«...L'aveva
costruita presso i suoi luoghi natali, e certo era una casa dall'odore
dolce del latte e dei seni di sua madre. Lui, in quel luogo,
già da due anni viveva ritirato dal mondo e cercava il
riposo, ma l'urgenza di scrivere, di ricordare, l'aveva preso
e gli aveva negato il sonno.
Nota dopo nota, scrivendo con passione, vedeva comporsi la rappresentazione
sonora del suo Paradiso, di quel luogo di assoluto piacere che
lungo tutta la vita aveva cercato di sognare, aggiungendo o togliendo
dettagli nuovi ogni notte, rubando ore al sonno per variare un
poco questo o quel particolare piacevole.
Ora, quel Paradiso riusciva a vederlo con il senso del suono
musicale, del senso che più aveva domato ed esercitato
qui, sulla terra. Così era proprio qui, sulla terra, che
gli sembrava già di visitarlo; o forse era il Paradiso
a visitare lui, in premio di tutto il tempo che gli aveva dedicato
sognandolo attentamente. Ecco allora che componeva tutte le melodie
e i ritmi particolari di un certo giardino che aveva immaginato,
o della speciale frescura dell'ombra di un certo albero, via
via sempre più addentrandosi nel dettaglio del fiore,
o della foglia, del colore, o dei profumi, provando e riprovando
a variarli, combinarli in diversi modi, carezzandoli o lasciandosi
carezzare, fino ai luoghi più segreti e più intensi
del piacere.
E in ogni nota che scriveva c'era un poco del Lanzetti, e un
poco del Barrière, della cara Italia e della dolce Francia,
o della dolcezza di quei suoi due Maestri, perché loro,
prima di lui, avevano indagato, scavato nelle voci del violoncello,
degli angeli e dei demoni; e anch'essi avevano trovato, in quel
grosso e difficile strumento che li rendeva tutti fratelli, il
sogno della bellezza, della libertà e della pace.
Lui, Giovambattista, aveva ricevuto molto, e ora voleva dare;
per questo scriveva con cura di impreziosire ogni più
piccola cosa: per far sì che si conservasse nel tempo,
perché, dopo la sua morte, chi avesse letto quelle composizioni
potesse desiderare ancora d'ascoltarle, di continuare a suonare
il violoncello di Lanzetti, Barrière, Giovambattista
Cirri da Forlì, Maestro e Virtuoso di una grande e
secolare tradizione.
E fu mentre scriveva che giunse la notizia: tutti quegli inchini
pomposi, quei palazzi di sogno, sospesi al di sopra del mondo
e della sua fatica, irraggiungibili dalla povertà, dalle
sue tragedie, sarebbero stati aboliti: stava nascendo un mondo
nuovo, rivoluzionato, libero, meraviglioso. Era il 1789. E Giovambattista
sorrise, con la saggezza calma della sua vecchiaia.
Tornò allora al suo tavolino, e cominciò a comporre
un Minuetto in cui non c'erano più né damerini
imbellettati, né parrucche e profumi di pomate, né
inchini cicisbei, ma dove, come nel ritmo sereno dell'incamminarsi
tranquilli per una benefica passeggiata, come in una dolcissima,
eppure solenne ascensione a un luogo di pace, finalmente tanti
e diversi Pulcinella s'incrociavano salutandosi con sorrisi e
sguardi silenziosi, e danzando la loro leggerezza, o la loro
malinconia, o la follia benevola dei loro lazzi, salutavano la
loro nuova speranza.»