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Contrappunto

Il nome di Dio in ebraico è il sigillo posto ai confini di un universo altrimenti infinitamente espanso.
Nel paradosso meraviglioso del racconto di Itzak Luria, Dio pare quasi giocare spensierato, sorridente, osservando che "nel nulla non c'era lo spazio per creare un mondo", e quindi, per poterlo creare, "ritrasse il nulla sui suoi lati, e nello spazio vuoto che si formò creò il mondo". Questa scena e questo personaggio sembrano a loro volta giocare con la frase lapidaria che è il passo 3.14 dell'Esodo: "Io sono colui che sono", come pronunziata da qualcuno che, seccato o stufo, la dice alzando le spalle con aria annoiata e poi se ne va per i fatti suoi, lasciando un pigreco a fabbricare mondi o suonare piacevoli melodie infinite a chi lo traduca in suono. E quei suoni si intrecciano in infiniti contrappunti, muovendosi fra l'alto e il basso, senza priorità direzionali. Ecco allora che noi, chiamando "Fughe" le nostre imitazioni di quei contrappunti, le facciamo muovere fra tre punti diversi ma connessi fra loro: la Tonica, la Dominante e la Sottodominante, ovvero il primo, il quinto e il quarto grado dell'Ottava. Ne derivano fabbricati armonici di difficile bellezza, dove ci rassicura l'idea che essi "correggano l'errore del Demiurgo".

C.R.

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