Contrappunti

E' morto Antonio Russo.
E chi è?
Già, chi era?

Stava tornando in Italia, inviato di Radio Radicale
ormai da molti mesi a Tiblisi, in Georgia, da dove, forse unico giornalista non "russo", si recava nella devastata Cecenia per comporre i suoi reportage per la radio.
Stava tornando in Italia con nuovo materiale filmato sulla tragedia delle genti cecene e sulla vile aggressione operata dai russi.
Era radicale. Apparteneva al Partito Radicale Transnazionale,
quell'organizzazione non governativa che i russi stanno cacciando dall'ONU con le loro infamanti accuse di pedofilia, traffico di droga e di armi.
Pensate un po'! Grossolani come le loro recenti figuracce internazionali e come la loro storia.
E ora Antonio, abruzzese come me, è morto sul ciglio di una strada a 25 km dal suo alloggio. Ammazzato?
Era stato deportato su un treno piombato dai nazicomunisti di Milosevic durante la devastazione del Kosovo da parte dei serbi, lui, unico giornalista che si trovava ancora a Pristina, gli unici occhi con cui il mondo poteva strappare le immagini di quello strazio. Deportato insieme a tutti gli abitanti kosovari di quella città, scampandola per un pelo. Ma la sua testimonianza è stata preziosissima per l'incriminazione di Milosevic da parte del Tribunale Internazionale per i crimini nella ex-Yugoslavia.
La sua testimonianza è stata sempre preziosissima. Per chi ha avuto la fortuna di ascoltare le sue cronache. Per quei pochi fortunati a cui i nostri grandi giornalisti, le nostre penne d'oro, i nostri soloni dell'opinione, i nostri virtuosi della cronachetta sulla piscina di Mastella o sulla barca di D'Alema non servono e non sono mai serviti a nulla se non a farci render conto della povertà in cui ci hanno trascinato con la loro stessa complicità.
Forse qualche parola la diranno adesso, gli "inutili".
Ma chi era Antonio Russo, neppure iscritto a quell'Ordine dei Giornalisti corporativista e fascista che in Italia decide chi è grande e chi è niente?
Nessuno se n'è mai occupato. Tanto bastavano i Remondino o le Gruber.
Se ci meritiamo quelli, ce li teniamo stretti.
Addio Antonio.
gino



> E' morto Antonio Russo.


Caro Gino,
condivido la tua amarezza... e ricordo chi è Antonio Russo, anche grazie al tuo pro-memoria. Ricordo pure il sacrificio che è l'essere "idealist" in un mondo di "opportunist", tutt'al più soddisfatti di incontrarsi al "bar degli esistenzialist" per raccontarsi l'un l'altro che, avendo capito tutto ormai del mondo, non resta che "assumere uno sguardo distaccato e berci su, al suono di un vecchio, rauco sax...". Fra sax e contrabbassi, batterie e percussive pianole bruciacchiate dalle sigarette, questa nuova (anche se ormai vecchia) figura del moderno "Sant'uomo" (poiché consapevole) ha tutto degli antichi santi fuorché due cose: il fanatismo mistico e la compassione.
Una cosa negativa e una positiva, potremmo osservare... ma il prodotto di una tale "santità" è comunque nichilista e cioè "annullante", e di ciò si fa forte, in un equilibratissimo ciclo logico di "coscienza" e "constatazione", "sentimentalità" ed "egoismo".
Il cuore del problema, fondamentalmente, io credo sia il "mezzo", il "veicolo" delle nostre comunicazioni. E credo questo in quanto il più grande danno causato al mondo dalla mass-medialità consiste nel fatto che l’inevitabile vanitoso imbecille è giunto a potersi pubblicare in modo trionfale, e così a divenire modello etico ed estetico, poiché autorizza altri ad accettarsi e amare se stessi in quanto imbecilli.
Gira e rigira, in un ben poco etico/estetico rondò, la televisione o la radio o i quotidiani non possono preservare l'integrità "spirituale" di nessuno e di nessuna cosa: né del Papa né del Dalai Lama né di uomini come Antonio Russo.
Solo le nostre quasi segrete, sussurrate impressioni, nella leggerezza di una parola detta non per persuadere o vincere un duello verbale, ma solo per "affetto", possono forare quei muri di banalità: come finestre, come porte che si aprono verso altri mondi possibili. Come speranza, quindi...
Ciao,
claudio

 


Solo una breve osservazione al tuo bellissimo messaggio.
L'"inevitabile imbecille" non è, generalmente, colpevole in prima persona di potersi pubblicare. E' invece colpevole l'"inevitabile furbo" a cui l'"evitabile imbecille" è funzionale. Se grattiamo gli strati e le croste lo troviamo, ben mimetizzato ma lo troviamo.
Cerchiamolo, per capire, per dare corpo alla speranza di cui parli.
Un abbraccio
gino

 

 

 

 

 

 

 

 


IMBECILLI E FURBI?
.....
> L'"inevitabile imbecille" non è, generalmente, colpevole in prima persona di
> potersi pubblicare. E' invece colpevole l'"inevitabile furbo" a cui
> l'"evitabile imbecille" è funzionale. Se grattiamo gli strati e le croste lo
> troviamo, ben mimetizzato ma lo troviamo.
> Cerchiamolo, per capire, per dare corpo alla speranza di cui parli.
....


L'imbecille e il furbo si equivalgono: il primo è tale in relazione al secondo, e il secondo è imbecille in relazione alla complessità dell'esistenza. Infatti il potere, in ultima analisi, non è definito dagli individui, ma dalle masse e dai loro desideri indotti. Dunque scovare un furbo ogni tanto non salva né il mondo né una coscienza, e le speranze sono altrove: nessun sacrificio è tanto difficile e importante quanto il non diventare "imbecilli" rispetto all'immensità della vita, e per questo abbiamo bisogno di una metodologia che non si limiti a insegnare i principi costitutivi di ordini sociali o economici, bensì la persistente mediazione e la "variante attiva" di qualsiasi principio; in parole schiette, dobbiamo cessare di essere idolatri rispetto alle nostre idee, anche dove, col metodo scientifico, abbiamo creduto di conquistare la capacità di pensare ciò che vediamo, anziché vedere quel che pensiamo.
Ciao di nuovo,
Claudio.


No.
Non sono le masse che fanno la storia se non laddove opportunamente e scientificamente pilotate.
Per una parziale, per quanto necessaria disimbecillizzazione delle masse, occorre che i più consapevoli e responsabili consentano la formazione di una élite il più possibile illuminata e il meno possibile idolatra. Non la semplice caccia ad un furbo ma la creazione di una zona di salvezza da cui partire. Questo è possibile, la storia lo ha dimostrato, e rappresenta l'unica strada, fermo restando che sappiamo di non poter mai realizzare le condizioni ideali.
Ciao
gino

 


OSSERVAZIONE E LIBERTA’
>
No.
Non sono le masse che fanno la storia se non laddove opportunamente e scientificamente pilotate.


...............ma l'aver scritto (che sembra diverso dall'aver "detto"): "...dalle masse e dai loro desideri indotti..." implica che, avendo alcuni individui indotto nelle masse dei precisi e oculati desideri, possano "...opportunamente e scientificamente" pilotarle!
Tali individui sono, inoltre, degli "imbecilli in relazione alla complessità dell'esistenza", quindi possono permettersi di mettere a rischio la vita del pianeta con speculazioni incoscienti su scorie nucleari, assurdi disequilibri economici e culturali, distruggi i boschi e inquina i mari, pensa solo come i tuoi compari, pari o dispari siam sempe pari.........!!!
ECC.ECC.
Tutto ciò non è affatto un "rinnegare il progresso storico", ma è, semmai, l'osservarlo nella sua complessità... e dunque il punto di equivoco o disaccordo fra le nostre comunic--->azioni, in effetti, è solo questo: capire con chiarezza cos'è la COMPLESSITA', soprattutto in tempi storici di GLOBALIZZAZIONE.
Il fatto poi che si possano sperare e compiere solo PICCOLE AZIONI LOCALI, non deve né rendere una cocente frustrazione all'animo idealista, né considerarsi un'abdicazione dei grandi ideali; la storia insegna...
La "...zona di salvezza da cui partire...", di conseguenza, è sempre la stessa: l'intelligenza (emotiva e cognitiva) da coltivare come un orticello necessario alla sopravvivenza della specie (e, data la potenza oggettiva della nostra specie, anche del pianeta da noi abitato...). Osservare come la coltivazione di un'intelligenza o di un orticello necessiti di condizioni positive minime, quali la buona terra, l'acqua, le sementi e il lavoro per il secondo, e la pace, la giustizia, l'umiltà della conoscenza e l'amore per il primo, rende il quadro dello spazio d'azione che è necessario rendere al mondo.
"Osservazione", in greco, era la "teoria", e per i loro vicini di casa ebrei (che erano soprattutto pastori come loro) la parola "osservazione" (li-smor, in ebraico) era ed è usata anche per dire "conservazione". Rimane una traccia di ciò nel fatto che noi si dica "osservare un rituale" e non solo "osservare un bel tramonto (con o senza pecore in primo piano)". Esercitare l'osservazione, dunque, implica sempre il conservare qualcosa: le pecore, oppure l'intelligenza...
Ma quando a termine di lunghe "osservazioni" o "teorie" compiliamo i nostri "motti", i nostri "statements" fondamentali, spesso attribuiamo a questi un potere o un incarico che non può far altro che incatenarli in un "senso" che, pur appagando spesso la coscienza angosciata dai problemi dell'esistenza, li rende sterili e statici.
Esempio: il motto del B'nai B'rith, il movimento ebraico che dal dopoguerra fonda scuole, ospedali, lavoro in tutto il mondo per gli immigrati ebrei (...tutti gli ebrei sono immigrati... anche in Israele...) è questo:
"Il mondo poggia su tre fondamenti: studio, servizio e benevolenza"; è meglio di molti altri, ma non necessariamente migliore di "il lavoro rende liberi"... dunque, in fin dei conti, l'importante finisce con l'essere soprattutto il luogo, lo spazio, la "zona" in cui viene scritto e pronunziato....... più ancora della lingua in cui viene enunciato: "Arbeit mach frei"....
Bonne observation!
Ciao,
Claudio


credo che ci siamo capiti abbastanza, ma attenzione al volersi alzare troppo di quota rischiando di uscire dall'orbita (sempre che non lo si voglia); tornando al povero Russo da cui siamo partiti, ha scelto di piantarsi solidamente a terra per "osservare" da vicino e per raccontarci, rischiando, e perendo
ciao, Gino.

 

 

 

 


LIBERTA’

Se Russo fra i russi si fosse "piantato solidamente a terra" sarebbe riuscito solo a parlarci di "una terra", ovvero di "un mondo fra molti mondi in conflitto fra loro"; poiché ha accettato di volare più alto, rischiando con coraggio e senso del sacrificio, forse è stato ucciso. Se d'altronde la sua morte si scoprisse esser stata solo accidentale (incidente casuale), ciò nondimeno la sua esistenza continuerebbe a nutrire considerazioni fatte da altri e strumentalizzanti, in quanto che, appunto, il "...cuore del problema, fondamentalmente, io credo sia il "mezzo", il "veicolo" delle nostre comunicazioni..."
Chiudiamo una buona meditazione, quale questa io credo sia stata, evitando forme di cattiva retorica (ovvero quella che vuole rappresentare e definire il giusto e l'ingiusto) quali esempi di cattivi "veicoli delle nostre comunicazioni", rendendo all'opera di Antonio Russo la dignità di derivare solo dalla sua determinazione nel mettere tutto se stesso a rischio, fuorché il suo ideale di diritto alla verità dell'informazione.
Ciao,
Claudio.


Visto che abbiamo usato il povero Russo come scaturigine delle nostre conversazioni, ti suggerisco di incollare sulla tua pagina un link cliccando il quale verrà scatenato un realplayer da radioradicale con un breve videoclip in cui Antonio, appena tornato dall'avventurosa scomparsa in Kosovo, col suo argomentare limpido ma tagliente, sfoga le amarezze di quanto ha vissuto. Così il lettore capirà meglio da cosa val la pena partire per imbastire una discussione.
gino

 

Con piacere. E grazie di cuore...
claudio


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