«In questi Concerti, e specialmente nell'Arie, non saranno segnate tutte quelle legature che bisognarebbero per mostrare l'arte del ben cantare, come anco non sono segnati tutti li numeri che si doveriano nel Basso Continuo, e questo per isfuggire le difficultà della Stampa, e la confusione che farebbono trà le note e le parole; vi si mettono però quelli che più bisognano, rimettendomi nel resto alla peritia del Cantore, e dell'Organista»
Mario Savioni, Concerti Morali, e Spirituali, Roma 1660.

 

 

 

 

In certe calli di Venezia, così come in alcune delle sue molte chiese, ancora oggi si può ascoltare il canto degli uccelli con lo stesso nitore, con lo stesso lieve riverbero del suono, che si gode passeggiando in campagna. E incidere un disco a Venezia significa raggiungere ogni giorno il luogo scelto per mettere microfoni e suonare, passeggiando mattina e sera fra luoghi che rimandano tutti insieme a un fantastico giardino -più o meno incontaminato, più o meno curato- dove l'immaginario di almeno tre, quattro secoli sembra divertirsi ad apparire in un'ordinata confusione di storia e di ricordo.
Così il risuonare dei passi nelle calli, il rumore dell'acqua, le campane, il richiamo del gondoliere, il bisticcio allegro di suoni fra gli uccelli e i bambini che giocano, tutto ciò l'orecchio lo percepisce collocandolo in un tempo astratto, fuori dalla realtà o dall'immaginazione storica; forse perché queste cose, e i bambini e i gondolieri come gli uccelli e i pesci, non sanno che il tempo e la storia cambiano l'immagine e i suoni del mondo.
E così un merlo di buon orecchio e bella voce, felice di ripetere trilli insieme a noi nelle belle giornate di maggio, si è accasato su uno dei finestroni della chiesa di Santa Croce degli Armeni, nascosta in una stretta calle a due passi da San Marco.
Fate in modo che sia lui la vostra guida all'ascolto di questa incisione: regolate il volume del vostro amplificatore al punto preciso in cui vi sia possibile percepire la presenza degli uccelletti indaffarati in faccende primaverili, come fosse appena al di là della vostra finestra. Ascolterete con chiarezza i commenti e le belle, virtuosistiche imitazioni di quel merlo veneziano risuonare, come in quella chiesa, anche nelle vostre stanze; in questo modo anche il nostro suono vi raggiungerà così com'era, e come noi vorremmo fosse riascoltato.
I violoncelli barocchi che suoniamo, infatti, hanno potuto ritrovare nei nuovi restauri fedeli all'evidenza storica, tutta quella pienezza e formidabile potenza di voce che li può far duettare alla pari con i grandi Organi da chiesa, e creare ancora un formidabile "teatro sonoro" con la vastità di effetti ed espressioni che i Virtuosi del Settecento hanno saputo scoprirvi. Cercate dunque il giusto volume di suono, e lasciate che vi racconti le sue storie e le sue visioni.
Nella Sonata «Porto Mahone» di Lanzetti, il virtuoso napoletano tramuta il fuoco delle sue note nell'impeto di acque in tempesta: lasciatevi andare alla deriva sulla zattera del suo "Largo", tra languori ed abbandoni, slanci di passione e lumi di speranza. Fra i richiami delle Sirene, non impedite al dio Nettuno di risollevarvi tra i flutti eccitati di quel travolgente finale, dove fra le schiere di Tritoni in festa si ammirano il Trionfo e la Gloria del dio marino.
Nelle inquietudini bizzarre della Sonata I, Op V in La minore, -nella cui "Dedica" il violoncellista napoletano, con insolita amarezza scriveva: «Questa che per l'età mia avanzata sarà forse l'ultima dell'Opere che io dia alla luce»-, provate a vedere un anziano Pulcinella tormentato da dubbi, paura della morte, desiderio di innocenza. Ammirate i suoi lazzi e la sua trascinante follia nell'Allegro, e infine la sua ascesa al cielo, il suo solenne ma "leggero", e "virtuosistico" lasciare la terra e il suo soffrire, per entrare nella luce della beatitudine che l'accoglie.
In questo modo io vi invito a "vedere" dal "Teatro" di questi dischi, dove nel loro cantare i violoncelli quasi recitano, e nel loro disporre le armonie dipingono le scene in cui la "voce" facilmente muove le sue espressioni, nella più pura astrazione del canto, ben al di là dei testi o delle immagini che l'accompagnano. Gli strumenti non cessano di "articolare" i suoni nelle loro strutture armoniche, contrappuntistiche, ma il "senso" del loro espandere i nobilissimi effetti timbrici e le fantastiche rappresentazioni, o le allegorie della Natura, si moltiplica nell'apprendere dall'esperienza teatrale la tecnica per "pronunciare" le frasi musicali, proiettarle efficacemente nei grandi teatri, e per creare "embrioni" di significato, nell'uso sapiente della loro natura antropomorfa.
Questo modo di intendere e interpretare la musica del Settecento non la rende certo superficiale, neppure dove sembra scritta solo per alleggerire lo spirito dilettando la mente, o per puro edonismo, o per compiacere i potenti risollevandoli dall'ascolto penoso del grido di dolore del vivere.
Così la profonda introspezione, la percezione drammatica dell'ignoto della mente, la sconvolgente rivelazione dell'inconscio, in tutta l'era del Barocco non verranno mai composte in musica su partiture per orchestra -che doveva sottomettersi ai rigori della Retorica per servire lo Stato e le autorità nelle occasioni pubbliche- ma le incontreremo invece nell'intimità d'una Sonata da Camera, nell'inatteso tramutarsi di una idea melodica compiacente, rilassante, in vorticosi trasporti nelle angosce e nelle inquietudini più oscure del nostro spirito.
Provate ad osservare tutto ciò nell'Adagio della IV Sonata dal Libro III del Barrière,: comparate quelle emozioni con la Retorica del suo tempo, e forse converrete con me che simili viaggi, nell'Ottocento romantico, si sarebbero compiuti solo con opere sinfoniche, o riducendo al pianoforte o al quartetto l'immaginario dell'orchestratore.
Dunque sono questi i luoghi, le ragioni, che formano nella musica del Settecento un linguaggio poetico così efficace, maturo, al punto che il secolo successivo non potrà che appropriarsene -dell'esperienza drammatica, della tecnica, della sensibilità melodica- e generare una "dipendenza" da modelli storici dell'Estetica, che è fenomeno su cui tanto si è indagato, ma che ancora non si è risolto se non nell'atto del "ripetere", con maggiore o minore rigore e fedeltà, la tradizione musicale degli Antichi.
Se dunque quella tradizione ha rapporti così intensi e così vivi con la nostra sensibilità musicale, il nostro intervento -inevitabile in musica più che nelle altre arti- è intervento sopra la composizione originale dell'autore, determinante non solo per il suo "
significare con e oltre" l'opera scritta, ma anche per il suo essere percepita come necessaria integrazione di un oggetto altrimenti incompiuto.
Questo nostro necessario intervento diventa importantissimo quando affronta il repertorio del Sei, Settecento, e non può risolversi in un onesto contributo trattenuto in limiti quasi "impiegatizi", affermando che la dimensione della musica col Basso Continuo sia unica e non multipla, come invece è concesso proprio dal sistema stesso di questo modo di comporre.
In un esempio: del solo Basso Continuo si avvalgono i compositori nella maggior parte delle Arie d'Opera in tutta l'epoca barocca. Per lo più, è vero, vi si trovano introduzioni e intermezzi con violini o fiati, ma il più delle volte il canto si muove solo sul Continuo; se a ciò aggiungiamo poi i Recitativi Secchi e Ariosi, osserveremo che l'Opera barocca è sostanzialmente sostenuta dal solo Basso Continuo, contornato, incorniciato o abbellito dall'orchestra. Possiamo veramente credere che esso sia solo quel discreto commentare dei cembali -che in distanza non possono che suonare deboli e privati della loro espressività-, o l'intimidito, annoiato amplificare la mano sinistra dei cembalisti, da parte di professori di violoncello impegnati nella sciocca fatica di trattenere la natura sonora del loro strumento al di sotto del livello acustico in cui il cembalo si espande?
Tutto questo io ho ascoltato e continuo ad ascoltare nelle esecuzioni moderne, e ha trattenuto l'espressione musicale, come imprigionandola nelle maglie di convinzioni stilistiche o "filologiche" che non hanno né ragione storica provata, né più motivo per esistere e sacrificare al gusto di un'élite esclusiva la ricerca della verità storica come indagine, attuale e indispensabile, di una nuova e fertile educazione estetica per i nostri tempi.

continua