DE GAETANI
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Giovanni De Gaetani nasce a Genova nel 1930. Laureato in medicina e chirurgia nel 1956 presso l'Università di Genova, inizia una lunga carriera, attraverso numerose specializzazioni tra cui, nell'ottobre del 1969, la partecipazione ad un corso di broncologia ed esofagoscopia presso l'Università di Parigi conseguendo poi, nel 1972, l'idoneità nazionale a primario di pneumonologia.
Negli anni ottanta è responsabile del Servizio Medicina di Base presso l'U.S.L. 18 di Chiavari, poi del Poliambulatorio genovese nell'ambito della USL 12. Nel 1991 è nominato Amministratore Straordinario della U.S.L. 18 Chiavarese per proseguire, fino alla pensione, con altri prestigiosi incarichi. Nel 1972 è stato nominato cavaliere della Repubblica.

De Gaetani col Sindaco di Carro, Gino De Mattei

Giovanni De Gaetani Insieme all'attività medica il dottor De Gaetani ha da sempre sviluppato un'intensa attività politica. Vice Sindaco (dal 1960 al 64) è nominato Sindaco del Comune di Carro dal 1964 al 1975. Assessore nella Comunità Montana della Val di Vara (1972/1987). Presidente della Comunità Montana (1987/1991). Dal 1980 al 1985 è consigliere comunale a Chiavari e dal 1991 al 1995 nella Comunità Montana in cui copre la carica di assessore fino al 1999. Dal 1999 al 2000 è consigliere e Capogruppo nel Comune di Carro,  consigliere nella C.M.  e Presidente della Proloco S. Giorgio di Castello, Agnola e Pera.

 

De Gaetani
Gianni

De Gaetani

Un saluto

Giovanni De Gaetani è morto improvvisamente il 30 luglio 2000 a Castello di Carro a cena con amici in una delle tante sagre gastronomiche che rallegrano il periodo estivo. Dopo eterni minuti la realtà della morte ha coperto tutto. I piatti fumanti, i bicchieri di vino, le note della musica: tutto è tornato il freddo oggetto che da solo non dice niente. E poi, quando l’ambulanza ha portato via il suo corpo, un silenzio irreale è sceso sul paese, quasi un’eclisse. Alcuni vecchi contadini hanno detto "è morto", quasi subito: hanno vissuto la morte dei parenti, degli amici, conoscono il crudo linguaggio della natura e la rassegnata commozione a cui non servono lacrime. Noi di città ci spaventiamo di fronte a corpo freddo adagiato in terra: è bastata una carezza e un saluto ma era più completo e solenne, sincero e compiuto di qualsiasi cerimonia.

Tutti i necrologi e le celebrazioni diventano quasi un mezzo di comunicazione che rappresenta un dolore socialmente doveroso. Ma chi ha amato intensamente una persona deve conoscere l’apparente casualità dell’esserci. Solo con la fede è possibile immaginare un oltre non umano estraneo ai modi finiti dell’essere terreno. Solo con la fede possiamo capire l’uguale bellezza di un corpo senza vita e non inorridire per quel viso senza più espressione, ostinatamente legati al movimento motivato della concretezza iperattiva. In più la morte improvvisa è lacerante: abbiamo parlato dieci minuti fa, eravamo lì che si mangiava, dovevamo vederci domani, in effetti diceva che si sentiva un po' stanco, ma è per tutto quello che mangiava.......

A proposito: quando mai abbiamo salvato qualcuno dalle sue "insane" abitudini? Poi diciamo: gliel’avevo detto di non fare così.... se stava attento.... Ma nessuno riesce ad essere convincente al punto di far cambiare certe persone. Sembra quasi non gli importi che la vita possa finire molto prima. E’ quindi plausibile un inconfessato desiderio di fermare quel flusso di pensieri che per tanti versi ha cambiato la radice più profonda del nostro essere: quasi un’accurata attenzione inconscia  per avvicinarsi più rapidamente a una nuova dimensione dove quei resoconti interiori possano defluire trasfigurati e adagiarsi finalmente su un terreno di morbida  comprensione: il possibile Paradiso, dunque. Attraverso l’interiorizzazione della nostra intrinseca finitezza possiamo senz’altro amare di più e capire il valore della testimonianza attraverso le opere compiute.

La grandezza della figura di Gianni è proprio nell’aver capito la nostra transitorietà. Nei suoi giudizi morali sugli altri, spesso improntati alla massima severità, non mancava mai di aggiungere la dolcezza volitiva della nostra caducità. Come amava raccontare, ambiva a bere un bicchiere di vino sia col contadino che con il luminare.  Era un modo di rapportarsi con il prossimo, garantendo sempre il massimo dialogo possibile, non chiudendo mai definitivamente le porte ad eventuali nuove considerazioni, usando sempre la fantasia, sapendo uscire dai binari, rientrare e ridisegnare occasioni e scenari.

Non è l’esito del suo agire che ci interessa qui: quel che mi preme sottolineare è la sua costante e tenace convinzione disponibile a continue revisioni. Credo che Gianni abbia lasciato una grande eredità: la concezione di un mondo basato sulla necessità di capire a fondo i propri limiti e le proprie aspettative, cercando inesausti e dinamici la motivata convinzione per essere sempre vicini alle più sottili sfumature dialettiche e psicologiche: l'intelligenza al lavoro.

E’ certamente la strada più lunga, che non finisce in una vita. Ma è quella che probabilmente disegna la nostra Storia, quando i fatti accaduti sono frutto di operoso lavoro e non di episodiche sortite. Siffatto agire è fertile humus in cui tutto ricade, si distilla e ricrea riconducendo le eventuali asperità ad una forma globale ben più completa anche se mai finita. E qui risiede la massima bellezza e comprensione del non eterno, ove semmai la fede può proseguire: la coscienza di sé in sé, nel e col mondo.

Come sempre passeranno gli anni e molto dimenticheremo. Non ho voluto qui ripercorrere la carriera del "Gianni" medico e politico. Ho voluto, per amicizia e rimpianto, sottolineare quanto importante e irrinunciabile sia il "fattore umano" specie nei personaggi pubblici. E penso sia proprio questo che rimarrà di lui, in particolare alla gente della strada: figura istituzionale ma senza quel fastidioso distacco un po' saccente così diffuso. La gente di queste meravigliose vallate sa di aver perso una persona che comunque sapeva "ascoltare". Molti lo ricorderanno spesso, seduto sulla panchina vicino alla sua grande casa, proprio all'inizio di Castello. E questo, non essendo un elogio ai fatti (che, si sa, possono o meno piacere) ma al sentimento dei fatti, penso sia il segno conclusivo migliore di questo saluto.

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