APPUNTI DI UN VIOLONCELLISTA BAROCCO, FUORI DALLA SCENA DEL SUO MONDO.

 

se preferisci, puoi venire in giardino

 

 


Quella della musica barocca è una «tradizione orale»; né più né meno come la poetica dell'interpretazione musicale romantica, o qual è, nella cultura e religione ebraica, il Talmud rispetto alla «tradizione scritta» della Torah, la "Legge".
Il Rabbino e filosofo Marc-Alain Ouaknin spiega con molta efficacia che «Le Talmud propose non pas une interprétation absolue, universelle de la réalité et des événements qui s'y produisent, mais l'ensemble des points de vue, des perspectives possibles à partir desquels l'analyse du sens du monde est entreprise. Le Talmud offre, à chaque fois, ce que l'on pourrait nommer une logique des interprétations ou une logique du champ interprétatif.» (M.A. Ouacknin, Concert pour quatre consonnes sans voyelles, Jerusalem, 1991)
(«Il Talmud non propone una interpretazione assoluta, universale della realtà e degli avvenimenti che vi si producono, ma l'insieme dei punti di vista, delle prospettive possibili a partire dalle quali è intrapresa l'analisi del senso del mondo. Il Talmud offre, ogni volta, ciò che potremmo chiamare una logica delle interpretazioni, o una logica del campo interpretativo.»)
Dunque il Talmud - o una partitura musicale barocca - è una cosa ben diversa da un «Vangelo» (dal greco Eu-: bene, ángelos: messaggero), o, ancor più, da qualsiasi testo che voglia presentarsi come concluso, finito in se stesso; il Talmud è piuttosto un pensiero in continua evoluzione, continuamente contenente una direzione diversa, eppure diretta a uno stesso luogo: il non-luogo e non-tempo, dove abita l'idea del Dio ineffabile e onnipresente: quello della Torah, il Pentateuco.
Sebbene il Talmud possa apparire come un "metodo" per apprendere un sistema di movimento del pensiero -come potrebbe essere un buon trattato giuridico-, esso è pertanto una "metodologia" che, spiega ancora Ouaknin: «met en place une structure du penser qui fait obstacle à toute interprétation idéologique, moniste et dogmatique» (mette a punto una struttura del pensiero che si pone come ostacolo a qualsiasi interpretazione ideologica, monista e dogmatica.»)
Il "trattato di musica" dell'epoca barocca, analogamente, non ci insegna a imparare a memoria delle poesie: ci insegna, piuttosto, a memorizzare le tecniche di una poetica. E, nella cultura musicale, qualsiasi idea dell'estetica che pretenda di farsi intendere come ideologia acquista presto o tardi la pretesa di essere universale o assoluta, finendo o per capitolare di fronte a una nuova tendenza della moda, oppure col ridurre la sua stessa idea di estetica a fenomeno storico di costume. Difetto e pregio al tempo stesso, l'essere della musica ai confini estremi del razionale e dell'irrazionale, dell'astratto e del concreto, le rende possibili le stesse indagini della filosofia o della religione, le stesse conquiste e gli stessi errori.
Quando nell'esperienza della musica si
"esce" dalla sua più semplice e naturale funzione di "intrattenimento" del pubblico, tutto il complesso dell'essere musicista -il sacrificio dell'esercizio quotidiano sugli strumenti, della conquista di un virtuosismo sempre in necessità di essere riconfermato, rinnovato, riconquistato-, tutto l'insieme della professione comincia a premere con forza sul musicista, domandando delle ragioni più dense, più consistenti della sua esistenza, ovvero della sua conservazione e preservazione.
Prima o poi, l'essere sempre in scena si percepisce come un "compiere il rito", e di conseguenza ci si chiede se quella ritualità vale veramente la pena di essere eseguita. Così si finisce per osservare che "l'Arte della Musica" non è tanto nel comunicare uno stato emotivo attraverso un'estetica più o meno connessa alla Storia, ma è piuttosto nel credere che possa indagare nelle «prospettive possibili» del mondo.
Se allora la musica diventasse come un "libro" in cui si può leggere all'infinito, un libro ineffabile, ecco che la tecnica per renderla manifesta nei suoni sarebbe ricerca infinita di trasformazioni dentro a quel "testo oltre la scrittura", nell'inarrestabile dinamismo delle "lettere" diventate "segni".
Ora, il viaggio di un musicista con i suoi strumenti appresso è sempre quello di un filosofo, anche se suonando o cantando tende a non ricordarsene. Certo, non il viaggio di uno "storico della filosofia", o di chiunque parli o insegni della filosofia di altri. Dice bene, infatti, il giovane filosofo veneziano Andrea Tagliapietra: «Il filosofo che non mette la sua filosofia alla prova della vita è come un musicista stonato, che si rifiuti di accordare il proprio strumento.».
Dunque, col violoncello ben accordato, io mi muovo attraverso i "luoghi" estremi della società, proprio per mettere il mio strumento alla prova della vita.
Ma la mia intelligenza è troppo povera di sistemi per descrivere la mia esperienza musicale, per chiuderla dentro a definizioni che possano essere qualcosa di diverso da una prigione del senso.
Ecco perché mi sono messo in testa di rappresentare il violoncello: perché, annullando me stesso dietro alla maschera del mio strumento, io stesso divento "strumento di musica", e ciò che esprimo da quel momento in poi dipende solo più dal mio coraggio di portare tutto me stesso oltre quelle parole - o quelle note musicali - che possono solo più descrivere.
Mi faccio ancora aiutare da Tagliapietra: «Le parole "rappresentare" e "rappresentazione" contengono, in modo manifesto e quasi fin troppo evidente, l'appello alla "presenza". Una presenza, quindi, che, poiché dalla parola è chiamata e richiesta, non è affatto presente, ma anzi è nostalgicamente evocata, secondo un principio di indeterminata riproducibilità basato sulla ripetizione della copia.».
A quell' "assenza" della cosa -poiché rappresentata- risponde il suo mito, e in corrispondenza di un rito che lo celebra esso acquista un potere formidabile: quello che il teatro conosce e sperimenta, purché gli siano rimasti attori e pubblico capaci di consacrare il tempo e il luogo della rappresentazione.
È questo, solo questo il movente del mio viaggio con un violoncello in spalla, peregrinando in cerca di un pubblico e di un teatro dove essere attore. Devo poter vedere anch'io il mondo da quel teatro; devo potermi veder eseguire il mio compito sacro, nell'atto di ripetere il rito del far
«Risonare Madonna Musica», esattamente così come ce l'hanno affidata i Maestri del passato.
Essere un pellegrino nella Storia e nella Cultura, percorrerla in lungo e in largo per trovarvi cibo che assicuri la sopravvivenza di ciò che siamo, non è compito per chi ama le vanità: egli consuma senza produrre nulla. E l'uomo non è in grado di creare nulla, se non in metafora.
Dunque partire per dare un concerto - alienante quotidianità per la maggioranza dei concertisti - è sempre un po' partire per andare incontro a una precisa possibilità: quella di indagare sulle potenzialità più segrete, più "arcane" del mondo, affinché esso si muova non solo nei limiti desolanti delle vanità degli uomini, o delle loro debolezze, ma secondo gli infiniti, ineffabili intrecci delle sue armonie.
Il Rabbino Ouaknin ci ricorda ancora che «Les enfants d'Israël ne sont pas sauvés par ce qu'ils ont fait mais par ce qu'ils vont, dans le futur, pouvoir faire. Éducation qu'on pourrait dire projective ou prospective; il ne s'agit pas d'enfermer l'enfant ou l'adulte dans la définition de ses actes passés. Il faut chercher, s'interroger sur les capacités, le pouvoir être et non l'avoir été. Retrouver en l'homme, dit Rabbi Nahman, le «point positif» qui, à lui seul, tire l'homme en avant vers le futur positivé.
Il faut rechercher à tout prix le «point positif» qu'il y a en chaque homme. En ce «point» réside la source de la joie et de la musique, dit Rabbi Nahman.
»
(«I figli d'Israele non sono salvati per ciò che hanno fatto, ma per quello che, nel futuro, potranno fare. Educazione che potremmo dire proiettiva o prospettiva; si tratta di non imprigionare il bambino o l'adulto nella definizione dei suoi atti del passato. Bisogna cercare, interrogarsi sulle capacità, sul poter essere e sul non esser stati. Ritrovare nell'uomo, dice Rabbi Nahman, il punto positivo che, lui solo, spinge l'uomo in avanti, verso il futuro positivizzato.»)
Ecco in cerca di cosa sono partito quando mi sono mosso verso un "teatro" non più mondano. E dopo esser partito riconoscevo quel «punto positivo» in me, svelandolo nell'arte che pratico e trasmetto, proprio perché quell'arte è un "corpo" in cui esisto e mi muovo: ex-sisto, usando quel prefisso latino "ex = fuori da", per dare a quella parola un senso "spostato", proiettato nell' "essere fuori". Dopo, la musica diventa premio, sublime, grandiosa remissione dei peccati, gloria, ascesa dello spirito; ma solo dopo essersi recati a visitare quel «punto».
«L'homme dit le monde et se dit avec des mots.» («L'uomo dice il mondo e si dice con delle parole») ci ricorda ancora Ouaknin; «Pour un homme vivant, il faut que les mots eux aussi continuent à vivre, à danser, à chanter...».
(«Per un uomo vivente, è necessario che anche le parole continuino a vivere, a danzare, a cantare...»)
Così, proprio dentro a questa idea del «dire il mondo» -e non «dire del mondo», né ancora, solamente «dire nel mondo»-, per poter giungere a dire «un altro» mondo, c'è anche l'idea di cominciare a viverlo qui, in terra. E all'idea di quel «dire» vuole partecipare anche ciò che io scrivo, compilato solo con l'esperienza dell'arte musicale, che io credo filosofia e poesia insieme, ma soprattutto vivo amore per l'invisibile.
Parafrasando il pensiero che il Rabbino Ouaknin rivolge allo studio della Qabbalah, posso scrivere che la musica «est cette recherche exigeante, difficile, d'un "langage en mouvement", pour un homme en chemin.» («è quella ricerca esigente, difficile, d'un "linguaggio in movimento", per un uomo in cammino.»). Quell'
«uomo in cammino» è quello che ci hanno sempre insegnato essere l'unico uomo veramente libero.

...Quanto ai miei scritti, è certo che si devono poter leggere errando liberamente nel tempo e nello spazio che formano e raccontano i miei pensieri. Attraversandone e facendosi attraversare da tutti i diversi linguaggi, i diversi ritmi che li percorrono, leggendoli in tutte le direzioni, vi si potranno incontrare libri già scritti e altri libri ancora da scrivere; ogni bello scritto, in fondo, è solo una partitura musicale che vuole essere interpretata, attualizzata, eseguita.

 



Claudio Ronco, Venezia, novembre 1998.

 

Le citazioni da M.A. Ouacknin sono tratte da "Concerto pour quatre consonnes sans voyelles; au-delà du principe d'identité", Jerusalem, 1991; Édition Payot & Rivages, 106 bd Saint-Germain, Paris VI, 1998.


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© C.Ronco 1999


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