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C'è
almeno una parola turca che tutti gli italiani
conoscono, ed è un modo per dire no, alzando lievemente il mento e facendo schioccare la
lingua sul palato dietro gli incisivi. Più bello è un modo per dire di sì - infatti ci
sono almeno tre modi per dire no e per dire si - ed è una parola breve,
"Taman", che significa d'accordo, va bene. I miei compagni di viaggio hanno
imparato anche qualche altra parola, come a dire grazie, e buongiorno. Il turco non è poi
così difficile come un luogo comune farebbe supporre. Anzitutto si pronuncia esattamente
come si scrive, e questo è un grosso pregio per una lingua straniera.
A me piace moltissimo parlare con le persone che incontro in un
viaggio. Per questo ho studiato un po' il turco, anche pensando che saremmo stati in posti
remoti, tra le montagne, dove certamente non si poteva presupporre di comunicare in
inglese, o di essere certi di comprendersi solo a gesti. Qualche parola e qualche frase
importante per la sopravvivenza, e anche per il piacere di scoprire la sorpresa
nell'interlocutore e per il gioco spericolato di continuare, dopo il primo scambio, una
conversazione sempre più difficile. E a volte succede, come con Ismail a Yaylalar, che
ciascuno imparando qualche parola della lingua dell'altro - una busta di banane - Muss
Pochette - in realtà manifesti rispetto e simpatia, un incontro più significativo.© 2002 Rosaria Grazia Domenella |
E' la seconda volta che torno fra le
montagne del Kackar. Questa volta siamo in cinque, due tende. E' da poco passata la
mezzanotte e sono sveglia, in tenda, dopo aver dormito - in realtà sono caduta in uno
stato di assoluta incoscienza - dalle cinque del pomeriggio. Intorno a me un silenzio
assoluto, e pezzi di un bagaglio disfatto in fretta che premono sul corpo imbustato nel
sacco a pelo. Fa freddo. Finalmente individuo la lampada frontale e la avvito lentamente
per fare luce e dissipare l'angoscia che sento salire troppo velocemente in me. Riconosco
i segni anticipatori di un vero attacco di panico - claustrofobia? - ed io invece in tenda
ho sempre dormito beata, molto meglio che a casa sul mio letto. Meglio fare qualcosa
subito. Faccio luce mentre tiro un respiro profondo: il termometro interno segna meno
sette. Lentamente abbasso la lampo della doppia apertura della tenda, quel tanto che basta
per metter fuori la testa ed illuminare intorno al campo. C'è un cielo pieno di stelle -
riconosco il Carro proprio sopra di me - e una inaspettata pace. Il vento che soffiava
forte quando siamo arrivati - prima da Nord e poi da Ovest - e che ci ha costretto ad
edificare una vera cinta di mura attorno alle due tende del campo, è del tutto cessato.
Gioco con luce della torcia sulla neve, seguendo le impronte degli sci che segnano la
faticosa risalita di ieri, dal villaggio di Ongular fino a questo campo sotto al passo che
dovremo attraversare domani, e penso agli obiettivi della piccola spedizione, il cui esito
è ancora incerto per il mal tempo e la troppa neve che ha reso i pendii rischiosi. Siamo
qui, però, pazienti e ostinati, pur avendo dovuto già rinunciare, e per Sergio e me è
la seconda volta, alla cima del Kaçkar. Ma adesso qualcosa è cambiato: la notte fredda e
stellata ha reso tutto diverso. Il passo e le cime tutt'intorno si stagliano nette nella
luce della neve e delle stelle. Posso accarezzarle con gli occhi avidi, sfidando l'aria
gelida. Mi imprimo nella mente i loro complicati confini. Abbiamo un appuntamento per
domani. © 2002 Rosaria Grazia Domenella |
Staff organizzativo Associazione
Le Montagne del Sud:-
Sergio Azzarello
- Rosaria Grazia Domenella
Soci partecipanti:
- Giorgio Daidola
- Filippo Iacoacci
- Alberto Sciamplicotti |
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