Immagini musicali
Noi violoncellisti, violisti o violinisti, nell'esercitarci in prospettiva della conquista del nostro virtuosismo, per tradizione o per scuola cerchiamo la «cavata» del suono: è un termine efficacissimo per esprimere la perfezione tecnica dell'arco, quando riesce a produrre un suono che "corre", che raggiunge tutto il pubblico, affascinandolo, convincendolo, attraendolo verso il nostro suonare. Dalla «cavata» noi otteniamo tutta la bellezza del suono, l'espressione dei sentimenti, l'"intelligibilità" della frase musicale; in breve: la «cavata» è l'anima stessa, la "centralità" dell'arte dello strumento ad arco, così come ce l'hanno tramandata i grandi virtuosi, e come ce l'hanno descritta e testimoniata i critici o i cronisti loro contemporanei.
Dunque il suono, nella nostra tradizione, è una cosa che si deve «cavar fuori» dallo strumento. E questa è un'immagine da meditare a fondo.
Cavar fuori il suono: come l'attore che cava fuori dal testo teatrale il personaggio, come lo scultore che cava fuori dal marmo la sua opera.
Questa, inoltre, non è che la condizione di chi esegue un'opera, poiché il crearla è ancora un passo più in là: è il cavar fuori dal sé l'opera, trovandola dentro al proprio essere, e cavandola fuori essa nasce alla vita: come in un parto, l'opera nasce sottraendola a sé, con dolore, diminuendosi, perdendo sangue e forze. E, subito dopo, questa sua naturale situazione si deve convertire in un altro atto d'amore immenso: l'allattamento, il cavar fuori il latte, donare questo succo di se stessi, questo estratto sublime, per nutrire corpo e anima dell'opera.
Io affermo che in musica l'opera esiste solo finché viene eseguita, e l'esecuzione è un atto che fa sì che la musica venga ogni volta cavata fuori dalla partitura, dallo strumento, dal proprio corpo, dalla propria intelligenza e dalla propria anima, intendendo per "anima" quell'ineffabile cosa che va oltre l'intelligenza e l'emozione, ovvero esprime oltre il "linguaggio della mente" e quello "del corpo".
Noi diamo così tanta importanza allo scritto, alla partitura, ai nomi dei compositori e delle composizioni, alle nostre orecchie che "registrano e riproducono" il più delle volte stupidamente ciò che abbiamo sentito eseguire, che abbiamo finito per non notare più tutto questo.
E tutto questo è il miracolo centrale della musica: esce da noi un nuovo corpo, questo corpo è un'essenza, quest'essenza è leggera, a causa della sua leggerezza può visitare luoghi che si negano al peso della materia o dell' "immagine" delle cose materiali.
Quindi con la musica è possibile recarsi a visitare le "estremità" di luoghi che l'intelligenza razionale non riesce a riconoscere e ad appropriarsi che in forma di descrizioni o nozioni che "rappresentano cose visibili", o "visibilizzate" alla mente intelligente. Ciò che è solamente "visibile", o "visibilizzato", rischia di essere confinato nei limiti ovvi della "rappresentazione", e cioè l' "immagine", o, nel migliore dei casi, la "figura retorica". È proprio su questi fenomeni che incombe il comandamento biblico: «non ti farai immagine alcuna».
C.R.
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