La
vivisezione è uno dei cosiddetti mali minori della nostra
società, ma essa suscita sgomento in vari strati
dell'opinione pubblica. Da molti anni, ormai, l'uomo si arroga
arbitrariamente il diritto di eseguire ogni genere
d’esperimenti sugli animali provocando loro, in molti casi,
sofferenze indicibili che farebbero accapponare la pelle anche
agli indifferenti, ai meno sensibili, a coloro che
hanno il cuore duro come la roccia.
La verità è che la
scienza ha effettivamente bisogno degli animali per portare
avanti complicate sperimentazioni mediche o genetiche, che per
ovvi motivi non potrebbero mai essere effettuate direttamente
sull'uomo. Sono numerosi i casi in cui la ricerca applicata
agli animali ha prodotto risultati di notevole rilievo
nell'ambito dei grandi problemi della medicina umana. In
particolare i primati, per la loro pur lontana parentela con
gli uomini, si sono rivelati utilissimi e infatti attualmente
ve ne sono migliaia disseminati, più o meno ufficialmente,
nei laboratori di tutto il mondo.
Ma
anche i topi, i conigli, i cani e i gatti sono sovente
utilizzati nei centri di ricerca. Gli animalisti lottano
strenuamente, da tempo, nel tentativo di convincere i governi
ad emanare leggi speciali che tutelino gli indifesi animali da
simili intollerabili abusi, ma non sono riusciti finora a
raggiungere risultati apprezzabili. È vero che tuttora
esistono numerose limitazioni all'uso degli animali per la
ricerca scientifica, ma è altrettanto vero che si tratta di
norme ancora troppo speciali o comunque inefficaci perché
facilmente aggirabili.
Prima di
continuare è necessaria una precisazione. Esiste una
vivisezione dai contenuti morali, tutto sommato, meno drammatici,
che è quella che consente agli scienziati di sperimentare
vaccini, tecniche di trapianto, di cercare soluzioni a
malattie per ora incurabili, come l' AIDS, il morbo di
Alzheimer, il morbo di Parkinson e naturalmente i tumori. Un
po' meno giustificabili sono gli esperimenti di biogenetica,
che alimentano le prospettive di una scienza che non si pone
fini prettamente medici, ma va forse troppo al di là dei
confini della biologia, oltre i quali è bene non avventurarsi
onde evitare spiacevoli sorprese ed errori raccapriccianti. Da condannare con energia la
“vivisezione industriale”, che non si prefigge altro che
l'indiscriminata sperimentazione sugli animali, allo scopo di
realizzare prodotti più efficienti, soprattutto nel campo
della cosmetica. Considerata astrattamente, la vivisezione
andrebbe sicuramente combattuta, poiché moralmente è
inammissibile minacciare le altre forme di vita del pianeta
per i propri comodi, anche se è vero che alcune applicazioni
finiscono per giustificarla, sia pure soltanto parzialmente.
Gli animalisti, organizzati in numerose associazioni, tra le
quali il celeberrimo W.W.F., portano avanti la lotta ai
laboratori senza cedere di un passo, nemmeno di fronte ai
numerosi risultati positivi ottenuti dagli scienziati in campo
medico. Tra le più recenti novità c'è infatti una
sperimentazione che avrebbe permesso di curare una scimmia dal
morbo di Parkinson, tramite un parziale trapianto cerebrale.
Beninteso, quando si parla di trapianto cerebrale non
s’intende la sostituzione di un'ampia porzione di cervello,
ma semplicemente l'innesto di neuroni, tramite il microscopio.
Questi neuroni vengono lentamente assorbiti dal tessuto
cerebrale e nel giro di qualche mese possono essere in grado
di riprodurre le condizioni antecedenti all'avvento della
malattia.
Anche nella ricerca sull'AIDS le
scimmie stanno assumendo un ruolo determinante, poiché la
maggior parte degli scienziati sostengono che su di esse si può
provare con profitto l'efficacia di vari vaccini o comunque
studiare le fasi di sviluppo del male. Esistono numerosi
laboratori nei quali gli animali vengono trattati con il
massimo riguardo, con numerosi infermieri a disposizione
che
li accudiscono amorevolmente. Uno di questi è il Lemsip della
New York University, uno dei laboratori più efficienti e
confortevoli al mondo, dove albergano centinaia d’esemplari
di scimpanzé: davanti a un tale gioiello, perfino le più
irriducibili società per la protezione degli animali si
sciolgono, scendendo dal loro piedistallo di giustizieri del
male e rendendosi conto delle buone intenzioni dei ricercatori
di quell'istituto, dove la salute degli animali occupa un
posto di importanza non inferiore ai risultati della ricerca
stessa.
La lotta si fa invece serrata nel campo
industriale, dove si consumano quotidianamente indescrivibili
violenze ai danni degli animali. Provate a domandarvi come la
casa produttrice dello shampoo che usate sia arrivata alla
formula definitiva.
È
stato grazie al sacrificio di moltissimi animali, soprattutto
conigli, che hanno dovuto subire supplizi atroci per degli
esseri viventi: moltissime ore passate in assurdi macchinari,
dentro i quali agenti chimici massacrano le loro membra,
mentre i poveri animali, terrorizzati, lanciano urla
strazianti e si dibattono in preda a bruciori lancinanti;
sostanze iniettate sotto la pelle per sperimentare eventuali
caratteristiche allergeniche, colliri, e altre torture
d’ogni genere.
Sono convinto della necessità di
perseverare con l'utilizzo degli animali nella ricerca
scientifica, ma sono altrettanto persuaso del fatto che
soprusi di questo tipo, il cui unico scopo non è altro che il
lucro, vadano impediti ad ogni costo. Le società protettrici
degli animali dovrebbero indirizzare i loro sforzi nel mettere
in cattiva luce le aziende che si avvalgono di tali pratiche,
tramite sottili e calibrate campagne denigratorie, che
finirebbero senz'altro per dissuadere tali società dal
continuare su quella strada. I biologi industriali non fanno
altro che eseguire gli ordini dei loro datori di lavoro, ma
provate a mettere in pericolo l'immagine che un marchio ha
presso il pubblico: qualsiasi società, pur di non perdere la
faccia, rinuncerebbe senza alcun tentennamento a tali
deleterie metodologie.