia.

 Non a caso alla prevenzione del maltrattamento è dedicata molta attenzione nella prima parte di questo libro (vedi l’intervento di Claudio Foti: “Aiutare gli insegnanti per aiutare gli allievi” e l’intervento di Maria Antonietta Pinto: “Per una pedagogia dell’ascolto”).

Tendiamo comunque sempre ad affrontare il compito specifico della prevenzione del maltrattamento e dell’abuso all’infanzia, facendo crescere in senso complessivo la disponibilità emotiva e relazionale degli insegnanti, degli educatori e degli operatori psico-sociali nei confronti della soggettività dei bambini e degli adolescenti.

La più grande risorsa di prevenzione della violenza ai danni dell’infanzia e dell’adolescenza consiste nello sviluppo a trecentosessanta gradi della capacità degli adulti di ascoltare le difficoltà e i problemi dei soggetti in età evolutiva, riducendo così quelle componenti di cecità e di sordità, oggi così diffuse nei confronti dei segnali e delle comunicazioni di disagio dei bambini e degli adolescenti.

Si tratta in altri termini di sviluppare l’impegno degli adulti a comprendere e a trattare la tematica più ampia ed articolata del disagio minorile: un disagio che si può manifestare per es. nelle difficoltà relazionali con i genitori e con gli adulti, nei blocchi e nelle difficoltà dei processi di apprendimento, nelle problematiche sessuali ed affettive, nei comportamenti aggressivi e intolleranti all’interno e all’esterno del contesto scolastico.

Un educatore che non sa creare all’interno del gruppo dei pari un clima comunicativo e relazionale dove possa essere messa in parola ed affrontata la realtà dei conflitti e delle violenze quotidiane, non può certamente aiutare un minore maltrattato a mettere in parola il proprio bisogno di essere protetto da una violenza intrafamiliare.

Uno psicologo e un operatore sanitario che tendono ad impostare i corsi di educazione sessuale nelle scuole proponendo lezioni frontali e contenuti intellettualistici che non consentono di far emergere la problematica conflittuale dell’esperienza sessuale degli adolescenti e dei preadolescenti, non possono certo stimolare nei loro interlocutori l’espressione di rivelazioni concernenti abusi sessuali, né tanto meno sono in grado di gestirle, qualora tali rivelazioni riescano comunque ad emergere.

Un insegnante che interagisce sul piano didattico con rigidità ed incomprensione alle problematiche emotive e relazionali sottese alle difficoltà di apprendimento di un bambino non può candidarsi certo ad assumere una posizione di ascolto e di sostegno di fronte a quello stesso bambino, qualora emergano in quest’ultimo indicatori di grave disagio familiare o di maltrattamento.

Se è vero che l’attenzione degli insegnanti alla dimensione mentale e relazionale degli allievi non può certo esaurirsi nell’elaborazione della problematica emotiva sottesa all’apprendimento, dal momento che l’esistenza dei bambini non si esaurisce nella loro esistenza scolastica, è anche vero d’altra parte che attraverso la considerazione dei problemi connessi alla didattica e al metodo dell’apprendere dei diversi allievi, gli insegnanti possono entrare in relazione con un aspetto fondamentale del mondo soggettivo di questi ultimi.

Un’iniziativa nella scuola esclusivamente concentrata sulla tematica specifica del maltrattamento ma estranea ad una strategia educativa che punti alla costruzione di un clima di dialogo autentico tra insegnanti e bambini, tra insegnanti ed adolescenti, finirebbe paradossalmente per non favorire negli allievi che subiscono maltrattamenti ed abusi la possibilità di mettere in parola il loro disagio, rompendo così le barriere del silenzio, dell’isolamento e della confusione che circondano quelle situazioni.

L’intervento sul maltrattamento deve inserirsi all’interno di un’iniziativa più generale di prevenzione, finalizzata all’obiettivo di far crescere le complessive competenze emotive e relazionali dei bambini e dei ragazzi impegnati nel cammino scolastico; un obiettivo che presuppone una crescita preliminare o quanto meno parallela degli insegnanti. Se non migliora, nella realtà scolastica, la capacità complessiva di tutti i soggetti, adulti e minori, impegnati nel processo educativo, di trattare le emozioni[1] e di affrontare i problemi relazionali, diventa impossibile favorire la comunicazione da parte degli allievi e l’ascolto da parte degli insegnanti delle tematiche associate al disagio e al maltrattamento dei bambini e dei ragazzi.

Approfondiamo dunque il rapporto tra la problematica specifica del maltrattamento e la problematica più diffusa del disagio minorile. Nel chiarimento di questa dialettica può essere meglio compreso il percorso e il progetto, sui diversi terreni della prevenzione, del Centro Studi Hänsel e Gretel.

 

 

2. Maltrattamento, disagio e impegno del Centro Studi Hänsel e Gretel.

 

Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse sociale e culturale nei confronti delle violenze che gli adulti commettono sui bambini: abusi fisici, sessuali e psicologici, gravi trascuratezze, che inevitabilmente compromettono lo sviluppo mentale e comportamentale del soggetto in età evolutiva che ne è vittima. Le istituzioni (fra cui quelle educative) cominciano ad interrogarsi, pur con molte incertezze e carenze, su come affrontare questo importante e delicato problema, su come individuare le violenze sui bambini, su come aiutare chi ne è vittima a parlare ed a chiedere aiuto, su come prevenire il disagio e la sofferenza dei piccoli. Tuttavia non bisogna farsi illusioni: la realtà della violenza all’infanzia, e la consistenza della vittimizzazione che ne deriva, restano in gran parte impensabili da parte della comunità sociale e da parte della stessa comunità scientifica ed istituzionale, in quanto costringono gli operatori sociali, gli educatori, i clinici ad entrare in contatto con le dimensioni di angosciante debolezza e di radicale perdita di controllo delle piccole vittime, dimensioni mentalmente intollerabili in quanto rinviano ai rischi di impotenza e di fragilità, connessi alla condizione umana.[2]

Il fenomeno del maltrattamento e dell’abuso ai minori rimane pertanto in gran parte sommerso, non adeguatamente rilevato e contrastato da parte di una comunità adulta culturalmente e psicologicamente molto ambivalente nei confronti dei propri “cuccioli”.

La società contemporanea si mostra pronta, sul piano dei principi, delle norme e delle rappresentazioni sociali, a difendere i valori dell’infanzia e dell’adolescenza. D’altro canto esprime “una concezione adulta pessimista e sfiduciata”[3] sulle proprie capacità educative e risulta poco interessata ai compiti di allevamento e di crescita delle nuove generazioni. Da un lato la comunità adulta sembra, talvolta, capace di comportamenti di cura e tutela dei bambini, e di innovazioni giuridiche ed istituzionali favorevoli all’infanzia, se pure in ambiti circoscritti. D’altro lato si rivela ancora, complessivamente, condizionata da nuove e vecchie logiche, egoistiche ed adultocentriche, di strumentalizzazione dei minori, ed inoltre appare scarsamente disponibile a prestare attenzione in maniera coerente ai bisogni dei bambini e dei ragazzi, vuoi sul piano delle politiche amministrative e istituzionali, vuoi sul piano degli atteggiamenti relazionali e mentali nella vita quotidiana.

La sofferenza minorile derivante dal fenomeno dei maltrattamenti e degli abusi s’inserisce, a ben vedere, all’interno di un disagio minorile che presenta manifestazioni molto varie ed estese (deficit di affetto e di comunicazione, solitudine, depressione, carenze nell’adattamento e nella socializzazione, assenza di modelli di riferimento, forme di distruttività e di autodistruttività, dispersione scolastica, uso di sostanze stupefacenti...). Tale disagio tende ad essere sottovalutato dalla comunità adulta e messo in rilievo soltanto quando emerge in forme eclatanti, trasformandosi in accadimenti che destano sensazione o scandalo nell’opinione pubblica.

Come s’è visto il disagio minorile, in quanto fenomeno diffuso e difforme, può assumere fra l’altro: a) l’aspetto del disagio scolastico, con atteggiamenti conflittuali nei confronti dell’apprendimento; b) l’aspetto del comportamento problematico rispetto alle dimensioni della sessualità e dell’affettività; c) l’aspetto di comportamenti relazionali e ideologici ispirati alla violenza e all’intolleranza; d) l’aspetto di indicatori e sintomi che possono rinviare ad un maltrattamento, fisico o psicologico, in famiglia, ad una grave trascuratezza o ad un abuso sessuale. Sono appunto le quattro aree su cui questo libro propone agli educatori modalità di ascolto, attivazione ed elaborazione basate sulla tecnica del gioco.

In generale l’attenzione per l’infanzia e per l’adolescenza, prevalente nei mass-media e nelle istituzioni politico-amministrative, assume spesso forme schematiche e riduttive, privilegiando in particolare le manifestazioni ideologiche ed esteriori, talvolta inautentiche o contraddittorie, della tutela nei confronti dei bambini: le dichiarazioni di principio; gli appelli al “dover essere”; la retorica delle esibizioni grandiose ed insincere delle capacità educative e protettive sia delle istituzioni che dei singoli; la proiezione della colpa e della responsabilità su una ristretta minoranza di figure adulte violente e “mostruose”; la negazione delle ansie, degli errori, delle ambivalenze degli adulti nei confronti dell’infanzia; la presentazione sensazionalistica del fenomeno del maltrattamento ai minori; la retorica e la spettacolarizzazione dell’intervento di tutela.

Nelle stesse istituzioni preposte all’educazione, alla cura, alla protezione dei bambini risulta ampiamente carente la diffusione di una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza rispettosa dei bisogni dei soggetti in età evolutiva e risultano largamente minoritari gli atteggiamenti mentali e relazionali basati sulla comprensione empatica, sulla sensibilità e sulla consapevolezza nei confronti delle manifestazioni di disagio dei minori.

Il Centro Studi Hänsel e Gretel nasce a Torino nel 1988 con la finalità prevalente di promuovere, all’interno e all’esterno delle istituzioni minorili, una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza centrata sulla responsabilizzazione degli adulti di fronte alle esigenze dei bambini e dei ragazzi. Si parte dal presupposto che tale responsabilizzazione non debba essere proposta ad una minoranza di genitori carenti o un gruppo ristretto di operatori in difficoltà, bensì debba impegnare tendenzialmente tutti i ruoli genitoriali ed educativi, tutte le categorie professionali impegnate in campo minorile (insegnanti, operatori sociali, giudici minorili, medici, psicologi…).

L’associazione, composta inizialmente da psicologi, psicoterapeuti, pedagogisti, insegnanti e giudici onorari presso il Tribunale per i minorenni, mira a sviluppare un intervento di prevenzione e di risposta nei confronti della violenza ai minori, favorendo negli adulti (genitori, operatori, professionisti), l’attenzione e la riflessione sui sentimenti e sulle difficoltà dei bambini e dei ragazzi con i quali si entra quotidianamente in contatto, promovendo la vicinanza e la valorizzazione nei confronti dell’infanzia, intesa sia come dimensione esterna ed altra rispetto all’adulto, sia come dimensione mentale ed intrapsichica appartenente all’adulto stesso.

Al tema dell’ascolto è stata dedicato il massimo sforzo di riflessione da parte del Centro Studi Hänsel e Gretel con l’impostazione di convegni ed iniziative culturali che hanno tentato al loro interno di sintetizzare il contributo teorico degli esperti e dei relatori con momenti di elaborazione dell’esperienza e dell’operatività basate sulla metodologia del gioco[4].

L’impegno del Centro Studi Hänsel e Gretel, sin dalla sua comparsa, è caratterizzato da un interesse per la prevenzione primaria[5]: riteniamo che la messa in discussione e l’attivazione responsabile dell’intera comunità degli adulti non debbano essere soltanto orientate a difendere una minoranza di bambini a rischio di gravi trascuratezze o abusi, bensì devono essere finalizzate ad una crescita di tutela e di rispetto nei confronti di ciascun bambino e ragazzo. In altri termini è importante che gli adulti impegnati in famiglia e nelle istituzioni minorili[6] possano migliorare le proprie capacità di ascolto empatico nei confronti di tutti i soggetti “minori”.

Questo obiettivo d’altra parte presuppone che i genitori, gli educatori, gli operatori e i professionisti che interagiscono con soggetti in età evolutiva, possano riconoscere, ed in qualche modo soddisfare, il proprio bisogno di essere ascoltati e sostenuti nelle proprie difficoltà relative ai compiti di educazione, cura e tutela dei minori. L’attività del Centro Studi Hänsel e Gretel s’è espressa continuativamente quindi sul terreno della prevenzione secondaria del disagio: nella chiarificazione di quei segnali e di quegli indicatori della sofferenza minorile che gli insegnanti, gli operatori e i professionisti dell’infanzia e dell’adolescenza possono imparare ad individuare e decodificare per poter attivare un intervento riparativo, capace di evitare l’aggravarsi della situazione di difficoltà[7].

Il Centro Studi Hänsel e Gretel ha inoltre concentrato una parte signifi­cativa del proprio lavoro nella prevenzione terziaria, ovvero nel lavoro di presa in carico di situazioni già segnate da maltrattamento e violenza (fi­sica, psicologica e sessuale). Il Centro Studi Hänsel e Gretel interviene nella diagnosi, nella consulenza giudiziaria, nella valutazione dell’attendi-bilità del minore e della recuperabilità delle famiglie abusanti, nonché nel trattamento psicoterapeutico delle vittime e del genitore non collusivo con l’abuso. L’attenzione specializzata di un’équipe del Centro Studi Hänsel e Gretel alla tematica dell’abuso sessuale ai minori, s’è collegata all’attività e all’esperienza, nei diversi ordini di scuola (dalla materna alle superiori), di educazione e formazione sulle problematiche della sessualità e all’affettività dei bambini e degli adolescenti[8].

L’intervento di educazione alla sessualità e all’affettività rivolto agli allievi, se viene impostato con una metodologia interattiva, attenta alle dimensioni conflittuali ed ambivalenti della sessualità, può rappresentare un esempio di attività di prevenzione primaria del disagio (cioè un intervento rivolto a tutto il gruppo classe e a tutti gli insegnati o ai genitori di una scuola), che riesce a sollecitare e ad innescare interventi più specifici di prevenzione secondaria e terziaria, per aiutare quei minori le cui problematiche, più o meno gravi, hanno potuto evidenziarsi nel corso dell’intervento di prevenzione primaria. Con le tecniche di gioco presentate in questo libro, e soprattutto con una conduzione di gruppo corretta e competente, supportata da una comprensione profonda dell’abuso all’infanzia, è risultato possibile in molte classi, dove si è svolto un intervento strutturato di educazione sessuale, far emergere domande di aiuto (che sono state dirottate in strutture di consultorio, dando così avvio a risposte di prevenzione secondaria) o rivelazioni, più meno approfondite, di un abuso sessuale, spesso ancora in atto, (che hanno dato origine a vari interventi, a seconda dei casi, di approfondimento conoscitivo e di protezione: in altri termini a risposte di prevenzione terziaria).

Dal 1997 il Centro Studi Hänsel e Gretel ha contribuito alla nascita dell’Associazione Rompere il silenzio e del suo progetto politico (nel senso che è rivolto all’intera polis degli adulti) di prevenzione primaria e secondaria e di sensibilizzazione all’ascolto dei minori (con particolare attenzione alla loro sofferenza e al loro maltrattamento). Tra le tematiche approfondite dall’iniziativa e dall’elaborazione di Rompere il silenzio vanno segnalate l’ascolto della voce dei bambini, il cambiamento e la messa in discussione dell’adulto, l’adultocentrismo nella famiglia, nelle istituzioni e nella comunità sociale, l’intelligenza emotiva9.

Un’attenzione particolare del Centro Studi Hänsel e Gretel e dell’Associazione Rompere il silenzio è rivolta al problema del rapporto tra scuola e prevenzione del disagio e dell’abuso all’infanzia10.

L’Associazione Rompere il silenzio e il Centro Studi Hänsel e Gretel si sono impegnati nella elaborazione e nella diffusione della Dichiarazione dei principi e degli impegni degli insegnanti e dei dirigenti scolastici di fronte al disagio e al maltrattamento degli allievi: si tratta di uno strumento che contiene le linee culturali ed operative che gli operatori della scuola possono seguire per affrontare le situazioni di disagio e di maltrattamento osservabili in contesto scolastico. Uno strumento che può rappresentare una risposta alla grave rimozione del problema da parte del mondo della scuola,.

Rompere il silenzio è un’associazione nata nella scuola, da un’espe-rienza di attivazione di un gruppo di insegnanti nel ruolo di conduttori di gruppi centrati sull’ascolto e sull’elaborazione delle problematiche emotive e relazionali dei colleghi, connesse allo svolgimento della loro attività professionale. L’Associazione s’è impegnata, in due campagne nazionali di sensibilizzazione con la promozione di incontri, convegni e seminari: la prima s’è svolta tra il novembre e il dicembre 1997, sul tema dell’ascolto della sessualità dei minori con venticinque iniziative; la seconda tra il settembre e il novembre 1999 sul tema dell’ascolto del disagio del bambino con oltre cinquanta iniziative svoltesi in quasi tutte le regioni italiane.

Abbiamo voluto affermare, nelle città e nelle scuole dove siamo stati presenti, che la più grande strategia di prevenzione dell’abuso sessuale all’infanzia consiste nell’aiutare i genitori, gli insegnanti, i professionisti dell’infanzia e dell’adolescenza a sviluppare la capacità di ascolto e di dialogo con i minori, di condivisione dei loro problemi, di vicinanza emotiva ai loro sentimenti e alle loro difficoltà. Solo così possono essere tenuti aperti canali comunicativi preziosi, che consentono ai bambini di segnalare immediatamente qualsiasi tipo di rilevante disagio (compreso quello conseguente all’iniziativa sessuale di un membro della famiglia o di un pedofilo).

 

 

3. Un metodo per coinvolgere e per formare, un metodo per comunicare e far crescere

 

Proviamo ora a schematizzare gli elementi che contraddistinguono la proposta metodologica dell’intervento preventivo e formativo del Centro Studi Hänsel e Gretel, sottolineando l’importanza di una riflessione sul metodo, dal momento che, nella relazione educativa, il metodo, ovvero l’atteggiamento, il modo con cui si vivono e si presentano determinati contenuti, è già esso stesso il primo e principale contenuto che viene ad essere trasmesso ai soggetti in età evolutiva.

“Il mezzo è il messaggio”, diceva Mac Luhan. Il modo con cui parliamo ai bambini è altrettanto, se non più importante, del contenuto delle nostre parole. L’essere reale dell’educatore, la sua vita emotiva, il suo atteggiamento quotidiano rappresentano il mezzo, il veicolo comunicativo di valori, modelli, contenuti che vengono trasmessi ai bambini. Poiché è senz’altro vero che innanzitutto “il mezzo è il messaggio”, ne consegue che gli educatori trasmettono ai bambini e i genitori trasmettono ai figli non solo e non tanto ciò che pensano o ciò che dicono, ma soprattutto ciò che sono.11 Prima di insegnare determinati contenuti, gli educatori propongono e pongono se stessi come messaggio.

 Per es. un genitore che ha un’ideologia democratica e progressista in materia di rapporti tra i sessi che poi, nei fatti, svaluta il proprio partner e disprezza l’altro sesso, non trasmette ai figli il proprio pensiero ideologico, ma il proprio metodo di vita, il proprio modello di comportamento svalutante e disprezzante. A scuola gli insegnanti prima ancora dei contenuti culturali trasmettono il loro modo di essere e di rapportarsi al sapere. Pertanto il ruolo della soggettività dell’insegnante ha un ruolo fondamentale nel sollecitare in positivo o in negativo i processi di apprendimento. Già nel 1914 Freud aveva chiaramente intuito che l’interesse o il rifiuto degli allievi per una materia scolastica può essere ampiamente condizionato dall’interesse o dal rifiuto nei confronti della persona dell’insegnante e del suo metodo.12

Un metodo comunicativo che passivizza gli interlocutori, che utilizza esclusivamente la modalità della lezione, che si rivolge esclusivamente alla testa dei partecipanti, non ponendosi il problema di coinvolgere il loro cuore, è un metodo contraddittorio rispetto alla finalità di aumentare la sensibilità e l’attivazione sia cognitiva che emotiva degli operatori sui temi del disagio, del maltrattamento o dell’abuso.

Facciamo alcuni esempi. Un metodo formativo, intellettualistico e cattedratico, veicola messaggi deformanti e antagonisti ai contenuti che si vogliono trasmettere in materia di relazione educativa o di prevenzione della sofferenza dei minori. Al contrario un metodo formativo che stimola per es. psicologi od operatori sociali a sperimentare le difficoltà emotive e relazionali che inevitabilmente s’incontrano affrontando casi di disagio minorile o di maltrattamento all’infanzia, consente un utile orientamento, anche teorico, sui problemi operativi ed emotivi che si devono affrontare nella prassi quotidiana.

Un formatore che imposta un corso sull’ascolto senza stimolare l’attivazione dei suoi allievi e senza dimostrare una capacità di interazione e di ascolto, finisce per dare un messaggio paradossale: “Vi spiego come si ascolta e vi faccio vedere come non si ascolta”. Al contrario un corso di formazione capace di alternare momenti di gioco e momenti di elaborazione emotiva e riflessiva, permette ai partecipanti di sperimentare in modo vivo e concreto problemi di comunicazione e di ascolto e consente al formatore di trasmettere in modo più efficace schemi e concetti teorici.

Un corso di educazione sessuale per bambini o ragazzi impostato esclusivamente sulla lezione a contenuto igienico-sanitario o psicologico-culturale, trasmette un forte messaggio a partire dal metodo stesso: al di là dei contenuti più o meno adeguati, dice ai bambini o agli adolescenti che i problemi legati alla sessualità sono costituiti essenzialmente da una carenza di conoscenze e di informazioni, dice che i problemi affettivi ed emotivi connessi alla sessualità non possono essere fatti oggetto di parola e di riflessione, dice che sulla sessualità esistono i competenti (per es. l’adulto che sta “insegnando”) e i non competenti (per es. gli allievi che stanno ascoltando). Al contrario un corso di educazione sessuale con le tecniche interattive elaborate dal Centro Studi Hänsel e Gretel, comunica, già a partire dal metodo scelto, che ciò che fa problema nella sessualità sono in primo luogo gli aspetti affettivi e relazionali, che il sapere e l’ignoranza sono componenti dell’esperienza di ciascuno, che la sessualità è normalmente costituita da aspetti piacevoli e da aspetti problematici e conflittuali, che è possibile e nel contempo liberante imparare a condividere e comunicare, in un clima di rispetto reciproco, ansie, dubbi, paure, difficoltà, desideri concernenti la sessualità e l’affettività.

La metodologia formativa, elaborata e sottoposta a verifica e riflessione nella prassi del Centro Studi Hänsel e Gretel, rinvia ad alcune parole chiave: soggettività, intelligenza emotiva, piccolo gruppo, comprensione, gioco, esperienza, regole.

 

 

Soggettività

 

Il nostro metodo valorizza la soggettività del destinatario dell’intervento educativo e preventivo, favorendo la sua partecipazione cognitiva ed emotiva al percorso formativo. Un percorso basato su modalità di interazione e di comunicazione bi-direzionale tra formatore e destinatario della formazione, tra adulto e minore se il processo formativo coinvolge quest’ultimo. L’esperto deve evitare di assumere atteggiamenti irriguardosi, svalutanti o passivizzanti la soggettività del bambino e dell’adolescente. Si tratta di ridurre al minimo il ricorso al metodo della lezione frontale e della comunicazione unidirezionale, che pone rigidamente l’adulto come soggetto che sa e il minore come soggetto che non sa.

Se il destinatario della proposta formativa è l’adulto, occorre ricordare che la soggettività comprende gli aspetti professionali ed umani, cognitivi ed affettivi dell’educatore, dell’operatore o del professionista dell’infanzia o dell’adolescenza.  La soggettività è la capacità di un soggetto adulto, impegnato in un ruolo familiare o sociale a contatto con bambini o adolescenti, di ascoltare, definire ed esprimere i propri bisogni, compreso il proprio bisogno di essere sostenuto ed aiutato ad affrontare le proprie impegnative responsabilità a contatto con figli, allievi o minori in carico professionale.

 

 

Intelligenza emotiva

 

Si tratta di favorire non solo l’attivazione, ma anche la consapevolezza dei bambini, degli adolescenti o degli adulti, coinvolti nei progetti formativi, allenandoli al contatto con la vita emotiva, al fine di sviluppare la loro intelligenza emotiva. Per intelligenza emotiva s’intende fra l’altro la capacità di riconoscere e mettere in parola il mondo dei sentimenti e delle emozioni associato alle esperienze e alle relazioni, la capacità di controllare gli impulsi emotivi senza reprimerli e senza neppure farsene travolgere; la capacità di sviluppare l’efficienza mentale e la comprensione della realtà e di motivarsi in modo globale (con la razionalità e con l’emotività) al raggiungimento di obiettivi e finalità di crescita, di educazione, di tutela; la capacità di percepire e comprendere le emozioni altrui, riuscendo ad essere sensibili ed empatici.  Si cerca di proporre ai partecipanti all’esperienza formativa il principio secondo il quale tutti i vissuti emotivi sono legittimi, mentre non lo sono alcuni passaggi all’atto di questi vissuti, in quanto favoriscono dinamiche di ostilità e di contrapposizione e contrastano la possibilità di dire e di pensare i problemi.

 

 

Piccolo gruppo

 

Il piccolo gruppo, dotato di stabilità e continuità, è il contesto ottimale dove svolgere l'intervento formativo, perché favorisce fra i partecipanti condizioni di conoscibilità reciproca e di rassicurazione, indispensabili per uscire dall'ansia, dalla diffidenza, dall'inautenticità, dalla presentazione difensiva di falsi Sé, e per far emergere problemi reali. Nel gruppo non si parte dalla teoria, anche se ad essa si può e si deve pervenire: il formatore non impone un sapere predefinito, non fa prediche, non sale in cattedra, ma innanzitutto tende a facilitare la costruzione di un buon clima utile alla comunicazione, alla riflessione e all’apprendimento a partire dall’espe-rienza.

Il gruppo classe dove i bambini e gli adolescenti vivono il loro impegno scolastico quotidiano o il gruppo strutturato dove essi condividono esperienze di vita, di aggregazione o di divertimento, è il contesto ottimale dove è possibile proporre interventi di formazione e di elaborazione basate sul gioco.

 

 

Comprensione

 

Occorre costruire all’interno del gruppo di formazione un clima dove prevalga l'atteggiamento di comprensione empatica, di rispetto reciproco e di solidarietà e dove vengano meno, per quanto possibile, le attese perfezionistiche e gli atteggiamenti di giudizio critico, che inibiscono la comunicazione autentica e l'elaborazione delle difficoltà reali. È fondamentale stimolare i partecipanti a rendere espliciti gli aspetti problematici, conflittuali, negativi della propria esperienza, superando quell’atteggiamento che porta i soggetti in età evolutiva a presentare socialmente un Sé falso o compiacente con i valori e con i modelli del gruppo stesso. Si cerca in ogni modo di contrastare gli atteggiamenti di colpevolizzazione e di autocolpevolizzazione nei confronti della vita emotiva e di favorire al massimo l'espressione autentica e differenziata dei problemi, dei punti di vista, dei sentimenti.

Con i soggetti  adulti si tratta di evitare le logiche giudicanti per favorire contestualmente la consapevolezza e l’impegno sulle responsabilità psicologiche, relazionali, giuridiche, professionali, legate agli specifici ruoli istituzionali di educazione, assistenza, cura, tutela dei minori.

 

 

Gioco

 

L’esperienza del gioco attiva la soggettività nelle sue componenti razionali ed emotive. Il formatore propone giochi finalizzati a far vivere situazioni capaci in qualche modo di presentificare l’esperienza professionale e relazionale a contatto con i minori, un’esperienza che può essere successivamente elaborata sul piano emotivo e riflessivo.  Le proposte di gioco comprendono tecniche di psicodramma, sociodramma, role playing, Gestalt, giochi di simulazione, di cooperazione, di elaborazione dei conflitti, di percezione del Sé e dell'altro, di fiducia.

Tali proposte possono essere, come meglio vedremo, opportunamente adattate alle diverse tematiche formative e sono modulabili in relazione alle specifiche esigenze del gruppo di formazione. Il metodo trova particolare recettività tra i soggetti in età evolutiva in genere più disponibili degli adulti a quelle oscillazioni tra fantasia e realtà, tra creatività e regole, fra affetti e ragione, che il gioco sollecita.

 

 

Esperienza

 

Il gioco rinvia all’esperienza problematica che si vuole elaborare, la rappresenta, la rievoca e nel contempo propone un’esperienza nuova, altra13 rispetto a quella che si è già verificata, al fine di rivedere e rielaborare i problemi e le difficoltà dell’esperienza quotidiana. I processi di apprendimento e di formazione risultano più efficaci se i contenuti teorici non vengono trasmessi in modo astratto, bensì vengono ad appoggiarsi all’elaborazione dell’esperienza, sia quella che si produce nel qui e ora del gruppo attraverso il gioco, sia quella che riguarda l’impegno e l’attività quotidiana. È senz’altro vero che non c’è nulla di più concreto di una buona teoria, ma a condizione che questa teoria sappia dimostrare di prendere avvio e di trovare verifica nell’esperienza, sapendola illuminare ed orientare.

 

 

Regole

 

Il gioco chiede ai partecipanti di canalizzare le energie soggettive dentro forme di regolazione e di disciplina funzionali a sviluppare determinate abilità sociali, comunicative e relazionali dei partecipanti. Garante di questo processo è l’autorevolezza del conduttore che tende ad allearsi sia con l’autocontrollo dei partecipanti, sia con la loro libertà espressiva e creativa che il gioco stesso tende a sollecitare. Pertanto, se ben condotta, la metodologia del gioco può risultare strutturante ed educativa per le regole che veicola e di cui chiede il rispetto (aderire nelle diverse fasi alle consegne del gioco oppure mentalizzare la difficoltà a farlo, non assumere atteggiamenti di contrapposizione o di sabotaggio dell’esperienza del gioco, autorizzarsi a mettere in parola stati d’animo e opinioni sulla base delle possibilità offerte dal gioco, consentire agli altri di fare altrettanto, non interrompere gli interventi dei compagni, abituarsi ad esprimere vissuti soggettivi piuttosto che giudizi ostili e proiettivi, ecc…).

 

 

4. Le tecniche di gioco tra attivazione efficace e illusioni rischiose

 

Le concrete modalità d’intervento e le specifiche tecniche di gioco che derivano dall’impostazione culturale e metodologica che abbiamo delineato, possono essere adattate e modificate:

a)    a seconda delle diverse figure che propongono la metodologia e a seconda dei diversi contesti (per es. lo psicologo che effettua un intervento formativo con gli insegnanti o nelle classi, l’educatore che conduce un gruppo in comunità o in un luogo di aggregazione, l’insegnante che utilizza la metodologia nel contesto didattico);

b)    a seconda dei differenti ambienti istituzionali (scuole di diverso ordine e grado, di diversa storia) o relazionali, nei quali si è chiamati ad operare (classi più o meno attraversate da specifiche problematiche di disagio, più o meno abituate alla discussione e al rispetto delle regole, condizionate da stili educativi più o meno sensibili e coerenti);

c)    a seconda dei vari compiti di prevenzione o di elaborazione che vengono prefissati (educazione alla sessualità e all’affettività, ascolto e comunicazione, elaborazione specifica dei segnali di disagio e di maltrattamento oppure delle tematiche del conflitto o dell’autorità, prevenzione del razzismo e dell’intolleranza, crescita delle capacità culturali, sociali ed emotive del gruppo classe, etc.);

d)    a seconda del soggetto destinatario dell’intervento: bambini, adolescenti, insegnanti, genitori...

La possibilità di utilizzare fruttuosamente le tecniche di gioco alle quali facciamo riferimento in questo volume e di plasmarle opportunamente a seconda degli obiettivi dell’intervento e a seconda delle situazioni, dipende da diversi requisiti che devono essere posseduti dal conduttore:

a)    la comprensione profonda della finalità sottesa alla tecnica, una finalità tesa a far emergere le problematiche emotive e relazionali degli allievi;

b)    la capacità e l’esperienza acquisita nel campo della conduzione di gruppo;

c)    la capacità di ascolto empatico e di comprensione della vita emotiva, di identificazione, di sensibilità e di rispetto per la sofferenza ;

d)    la capacità di porsi come conduttore autorevole e di contenere il gruppo, facendo rispettare le regole e i principi che risultano vitali per l’elaborazione dei problemi.

Evidentemente questi requisiti non possono essere assolutamente appresi con la lettura, per quanto attenta ed intelligente, di un libro. Chi s’aspettasse, magari animato da forte ma non realistico entusiasmo, di trovare in questa pubblicazione un manuale dove impadronirsi di tecniche nuove, originali e coinvolgenti, senza passare attraverso uno specifico percorso di riflessione e maturazione, non potrà che restare deluso. Anche se le tecniche di gioco che presentiamo potranno sembrare in alcuni casi molto semplici da usare, e quindi di immediata e facile applicazione, vogliamo precisare che solo un operatore che sia stato adeguatamente formato al loro impiego potrà usare i giochi proposti in modo corretto.

La formazione, come noi la intendiamo, passa tra l’altro attraverso la sperimentazione diretta su di sé – in un contesto di gruppo di apprendimento – dei giochi che verranno poi proposti ad altri, proprio per poter direttamente verificare quali possano essere le dinamiche di gruppo che si mettono in movimento, le emozioni piacevoli o spiacevoli che si possono provare nel corso del gioco, le resistenze che di volta in volta si possono incontrare giocando. Peraltro nessun libro, nessun manuale con le istruzioni per l’uso potrà mai sostituire un percorso di maturazione che passa attraverso la propria disponibilità a mettersi in gioco in prima persona ed a giocare e ad elaborare l’incontro con le difficoltà e con i problemi legati alla propria esperienza e alla vita emotiva propria ed altrui. Qualsiasi scorciatoia rispetto ad un cammino personale di esperienza, di riflessione e di crescita rischia di sollecitare negli operatori (insegnanti, educatori, operatori sociali o psicologi che siano) l’illusione di disporre di una tecnica onnipotente senza avere in realtà le competenze per progettare e raggiungere in modo costruttivo e realistico determinati risultati educativi.

Ovviamente noi crediamo nella tecnica che proponiamo: abbiamo dedicato tempo ed energia a definirla e sperimentarla, consapevoli che occorrerà uno sforzo ancor maggiore di quello finora compiuto per poterla precisare compiutamente. Tuttavia vogliamo scoraggiare un’assunzione immediatistica della tecnica illustrata in questo libro. L’idealizzazione della tecnica, in ogni campo, è una risposta alla perdita di sensibilità nei confronti della vita emotiva. Il mito dello sviluppo tecnologico che è stato trionfante in una certa fase storica nell’Occidente industriale s’è accompagnato ad una drastica caduta di valori e di significati in relazione all’area della soggettività e dell’affettività. Le stesse ricette e tecniche psicopedagogiche attualmente in via di diffusione (offerte da manuali, articoli di riviste, corsi in videocassette, conferenze di esperti vari…), anche quando sono caratterizzate da contenuti validi, tendono ad essere inopportunamente idealizzate da parte dei genitori o degli insegnanti per mantenere la rimozione dei bisogni emotivi, per riempire un vuoto di disponibilità a relazionarsi con il minore, a comprendere e a sentire. Pensiamo all’atteggiamento paradossale del genitore che pensa di risolvere il problema dell’educazione sessuale lasciando il figlio da solo davanti al televisore a vedersi la videocassetta “che spiega tutto così bene”.

Spesso negli incontri sulle tematiche educative e sulla prevenzione del disagio minorile, i genitori, gli insegnanti, gli educatori manifestano all’esperto l’attesa di una risposta tecnica che risulti immediata, competente e risolutiva rispetto al problema che viene esposto. In ogni incontro di questo tipo c’è sempre qualcuno che riassume in breve la situazione problematica di un minore per porre poi la fatidica domanda: “Che cosa devo fare?” oppure “Che cosa si deve fare?”. La forma impersonale accompagna la negazione che possa esistere una responsabilità personale e una dimensione soggettiva su cui riflettere.

 “Che cosa devo fare con questo bambino? Con questa bambina?” Viene espressa in questi casi la domanda di una soluzione immediata e concreta che sia in grado di far risparmiare a colui che la pone il tempo e la fatica, realisticamente necessari per elaborare il problema cioè per riflettere sul proprio atteggiamento emotivo e relazionale nei confronti di quel minore. “Se i genitori - scrive Alice Miller - hanno dovuto imparare molto presto nella loro vita a ignorare i propri sentimenti, a non prenderli sul serio, anzi a disprezzarli o a deriderli, allora verrà loro a mancare la sensibilità necessaria per orientarsi nel rapporto con i figli. In sua sostituzione cercheranno di applicare, come protesi, i principi educativi”14. La pedagogia diventa una tecnica da utilizzare come meccanismo di difesa.

L’idealizzazione delle tecniche e dei principi educativi da seguire come regole estrinseche si sviluppa così a scapito di un impegno personale ad entrare in contatto con il mondo dell’infanzia, quello interno e quello esterno15; la ricerca dei pareri degli esperti a cui delegare le risposte ai problemi relazionali coi minori avviene a scapito della disponibilità continuativa a mettere in discussione i propri atteggiamenti e a scapito della fiducia stessa nel proprio ruolo di educatori; l’inseguimento di ricette o di nuove tecniche psicopedagogiche, viste magari come capaci di garantire magici risultati, viene perseguito per evitare un cammino di maturazione e di sviluppo delle proprie competenze emotive e relazionali.

Non vogliamo dunque con questo libro fornire alcuna “protesi” per riempire la carenza di un percorso di crescita a contatto con la vita emotiva, propria ed altrui.

L’utilizzo della tecnica del gioco sulla base delle premesse teoriche e metodologiche chiarite in questo testo mira a sollecitare sia la comunicazione tra il gruppo dei bambini o degli adolescenti e l’adulto sia la comunicazione nel gruppo classe o in quello dei pari, riducendo i non detti, favorendo l’esplicitazione dei disagi piccoli e grandi, dei problemi piccoli e grandi, dei segreti piccoli e grandi che è pesante e pericoloso mantenere.

La nostra tecnica del gioco mira a favorire un ambiente capace di contenimento e di accoglienza e nel contempo propone sollecitazioni che tendono a far emergere in modo assolutamente non suggestivo comunicazioni autentiche sulle specifiche problematiche presenti nel gruppo dei bambini e degli adolescenti. Tali comunicazioni possono acquistare un carattere imprevisto e pongono sempre al conduttore un problema di ascolto: per es. una tecnica di gioco sul tema del disagio oppure dell’educazione alla sessualità e all’affettività può stimolare in un gruppo classe rivelazioni attinenti ad un lutto o ad un innamoramento sempre taciuto, ad un insuccesso e ad un crollo dell’immagine di sé, ad un conflitto non elaborato con un coetaneo o ad un’umiliazione subita da un adulto piuttosto che una situazione di violenza sessuale che si sta vivendo.

La vita emotiva è una ricchezza soggettiva che la tecnica del gioco mira ad evocare e ad integrare nelle forme e nelle intensità consentite dalle possibilità di elaborazione e di contenimento offerti dal gruppo e dal conduttore. La vita emotiva degli allievi è una componente che non può essere accantonata o cancellata, pena la produzione di sintomi, di conflitti, di scissioni che si ripercuotono negativamente sul clima emotivo e relazionale nella classe e quindi sull’apprendimento. Non si può dimenticare tuttavia che la vita emotiva, oltre ad avere straordinarie potenzialità trasformative associate alla sua integrazione, può presentare aspetti dirompenti rispetto all’equilibrio del singolo e del gruppo, aspetti che devono essere correttamente stimolati e padroneggiati.

La tecnica del gioco può smuovere in qualche caso delle emozioni forti, invitando il soggetto a mettere in parola una parte di sé talvolta molto problematica, conflittuale e delicata: il conduttore si trova pertanto ad avere una grande responsabilità nel saper accogliere, gestire ed elaborare quanto emergerà dal gruppo. Una conduzione del gioco priva di capacità di elaborazione della vita emotiva può rischiare di rendere il gioco proposto totalmente inefficace rispetto allo scopo prefissato oppure, in casi estremi, di produrre confusione, favorendo l’esplicitazione nel gruppo classe di problemi, tensioni e conflitti, senza riuscire a dare ad essi un senso e una prospettiva di soluzione o di elaborazione. Un conduttore inesperto e privo di competenze emotive e relazionali può fare così la fine dell’apprendista stregone che non riesce a padroneggiare il demone che ha evocato.

Per condurre il gruppo dei bambini e degli adolescenti con le metodologie illustrate in questo libro occorrono innanzitutto competenze emotive e relazionali, quali per esempio l’empatia, la disponibilità ad ascoltare, a mettersi in discussione e a riconoscere in modo realistico i propri limiti e le proprie difficoltà, la capacità di esprimersi attraverso la rappresentazione psicodrammatica e di condurre giochi psicodrammatici, il desiderio di imparare a trattare con la propria e con l’altrui vita emotiva, la competenza nel contrastare e nel rispettare le difese del gruppo e dei suoi partecipanti nei confronti del coinvolgimento emotivo, ecc. Tali competenze non sono competenze esclusive dello psicologo, né sono garantite dai percorsi accademici: sono qualità che dovrebbero risultare indispensabili nelle professioni di aiuto e che possono essere messe al centro di uno specifico cammino formativo. Le tecniche di gioco sperimentate dal Centro Studi Hänsel e Gretel sono state trasmesse all’interno di specifici corsi di formazione a psicologi, insegnanti, educatori, operatori sociali, che riescono poi ad applicarle – non di rado con attenzione, con creatività e con efficacia – in diverse situazioni.

È evidente d’altra parte che, a seconda della professione di colui che le utilizza, il gioco e la sua elaborazione potranno essere orientati in direzioni diverse. Uno psicologo, formato in senso analitico e psicodrammatico, con una padronanza della teoria del trauma e della Psicologia del Sé potrà per esempio essere nelle migliori condizioni per affrontare il problema emotivo di un allievo abusato in conflitto tra il bisogno di parlare e il bisogno di tacere, aiutandolo a superare le resistenze e a comunicare la sua dolorosa esperienza. L’insegnante d’altra parte potrà utilizzare queste tecniche per favorire nel rapporto quotidiano con la classe un percorso di crescita della socializzazione e delle capacità comunicative o di apprendimento. Anche un insegnante, un educatore, un operatore sociale potranno ovviamente essere i destinatari di comunicazioni di forte disagio o di maltrattamento da parte di minori coinvolti in un’esperienza di gioco. Essi dovranno valutare caso per caso come rendersi disponibili all’approfondimento del dialogo e come ricorrere all’aiuto di altre figure professionali, senza che questo significhi rompere la relazione interpersonale con il minore e scaricare ad altri la “patata bollente” della comunicazione ricevuta.

Uno degli errori più gravi che un insegnante può commettere nell’ac-costarsi alle metodologie presentate in questo libro è sovrapporre il registro dell’impegno e del rendimento scolastico al registro dell’attivazione comunicativa e della comprensione empatica dei problemi e dei vissuti emotivi.

Quando un insegnante in classe propone delle esperienze di gioco per favorire la comprensione di problematiche quali il disagio, la violenza, la sessualità o su altre tematiche emotivamente significative o quando egli partecipa a tali esperienze condotte da un esperto, deve necessariamente prendere le distanze dalla logica della prestazione scolastica: se si svolgono per esempio attività di educazione sessuale o di elaborazione delle dinamiche conflittuali o di prevenzione dell’abuso all’infanzia come quelle proposte nel presente volume l’insegnante non dovrà pretendere di valutare quanto elaborato dagli allievi sulla base della loro accuratezza formale, né dovrà dare il voto o una valutazione critica sul comportamento dell’alunno, così come durante un gioco non si dovranno certo correggere gli errori di sintassi o di grammatica che un alunno farà raccontando qualcosa di emotivamente significativo al gruppo.  Può essere pertanto utile nell’affrontare in classe determinati problemi emotivamente coinvolgenti distinguere chiaramente i momenti di gioco dalle altre attività didattiche16, e all’interno dei primi valorizzare nell’allievo non tanto le sue conoscenze culturali o la sua capacità di organizzazione formale del linguaggio, quanto piuttosto la sua capacità di sentirsi e di sentire, di raccontarsi e di raccontare, interagendo in maniera sufficientemente rispettosa con i vissuti emotivi, con le esperienze, con i punti di vista dei suoi compagni.

Altre esperienze di gioco potranno invece essere proposte come facenti parte dell’attività didattica e pertanto non sarà necessario interrompere la continuità dell’attivazione didattica e dell’attivazione di gioco.

A tutti coloro che leggeranno questo libro auguriamo di poter avviare un percorso di riflessione e formazione che consenta loro di confrontarsi con la metodologia che proponiamo e di trovare l’occasione opportuna per provare ad applicarla, imparando a lavorare con i bambini ed i ragazzi a loro affidati in un modo diverso, più coinvolgente, più vivo e sensibile, più giocoso e nel contempo più serio. In questo contesto inoltre auguriamo ai lettori di poter verificare quanta varietà di tensioni, di drammi, di segreti piccoli e grandi esistono nei cuccioli dell’uomo, ma anche di scoprire quanta ricchezza, troppo spesso non vista e non utilizzata, di bisogni, emozioni, risorse, desideri di comunicare e di relazionarsi all’altro, c’è dentro ognuno dei nostri allievi e dentro ognuno di noi.

Chi accetterà di intraprendere questo viaggio impegnativo di apprendimento, ricerca e coinvolgimento soggettivo, di scoperta dell’importanza della vita emotiva e della possibilità di stimolarla e di integrarla attraverso la tecnica del gioco, potrà anche scoprire giocando un modo diverso di stare insieme ai più piccoli, di parlare con loro, di ascoltarli con maggiore profondità ed autenticità, di apprendere da loro.


 

 


 


[1] Cfr. D. Goleman, L’intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano, 1996.

[2] Cfr. F. de Zulueta, Dal dolore alla violenza, Cortina, Milano, 1999.

[3] B. Barbero Avanzini, L’abuso all’infanzia e il problema dell’intervento sociale, in F. Ichino Pellizzi (a cura di), Maltrattamento infantile in famiglia e servizi sociali, Unicopli, Milano, 1988, p. 53.

[4] Vengono organizzati sul tema i seguenti convegni: “Ascolto dei minori, ascolto degli adulti” (ottobre 1992), “Ci sono e ti ascolto” (novembre 1999), “L’ascolto del bambino e dell’adulto diverso’” (maggio 2000). È in corso di preparazione per il 2001 il convegno “L’ascolto dell’abuso e l’abuso nell’ascolto”.

[5] Cfr. C. Foti (a cura di), Dove è andata la strega che mangia i bambini?, Centro Studi Hänsel e Gretel, Torino, 1989; e C. Foti (a cura di), Chi educa chi?, Unicopli, Milano, 1992.

[6] Cfr. C. Foti, C. Roccia, M. Rostagno, C’era un bambino che non era ascoltato. L’ascolto nell’educazione, nella tutela, nella cura del minore, Centro Studi Hänsel e Gretel, Torino, 1992.

[7] Cfr. l’opuscolo Attenzione: bambino che soffre!, promosso dal Centro Studi Hänsel e Gretel in collaborazione con la Circoscrizione 10 del Comune di Torino.

[8] Cfr. C. Roccia, C. Foti, L’abuso sessuale sui minori. Educazione sessuale, prevenzione, trattamento, Unicopli, Milano, 1994.

9 Cfr. Rompere il silenzio. La voce dei bambini, Associazione Rompere il Silenzio, a 1997, n 1; Rompere il silenzio. Il cambiamento dell’adulto, Associazione Rompere il Silenzio, a 1997, n 2; Rompere il silenzio. Adultocentrismo, Associazione Rompere il Silenzio, a 1998, n. 1-2. Sul tema dell’intelligenza emotiva cfr. gli atti in corso di preparazione del convegno “L’intelligenza emotiva”, svoltosi a Torino nell’ottobre 1998.

10 Cfr. C. Foti, C. Bosetto, A.Maltese (a cura di), Il maltrattamento invisibile. Scuola. Famiglia, istituzioni, Angeli, Milano 2000.

11 Scrivono Kohut e Wolf  “non è tanto ciò che i genitori fanno, ma ciò che i genitori sono ad influenzare il Sé del bambino” (H. Kohut, La ricerca del Sé, Boringhieri, Torino, p. 170).

12 Cfr. S. Freud (1914), “Psicologia del ginnasiale”, Opere, Boringhieri, Torino, pp. 477-480.

13 Cfr. J. Huizinga (1939), Homo ludens, Einaudi, Torino, 1973.

14 A. Miller (1980), La persecuzione del bambino, Boringhieri, Torino, 1987, p. 96.

15 Sull’idealizzazione delle competenze tecniche nella prevenzione del maltrattamento in ambito scolastico cfr. l’Introduzione a C. Foti, C. Bosetto, A. Maltese (a cura di), Il maltrattamento invisibile, op. cit.

16 Cfr. la proposta del “circle time”, in D. Francescato et al., Star bene insieme a scuola, Strategie per un'educazione socio affettiva dalla materna alla media inferiore, La Nuova Italia Scientifica, Firenze, 1986.