17 gennaio 2000 – lunedì

Un luogo comune, soprattutto tra gli europei del nord, consiste nel considerare caciaroni gli italiani.

Bene, li posso smentire.

Li superano gli spagnoli e di più ancora i francesi.

Qui al Royal Garden ve ne sono diversi e quando sono in piscina od in spiaggia o a colazione, si fanno proprio notare.

Sguardi di riprovazione di danesi, svedesi e specialmente di tedeschi, che finalmente non possono più pontificare : " questi soliti italiani".

Ci dispiace solo di essere gli unici italici presenti in questa struttura.

Se ci fosse la compagnia giusta, che dico io, sarebbe una bella corsa fra noi e loro !!

 

CULONI LARGHI:

 

Non avrei mai immaginato che potessero esistere dei deretani così enormi.

O è un caso, o all’aeroporto i doganieri, prima li vagliano, come Tristano con la mietitrebbia, e poi li smistano tutti qui.

Certo, che se una di queste matrone si sedesse su un sacco di coriandoli, al momento di qualche atto fisiologico soft, farebbe carnevale per un mese.

Mi ritrovo così ad ammirare i pochi culetti decenti, che in condizioni normali, mi parrebbero dei corbelli.

Faccio pratica con il motorino; ormai sono diventato un esperto.

Andiamo sulla collinetta ad ovest di Hua Hin, quattro kilometri tutti in salita.

Il panorama è stupendo, il caldo ti affoga.

Sotto, il campo da golf e poi il paese, la spiaggia fino a Cha Am lunga 25 Km.

Peccato che ci sia un po’ di foschia; da tornarci al tramonto, con il sole alle spalle.

Su in cima, con noi, ci sono quattro giapponesi, un uomo e tre donne, di una certa età. Attacco subito bottone, (altrimenti cosa scriverei ?) e lui mi chiede se parlo spagnolo, perché ha vissuto molto a Madrid.

E la frittata è fatta. Ma quando mai mi sarei immaginato di parlare, capendomi, con un giapponese ?

Con il motorino è troppo bello; decidiamo di andare a Cha Am, altra località di mare.

Su Internet avevo trovato un sito, il cui autore, parlando di Hua Hin, consigliava però di provare un ristorante di Cha Am, che secondo lui era il Top.

Il ristorante si chiama PAK KLONG e si trova a nord del villaggio, dove termina la lunga spiaggia. Lo individuo anche senza indicazioni in inglese. L’insegna del nome ve la risparmio; è tutto scritto in thailandese, ma una vecchina ce lo insegna con un dito.

Chiediamo al cameriere se è proprio il ristorante Pak Klong e lui naturalmente acconsente.

Potrebbe anche essere " la locanda della sesta felicità", mi fermo ugualmente; ma come posso essere certo ?

La conferma viene durante il pranzo.

Pietanze eccezionali, curate, saporite, preparate con dovizia di particolari. Il conto un po’ più caro, perché cibo superbo.

Colpo di vita, ci roviniamo con 540 Bath = 27.000 Lire in due.

Valeva la pena dissanguarci.

Consiglio : polpa di granchio, tanta e sbucciata, con curry indiano.

Con il motorino è un piacere.

La gente locale si accorge subito della mia imbranatura celestiale, specialmente nelle rotonde (la guida è a sinistra) e mi agevola con ampi gesti e sorrisi di compatimento.

Al rientro in albergo, come sempre, faccio lo scemo con la guardia della Security all’ingresso del viale, salutandolo militarmente sull’attenti.

Solo che questa volta sono sul motorino e mi sono ritrovato vicino al canale con le ninfee.

Gianna mi sopporta, ogni tanto scuote la testa, ma in fondo in fondo, che esistenza piatta avrebbe senza uno sciabordito come me ?

In piscina c’ è una biondina niente male, che, ho controllato bene, è sola.

Per due volte, quando passa, la saluto e le sorrido, così tanto per gentilezza.

Lei deve avere però qualche difetto alla vista; non mi vede proprio. Peccato !

 

Abbiamo uno zainetto della Nike pieno di tasche e taschini, molto comodo, rigorosamente falso, acquistato l’anno scorso a Ko Samui.

E’ molto adatto per girare e per questo usato tantissimo. Mi pare che fosse stato pagato 300 Bath = 15.000 lire, e così quando mi accorgo che una bretella si è strappata a metà nella giuntura, non mi sono preoccupato molto.

Usa e getta, lo ricompro uno nuovo.

A Gianna viene in mente di andare a cercare una bottega dei settecentoventisei sarti che si trovano lì intorno e convincerli a riattaccare bene le due bretelle, magari senza fretta, si può tornare il giorno dopo a prendere lo zainetto.

Troviamo un sarto fuori del paese, proprio lungo la strada che porta alle cascate.

C’e’ un garage lungo lungo dove in fondo è dislocata l’abitazione con l’immancabile televisore sempre acceso, e all’ingresso il laboratorio di sartoria.

Sommerse da montagne di pantaloni, gonne, camicie, giacche, si intravedono vecchie macchine da cucire ed alle pareti, raffigurazioni di Budda , Buddini, fotografie e stampe di famiglie reali, tutte incorniciate da ghirlande e coroncine di fiori.

L’artigiano ci accoglie curioso, forse siamo i primi europei che si rivolgono direttamente a lui.

Ci spieghiamo in lingua locale, nel senso che lui parla thailandese ed io l’italiano, ma con tanta gestualità, sorrisi, esclamazioni, che alla fine capisce il motivo della visita e ci fa cenno di accomodarci su una panchina lì dentro.

Stiamo a guardare per un’oretta il genio che si esibisce in tutto il suo repertorio creativo, cercando bullette, trincini, battitori, incudinini, e spesso lavorando per terra.

Ogni tanto mi si avvicina e indicandomi la borsa mi dice qualche parola, sempre in thailandese, ed io ho imparato che le risposte migliori e di effetto sono una serie di esclamazioni di stupore; e lui ritorna all’opera soddisfatto.

Sorpresa finale al termine delle riparazioni : 60 Bath = 3.000 lire.

 

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