LA LIRA DI ORFEO E LA FAME DI PULCINELLA


CARRIERE INCROCIATE DI DUE VIRTUOSI DEL SETTECENTO

 

 

L’introduzione *** Lidea I *** Lidea II *** La lezione

 

 

 

L’introduzione

 

Tra le musiche possibili, una nasce nel silenzio, e un'altra si forma nel movimento dei corpi, nelle cose, nella natura.

La prima è concepita nel rumore discreto del pennino che semina inchiostro sulla carta, sviluppando teorie di strutture complesse, componendo, ordinando e riordinando pensieri astratti. Qui, nel silenzioso rituale dell'affilar pennini escrivere, ogni suono è sospeso. Così, nel gesto congelato dei tratti di penna proiettati verso il canto, quei segni restano pura bellezza musicale, eppure muta. Questa è la musica dei poeti, dei maestri, dei saggi.

Un'altra nasce dal movimento degli umori, dal sangue, dal cuore che lo pompa nelle vene, dal gesto del corpo, dal suo scontrarsi con gli eventi; nella direzione univoca del tempo, nella prigionia degli spazi. Essa nasce dal desiderio, oppure dalla paura, o semplicemente dalla casualità degli eventi naturali. Questa era forse la musica dell'uomo primordiale, o dello spirito libero, ma è stata di certo quella dei Virtuosi musicisti dell'epoca Barocca, ovvero di coloro i quali hanno fatto di se stessi, del loro corpo e dei suoi desideri, lo Strumento delle Muse e l'opera d'arte.

Si vuole infatti credere che il frutto dell'esistenza dei Virtuosi barocchi inizi e finisca nel loro corpo, e che solo l'arte coltivata dai saggi e dai poeti sia immortale, potendo questa trasferirsi in modo nobile e magnifico dal maestro all'allievo, da un corpo a un altro, di generazione in generazione nell'ininterrotto progresso dell'ascesi, che si vuole immaginare come un ritorno, o un rientro, nel percorso che inizia e finisce con il Creatore di tutte le cose. Eppure il dono dell'esistenza ha in tutt'e due la stessa sorgente: il desiderio di suono musicale mutato in emozione ineffabile, al di fuori del tempo e dello spazio, dove il corpo è nulla più che una metafora. Ed è la cristallina libertà —dal corpo, dalla materia, dal peso delle immagini e delle figure— che la musica riconosce, avvicina e ama.

Forse la prima assomiglia alla musica per Organo: veicolo dell'estasi, solenne proprio nel suo essere "meccanica", lontana dal senso corporeo della voce, con la sua fatica o ebbrezza del vivere; luogo privilegiato di contemplazione di un'ineffabile Armonia delle Sfere, nel perfetto silenzio dei sensi.

E forse la seconda è simile alla musica del flauto di canna, che porta con sé il senso del respiro, o del soffio primordiale, e l'idea del vento che corre sulla terra. Essa rimanda al senso della solitudine, del desiderio di unirsi a qualcuno o di avvicinarsi a qualcosa.

Organi, dunque, oppure orchestre di flauti; ma in tutt'e due questi luoghi simili a canneti, il vento soffia in loro solo per il desiderio di ascoltare il suono delle canne, ritte a legare il cielo alla terra, riunite e ordinate in armonica società. Contemplando tutto ciò, dita sensibili ne indicano la bellezza e compongono edifici di note che si possono apprendere e ripetere, palesando in tal modo il più profondo segreto della musica.

Non può dirsi compiuto il dovere del musicista, se dalla sottomissione al segno musicale scritto sulla carta —con rigore, ritualmente, nel silenzio del lento preparare il pennino, sciogliere l'inchiostro e tracciar segni su fragili ed effimeri supporti— non scaturisce il desiderio, sensualissimo, carnale, di commuoversi al suono, agli accenti del suono, per seguirlo nei suoi pellegrinaggi.
Ed è proprio di questo che sono maestri i
Virtuosi.

 

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© claudioronco 1996