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                Valeriano,

 

caro, dolcissimo amico Valeriano,
ho atteso il tuo fax prima di scriverti, pur immaginando con esattezza cosa ci avrei letto. E di parlartene al telefono non avevo cuore, perché il telefono, sebbene sembri portare la voce, di fatto riesce a trasportare solo significati, senso autoritario del linguaggio, fatti, cose concrete, insomma: tutte le cose che hanno peso, consistenza, direzione.
Ma il cuore odia il peso, l'affanno dell'oppressione del peso, e vorrebbe muoversi solo
"Auf Flügeln des Gesanges", come cantava Felix Mendelssohn sulle parole di Heine:
"sulle ali del canto".

Così ti ho fatto cantare, ed era così bello -e così leggero- finire così quella telefonata. E poi, vedi, i fax sono una cosa ben strana: riportano il tuo segno con il calore, su una carta sensibile solo a quello. Che pallido surrogato dell'incidere in un cuore -anch'esso sensibile al freddo e al caldo di uno sguardo, o di un suono- per comunicare all'anima, e all'intelligenza.


E così anche il mio fax non voleva riceverti (e sì che ne ha ricevuti altri nel frattempo!) e forse il tuo, prima di imprimersi nella mia carta termosensibile, è rimasto per un poco in quello strano limbo in cui scompaiono i fax partiti e mai arrivati: un qualche "
sito" nell'universo -un buco nero?- dove tutte le parole di tutte le lingue si confondono e si sperdono, eppure (a differenza di quelle di Babele) danzano insieme il leggero Rondò della libertà e dell'oblìo: libere dall'autorità del senso, o dal senso dell'autorità. "Cordiali saluti" si avviluppa a "Spett. Ditta", e la ruota gira, gira e gira; di vertigine in vertigine il tempo si dilata e la terra, lontana, è solo una rotonda stupidità.


Ma infine le parole si aggrumano e -non più leggere- si fanno lèggere (quelle che: "si sapevano già").
L'ovvio e il banale si camuffano da prudenza, e diventano "il giusto": la giusta scelta, il giusto consiglio, il giusto giudizio, il giusto indirizzo.
Il mondo -o la mondanità- è sempre così banalmente prevedibile. E guai a chi ardisce con "l'oltre", o "l'invece"! Con
oltre, altro, invece, si vuole fabbricare il nuovo e il rinnovato, che ci rassicurano, appagano, e si vendono (prevedendo con chiarezze e certezze quanto, quando, a chi e dove).


Perché un computer ci fa sentire intelligenti, il telegiornale coscienti, la musica classica sensibili, l'arte artisti, la vita immortali, la morte... stupidi?
E di una stupidità rotonda, rotolante, mai eccentrica?
Cos'è rimasto dell'Alfredo Piatti di quel
disegno caricaturale della fine '800, in cui l'Alfredo seduto a suonare, pian piano, come si addormentasse accasciandosi sul suo strumento, in un lento e solenne 4/4, si tramuta in violoncello appoggiato a un violoncello?
Solo più una grottesca caricatura. Né possiamo trovare in noi coraggio per vedervi altro (...oltre...).
Eppure c'è, quell' "altro", e c'è pure bisogno di lottare perché lo si ricordi:
Ricordare, Ripetere, Ricercare. Anzi, meglio, in ordine inverso: Ricercare, Ripetere, Ricordare. Cosa?
Che siamo immagine di Dio, della sua sapienza, quella con la quale "formò" il mondo: «Il Signore con la Sapienza, Hokmah, formò il mondo»: è il primo emistichio di Proverbi 3:19. Scusa se ti cito sempre la Bibbia e non qualcosa di più moderno.


Guarda allora le "forme" intorno a noi, Valeriano, e chiediti se sai ancora davvero discernere il bello dal brutto, il buono dal cattivo, il giusto dall'ingiusto.
O solo il prudente dal rischioso, l'esagerato dal corretto, il sicuro dall'insicuro, il ridondante dal misurato.
Dentro a questa busta trovi un
CD fatto in casa: ci trovi incise le prime tre Sonate del nostro amato Alfredo per violoncello e pianoforte: le opere 28, 29 e 30. Forse saranno pubblicate decentemente, un giorno o l'altro.
Per ora prenditi questo provvisorio CD che ti invio (così
rotondo... ) e fallo suonare.


Ma ascolta nel tuo silenzio, solo per poter incontrare il
mio silenzio.
Forse "vedrai" il suono, come una teofania, come nel paradosso sublime che è la Musica.
E se lo vedrai, è solo perché il suono si è fatto carne, sangue e respiro; non "note".
E' solo il "corpo" del suono (o di Dio) che dà energia alla "forma", che la rende "luogo", o meglio "teatro", "luogo in cui si vede", e dove noi non siamo più (ecco il perché del nostro silenzio), dove "siamo" opera d'Arte' e non "facciamo opere d'arte".


Siamo, insomma, solo veicoli di Armonia, e non mai autori, o ancor meno creatori.
Artefici, semmai; di forme, figure che rappresentano ciò da cui sono state visitate.
E' un impegno grande, Valeriano, quello di essere Maestri dell'Arte, perché comporta l'obbligo perenne di non possedere, di non "creare", ma solo di divenire, "tramutarsi": come Marsia in fiume, o come Piatti in violoncello, in: "INSTRUMENTUM". Tutt'al più ci è concesso di inventare, come scoprire, o "svelare"...


Come vuoi che tutto questo lo si scriva su una rivista specializzata, o sulla carta di giornale? O che lo si racconti in televisione con un brillante intervistatore che vuole sapere come e perché ti dovrebbero ammirare, imitare, comprare e consumare?
«La lezione del Maestro Alfredo Piatti attende, sospesa sul nostro secolo» (C.R. unpublished works, casa sua, Venezia 1996); secolo particolarmente stupido, tragicamente frammentato, e incosciente, e cieco, e disperatamente schiavo della vanità del vivere, e del tempo che ha da vivere, muovendosi, agitandosi nelle prigionìe dei suoi schemi, delle sue reti informatiche, delle sue ragioni, di tutte le cose pesanti di cui si è caricato, credendo -che stupida illusione!- di scaricarsi così delle paure del passato.


Alfredo è un po' il Tao të King che dice:
«Egli produce senza appropriarsi,
Agisce senza aspettare nulla,
Compiuta l'opera non si lega ad essa.
Poiché non vi si lega, la sua opera resterà.»

Ecco allora che non si può "interpretare" l'autore Alfredo Piatti; è solo possibile visitare ciò che lui ha visitato: come Dante con Virgilio.


Che vuoi fare, Valeriano? Il tuo bel Festival Piatti a cent'anni dalla sua morte?
2001 fa un bel 3: con due rotondi e stupidi zeri in mezzo! Maschio e femmina? Procreeranno qualcosa, fomentati dalle buone intenzioni e attenzioni della borghesia bergamasca?
Meglio dunque quei due solenni estremi: un 2 che guarda verso un 1, attraverso quegli zeri, e nel loro fare un bel 3, si slanciano nella loro danza, là, dove "
ogni movimento del corpo si rovescia in movimento dell'anima" (Roland Barthes), in quella leggerezza che solo la musica (o la santità... ) può donare, e che raccoglie ciò che è sottile, che non è accentuato della vita.


Non offrirmi quel fax, Valeriano; offrimi solo il tuo ascolto.
In un luogo dove il "celebre talento" di *****, Grande Artista noto in tutto il mondo (è stato perfino in TV!) viene offerto alla memoria del grande Piatti, io non ho posto, non ho senso, non ho motivo alcuno.
Disprezzo le semplificazioni e la triste mediocrità di quel Grande Artista di fama mondiale, tanto quanto questi suoi aspetti assicurano il suo successo mondano; proprio là, insomma, dove io vedo la "barbarie" culturale del nostro tempo.
Desidero conservare, preservare in me stesso le condizioni per essere testimonianza di una lezione antica, perché credo che il futuro sarà nella coscienza del passato, così come mi è dato vedere dal mio distaccato sguardo -a volo d'uccello- su questo nostro mondo, mentre regredisce col suo progresso.


Piatti attende, per consegnarci la sua lezione; io non voglio contribuire a fare anche della sua memoria un oggetto di vanità; lui che è stato illuminato da quella saggezza in cui riconosco l'avvenire della nostra Arte. Non voglio contribuire in alcun modo a "fabbricare" il feticcio A. Piatti (come quello di Paganini, o Vivaldi o Beethoven), fatto di parole di specialisti e di note mondane: rumore di cucchiaini da gelato con panna e tanto zucchezro, che copre il canto; non mangerò mai di quel dessert.
Non voglio e non vorrò mai assistere alla banalizzazione di un nome che per me è una visione, un tuono che scuote la mia anima, e la consola.


Io ho inciso -con sacrificio, credimi- le prime tre Sonate del Maestro Alfredo: le ho posate ai piedi di un sogno sublime, altissimo. So che forse è troppo distante, o almeno credo di rendermene conto.
In effetti, tutto ciò che io vorrei poter fare per Alfredo Piatti -o grazie ad Alfredo- è inopportuno, imprudente, eccessivo, a confronto dell'appagante, rassicurante, compiacente mediocrità del moderno violoncellista di successo mondiale: con lui ci si identifica volentieri (e le Banche pagano), con l'Arte no: è troppo impegnativo e rischioso.


Eppure l'inopportuna è proprio l'Arte, quella cosa che dà fastidio a chi ne parla e ce la spiega, ma nel grido dell'artista è la salvezza dalla follia del mondo.
Sì: io voglio eseguire i Concerti di Alfredo Piatti con orchestra, voglio inciderli e incidere le ultime tre Sonate. Dove come quando Dio, **** e i soldi dei ******** lo vorranno.
O più semplicemente e probabilmente un miracolo.
Ma che i ******** non s'aspettino da me una conferenza, né ancor meno un concerto "a margine", in piccolo, minore, per l'élite, ovvero: piccolo nella spesa, e quindi nel valore. Non suonerò qualche Sonata o qualche "Variazione sulla Bergamasca".
Se il Festival di **** non è nelle condizioni per usarmi che negli angoli meno impegnativi e costosi, non deve far altro che continuare ad ignorarmi, e non investa i suoi soldi su di me; così come ha fatto finora: banalmente.


Claudio: stoico Diogene, donchisciottesco, patetico cavaliere dis-integrato, conserverà se stesso solo per pochi decenni sui suoi pochi supporti plastici per codici elettronici...
Dischi "inascoltabili": richiedono troppa concentrazione, troppo spreco del proprio tempo. Vincerà ovviamente, banalmente, *****: con lui tutto è così semplice.
Per pietà, Valeriano, non invitarmi a tutto questo!
Io non sono Diogene, né Don Chisciotte, né un patetico squilibrato, o un eccentrico talento misconosciuto e sfortunato!

 


Io sono l'umile Servitore della maestà della visione musicale, un devoto discepolo della Scuola d'arco italiana, che con Alfredo Piatti ha chiuso bottega, con speranza di riaprirla.
Vai
ad ascoltare questo mio CD. Forse vedrai che quel nostro "silenzio" è leggero come "le ali del canto", come l'uccello che vola, e non "come la piuma" (Paul Valery). Forse "vedrai" il suono respirare...

 


Ti consegno queste parole, questi suoni, come amico affezionato. Fanne ciò che vuoi. Gettale nel cestino della carta straccia, incorniciatele. Ma non potevo dirti semplicemente, banalmente, al telefono: Piatti è più grande del piatto in cui vogliono mangiarlo. Io non voglio assaggiare i resti di quel banchetto, né so trasmutare l'acqua in vino...
Lasciatemi ai miei studi, rispettateli per quanto potete, e non chiedetemi di mostrarmi umiliato servitore di falsi maestri di musica.

Il mondo ne è saturo abbastanza.
Accetta il mio affetto, sopportane l'effetto.
Vivi sereno.

 

  Tuo claudio ronco.

 


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