Répechage

 

 

 

 Subject: senza parole

Date: Gio 8 apr 1999,19:52 <SandraC>

 

 

      All'origine...

«Il linguaggio è nato dall'incontro con l'altro...il terreno percorso dalle prime parole era quello della seduzione, del fascino, della meraviglia, dove lo scopo non era di far conoscere ma di far sentire qualche cosa; erano parole che andavano alla cieca, come i gesti da cui erano nate e il cui senso non era una proprietà di chi le esprimeva, ma qualche cosa da condividere con chi le riprendeva e riprendendole le significava.»

(U. Galimberti)

 

(...Bellìno!
Quasi quasi ci faccio su
un sito internet...)

 

 

      Nel presente...

«il linguaggio traveste il pensiero. Lo traveste in modo tale che dalla forma esteriore dell'abito non si può inferire la forma del pensiero rivestito; perché la forma esteriore dell'abito é formata a ben altri fini che al fine di far riconoscere la forma del corpo. Le tacite intese per la comprensione del linguaggio comune sono enormemente complicate.»

(L. Wittgenstein)

 

       L'istante...

«Quando sembra inevitabile il naufragio della ragione è forse utile, come ci invita a fare Heidegger, meditare intorno all'essere. "L'essere il più detto e al tempo stesso il silenzioso". Quest'ultimo viene costantemente alla parola... ugualmente là dove siamo completamente senza parole, proprio là noi diciamo l'essere.»

(Sandra C.?...)

 

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Una risposta(?)...

 

L'altro ieri me ne stavo lì a consolare un amico mollato da sua moglie (con due figli che non esito a dire disgraziati...). La faccenda era enormemente complicata; così tanto, che non puoi spiegarla altrimenti che dicendola uguale al 90% dei matrimoni dopo dieci anni di convivenza in normali o difficili condizioni economiche, con una o due delle sei o sette varianti del litigio scatenante la separazione.
Lui voleva partire per la Jugoslavia a lavorare da volontario per aiutare i profughi, e lei - col problema di non poter pagare una baby sitter per tenere i bambini durante i suoi orari di lavoro - gli scatenava contro tutti i suoi doveri di padre. «È un anno che io non scopo!» grida lui a un certo punto. Lei - che era lì già da un'oretta piena piena, con io che tacevo e guardavo mogio da un cantuccio a lato - lo guarda fisso negli occhi e gli dice, lenta, piatta, sottile e penetrante: «Sono senza parole... stronzo!».

 

 

                            

In un recente film di Carlo Verdone c'è una scena carina e istruttiva:
è notte, e su una costosa macchina sportiva due coppie si trascinano qua e là tra i "naitclàbb" e i "ppàrti de ggente fica". Verso l'alba non ne possono più, e in riva al mare, ben chiusi dentro all'automobile, filosofano sull'esistenza: «Ahò... Nun ce sta più gnente da dì, piùggnente da fà... tutto è ggià stato detto, tutto è ggià statofatto...» dice una; e l'altra: «...mbé, abbasta avécce 'a fantasia: guardàteme un po' qquesto...», e alza le braccia mostrando le ascelle: una depilata e l'altra con i peli "fatti su" a treccia. «Una sì... e una no: me so' inventata 'sta cosa! Chéttepare?»
«Giàvvisto... - fa uno di loro, stancamente - stava ner firm de Coso... comesechiama?...»
«Sì sì,- dice l'altro - m'o ricordo bbenissimo: Coso... nun me ricordo'r nome...»
«...Ahò! ...anvedi? ...nun ce sta più gnente da dì, nun ce sta più ggnente da fà... tutto è stato giàddetto... tutto è stato giàffatto...», concludono.

 

 

...Senza parole Sandra...

.......«...Vabbè, ahò... speriamo chétte tòrneno!», come disse il conte alla marchesa......

 

L'essere si esprime anche nelle assenze: le Monache di clausura, i Monaci buddisti, i Sadhu induisti e gli eremiti vari lo sanno molto meglio di noi. Quanto al meditare, lo fanno per mestiere...
Quanto invece al naufragio della ragione, esso non è, evidentemente, nulla più che una fermata dell'autobus: a chi viaggia distrattamente sembra disposta in un punto d'un percorso lineare, ma in realtà è solo nel ciclo delle fermate, andando e tornando senza altra sosta che non sia quella stabilita per il cambio del conducente, o per una gomma forata.
A volte, diceva Gianni Rodari, i semafori s'illuminano di azzurro; la gente (poca) che se ne accorge, guarda e non capisce: non è verde, quindi non posso avanzare, non è giallo, quindi non devo fare attenzione, non è rosso, quindi non mi dovrei fermare... e nel tempo che pensano e considerano, il semaforo torna...
verdegiallorosso!


Una volta il semaforo che sta a Milano in piazza del Duomo - racconta Rodari - fece una stranezza. Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu, e la gente non sapeva più come regolarsi.
- Attraversiamo o non attraversiamo?
Stiamo o non stiamo?
Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeva l'insolito segnale blu, di un blu che così blu
il cielo di Milano non era stato mai.
In attesa di capirci qualcosa gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire lo scappamento e i pedoni più grassi gridavano: -Lei non sa chi sono io!
Gli spiritosi lanciavano frizzi: -Il verde se lo sarà mangiato il Commendatore, per farci una villetta in campagna. - Il rosso lo hanno adoperato per tingerci i pesci ai Giardini.
-Col giallo sapete che ci fanno?
Allungano l'olio d'oliva.
Finalmente arrivò un vigile e si mise lui in mezzo all'incrocio a districare il traffico. Un altro vigile cercò la cassetta dei comandi per riparare il guasto, e tolse la corrente.
Prima di spegnersi il semaforo blu fece in tempo a pensare:
«Poveretti! Io avevo dato il segnale di "via libera" per il cielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare.
Ma forse gli è mancato il coraggio».


(Gianni Rodari,
Favole al telefono, ed. Einaudi, Torino 1962)

 

Io a quel semaforo, insieme al buon Rodari, gli avrei dato una medaglia con un bel buco d'oro!

Con affetto affettuoso, tuo Claudio.