Contesto storico-geografico
 
 

1. Yucatan: la terra del cervo e del fagiano

Il territorio dove nacque e fiorì la grande cultura del popolo Maya è una vasta regione che gli studiosi oggi suddividono in tre diverse zone, corrispondenti a tre diversi ecosistemi, che si differenziano sia per la morfologia del territorio e la tipologia del clima, sia per le situazioni storiche e culturali che modificarono il corso dell’evoluzione della storia maya e la vita delle comunità che abitavano quei luoghi. El Mayab, così era anticamente chiamata l’area di insediamento dei Maya, può essere dunque diviso in una regione alta anche conosciuta come area meridionale, che comprende parte del Guatemala, parte di El Salvador e la zona occidentale del Chiapas; una regione centrale che coincide con il Petén guatemalteco confinante con l’Honduras e con le terre alte del Chiapas sino ai confini con lo stato di Tabasco; infine l’area settentrionale, o terre basse, ovvero la parte più prominente della penisola dello Yucatan che si estende come un grande pollice dai territori del Guatemala e del Belize sino alle regioni dell’estremo est messicano affacciate a nord sul mare del Golfo del Messico e ad est sul mar Caraibico e occupate attualmente dagli stati di Campeche, Yucatan e Quintana Roo. Questa regione ebbe una fioritura culturale piena più tarda rispetto alle regioni centrali dove risplendettero i fasti del periodo classico e dove fu raggiunto l’apogeo della civiltà Maya nelle città di Tikal (250-550 d.C.), Palenque e Copàn (550-900 d.C.).

La formazione geologica della penisola risale ad un periodo relativamente recente e conferisce ai suoi territori caratteristiche completamente differenti da quelle del resto della Repubblica Messicana. Il suolo calcareo, costituito in gran parte da fossili marini, dunque ricco di carbonato di calcio, risulta variamente modellato e costellato di grotte, lagune, fiumi sotterranei e soprattutto cenotes, una sorta di pozzi naturali con profondità variabile tra i due e i dieci metri che sono stati e sono tutt’oggi una preziosa fonte di approvvigionamento d’acqua per gli abitanti di queste regioni.

Lo Yucatan si presenta interamente pianeggiante, se si esclude una limitata regione conosciuta come la Sierrita o Puuc in lingua maya, la cui altura massima non supera i 275 metri ed il paesaggio è dominato da un’estesa foresta decidua la cui crescita è favorita dal clima tropicale sub-umido con una stagione di piogge intense, da maggio a ottobre, ed una stagione secca caratterizzata da un caldo soffocante. Oggi la selva yucateca custodisce innumerevoli testimonianze del mondo antico oltre a moltissime specie fra animali e piante che fanno dello Yucatan una vera e propria cattedrale della biodiversità.
   

2. Il mondo preispanico: i Maya classici

La preistoria Maya non si discosta affatto, nelle sue linee generali, da quella di altre popolazioni mesoamericane e le caratteristiche somatiche del gruppo maya incarnano perfettamente l’ipotesi della provenienza asiatica dell’amerindio che, procedendo attraverso lo stretto di Bering, avrebbe poi popolato l’intero continente americano anche se oggi affiorano nuove teorie che tuttavia non hanno superato il vaglio del rigore scientifico.

Il lungo periodo che gli archeologi definiscono litico era contraddistinto dalla presenza di bande di cacciatori raccoglitori che iniziarono ad avere uno stile di vita stabile tra il 6000 ed il 2000 a. C., dipendente in gran parte dalle risorse marine sulle coste pacifiche e caraibiche che furono vettore del passaggio da un’economia parassitaria ad un’economia produttiva, in cui la coltivazione sostituì lentamente la caccia e la raccolta.

Nel preclassico maya (2000 a. C. - 250 d. C.) furono principalmente gli abitanti delle regioni meridionali a moltiplicare i loro insediamenti stabili, ubicati per lo più lungo le regioni costiere e lungo le valli fluviali, dove la presenza di nicchie ecologiche privilegiate per la fertilità del terreno e la diversificazione delle risorse minerali consentì ai gruppi di incrementare scambi e commerci. Politicamente la società cominciò a dotarsi di una struttura gerarchica in cui gli specialisti del sovrumano, sciamani e sacerdoti, costituivano l’élite dominante capace di accumulare e gestire consistenti surplus dando origine ad un dominio teocratico, organizzazione sociale tipica delle grandi città-stato delle pianure, nelle quali il sovrano regnava per diritto divino e affidava ai membri e della propria famiglia le cariche religiose e politiche più importanti esprimendo il suo potere con magnificenti edifici cerimoniali.

Nel preclassico medio questa società non egualitaria subì la dominazione olmeca e successivamente la colonizzazione teotihuacana. Nello Yucatan, il centro preclassico che ebbe maggior rilevanza fu Dzibilchaltùn che al pari di altre città maya, sotto l’influenza olmeca, produsse i primi elementi tipici dell’architettura maya mentre bisogna attendere sino agli inizi del VII sec. d. C., ovvero in epoca tardo classica, affinchè si affermino i maggiori stili yucatechi oggi noti come Puuc, Rìo Bec e Chenes di cui sono testimonianza le rovine di Edznà, Labnà e soprattutto Uxmal.

Ma fu Tikal nella prima fase del periodo classico il centro di gran lunga più importante, che accogliendo molti emigranti affluiti da sud, cominciò ad esercitare un controllo totale sugli altri centri della pianura. Successivamente, nel tardo periodo classico si imposero altri centri, soprattutto Palenque nelle pianure del Chiapas e Copàn nella valle del Montagua (Honduras). Questi furono i centri nei quali lo spirito maya si consacrò nella sua pienezza con manifestazioni architettoniche di rara bellezza ed imponenza. In questo contesto si svilupparono studi astronomici e matematici di grande precisione possibili grazie all’invenzione del numero zero e ad un’attenta perlustrazione del movimento degli astri. Il cielo era un importante referente per la cosmologia maya e la sua osservazione era considerata di primaria importanza. I Maya consideravano il mondo come un blocco quadrato piano sormontato da tredici cieli governati ciascuno da un dio detto Oxlahuntikù, inoltre esisteva un mondo degli inferi disposto su nove livelli ognuno dei quali dominato dal proprio dio, uno dei Bolontikù. Il nono mondo era governato da Ah Puch, il signore della morte. Al centro della terra si erigeva una gigantesca ceiba, l’albero sacro dei Maya, chiamato in lingua maya Yaxché, le cui radici penetravano il mondo degli inferi ed il tronco con i rami attraversavano i tredici cieli del sopramondo. Nei quattro punti cardinali erano situati i bacabes che sostenevano il mondo ed erano associati a quattro diversi colori. Il Panteon Maya era vastissimo e comprendeva oltre agli dei del firmamento e dell’inframondo, in eterna lotta come la luce e le tenebre, anche altre divinità legate soprattutto al mondo dell’esperienza quotidiana alle quali erano legate le speranze della riuscita delle varie occupazioni umane. Rivestiva dunque grande importanza la figura di Chaac, il dio della pioggia e dei fenomeni ed essa connessi; egli era in generale un protettore dell’attività agricola ed era considerato come unità dei bacabes posti ai quattro angoli del mondo. In stretta relazione con i bacabes erano considerati i Chaques, quattro aiutanti di Chaac ai quali egli delegava le sue funzioni. La religione era dunque parte integrante della vita quotidiana e risultava un utile strumento di dominio per i sacerdoti governanti il cui potere era strettamente connesso alla conoscenza della sfera del sovrumano. Ma nemmeno la religione e le conoscenze astronomiche e matematiche così evolute seppero arrestare il declino veramente rapido di questa civiltà che alla fine del periodo classico conobbe un vero e proprio collasso; le città furono repentinamente abbandonate ed avviluppate dalla selva senza lasciare un segno certo della causa di tale decadenza. Varie sono state le ipotesi avanzate per dare una spiegazione di tale fenomeno, dovuto a cause naturali: a un improvviso cambiamento climatico o a catastrofi piuttosto frequenti in quelle regioni come terremoti o uragani, oppure a cause economiche e socio-politiche: guerre intestine, invasioni straniere, sovrappopolamento in relazione ad un grande decremento della produzione. Oggi è più facile ritenere che si trattò di un concorso di cause a determinare quell’improvviso declino che però fu di breve durata; la cultura Maya si spostò più a nord, nelle pianure dello Yucatan, dove i centri yucatechi seppero felicemente reinterpretare le tradizioni culturali del passato.
   

3. Il periodo post-classico

Una nuova epoca per i Maya si aprì quando gruppi di etnia maya-chontal-itzaes, esperti navigatori provenienti dalle regioni di Tabasco e dalle valli dell’Usumacinta approdarono sulle coste dell’isola di Cozumel per poi penetrare successivamente nella penisola da nord-est ed insediarsi, probabilmente nel 918 d.C., nella città di Chichen-itzà che avrebbe conosciuto in breve tempo un nuovo splendore. Secondo le fonti fornite dai libri del Chilam-Balam, resoconti in lingua maya scritti in caratteri latini nei secoli posteriori alla conquista spagnola, Chichen-itzà risulta essere stata parte di una triplice alleanza insieme alle città di Uxmal e Mayapàn che esercitò un’egemonia stabile per due secoli, ma tali nozioni contrastano con i risultati forniti dagli archeologi le cui fonti indicherebbero il declino di Uxmal nel X sec. Quindi se ci fu un’alleanza, come fa notare Thompson (Thompson, 1994: 144), essa poté durare soltanto qualche decennio. Ma la città che ebbe in tale periodo una straordinaria fioritura fu senza dubbio Chichen-itzà che subì un influsso determinante dalla cultura tolteca. L’invasione messicana ebbe luogo con l’insediamento progressivo di popolazioni provenienti da Tula, che influenzarono in maniera considerevole i costumi maya. In particolare essi furono portatori di nuovi valori legati alla guerra ed al militarismo sconosciuti al pacifico popolo Maya e con essi fu importato il culto di Kukulcan, traduzione maya del dio messicano Quetzalcoatl, il serpente piumato. Dal 987 d.C. e per due secoli anche l’architettura subì profonde variazioni dovute all’egemonia culturale tolteca e ravvisabili nell’apparizione di decorazioni raffiguranti non solo aquile e giaguari che simboleggiavano gli ordini militari ma anche figure di guerrieri, serpenti piumati, ed inoltre la rastrelliera di teschi, lo tzompantli, che esibisce le teste scarnificate dei sacrificati. Lo sconosciuto costume del sacrificio umano divenne a Chichen-itzà una pratica diffusa soprattutto con l’utilizzazione del grande cenote, ritenuto sacro, intorno a cui venne edificata la città e che per centinaia di anni ha custodito le macabre ed al contempo preziose testimonianze di quella grande civiltà: parecchi scheletri umani appartenenti a donne, bambini e uomini oltre ad una grande quantità di oggetti sacri gettati nel cenote in offerta insieme alle vittime per ottenere le grazie degli dei. Sembra che le guerre intraprese dalle società militari della Mesoamerica fossero volte principalmente alla cattura di prigionieri da sacrificare agli dei ed in particolare al dio Sole che doveva essere nutrito con sangue umano; il Sole dopo il tramonto scendeva ed attraversava gli inferi e risorgeva il mattino seguente ridotto ad uno scheletro ed indebolito dal suo passaggio notturno e l’unica possibilità di donargli nuovamente salute era quella di procurarsi un numero sufficiente di vittime sacrificali per nutrirlo con il loro sangue. Oltre a queste nuove concezioni importate dai messicani di Tula, la società maya dovette conoscerne i suoi effetti, ovvero la decadenza progressiva della classe sacerdotale a vantaggio della categoria dei guerrieri i quali lentamente si guadagnarono il privilegio d’essere considerati i salvatori del popolo a scapito dei sacerdoti che in una società militarizzata occupavano ormai soltanto un posto marginale. Dopo duecento anni di egemonia, intorno al 1200 d.C., anche Chichen-itzà dovette conoscere il declino ed il potere cadde in mano ai governanti di Mayapàn che dominò la regione sino al 1450 d.C., ma non seppe ripercorrere il cammino di Chichen. Ubicata in una zona poco favorevole alla coltivazione, Mayapàn esasperò il militarismo terrorizzando i vicini ed ottenendo facilmente mano d’opera e beni materiali, ma il suo dominio segnò un vero e proprio crollo nelle arti tanto che in questo periodo le uniche opere architettoniche furono soprattutto dei lavori di fortificazione come ci testimonia in particolare la fortezza di Tulùm sulla costa caraibica. Questo declino culturale e le continue lotte per il potere segnarono la fine di Mayapàn e con essa la fine del potere centralizzato, infatti all’alba del XVI sec. la penisola si trovò suddivisa in varie provincie, i cacicazgos, in perenne guerra fra loro ed il processo di secolarizzazione della cultura proseguì ulteriormente decretando uno stato di progressiva decadenza artistica e di impoverimento culturale.
   

4. Conquista e colonizzazione dello Yucatan

La conquista dello Yucatan non fu facile e tantomeno rapida. Nonostante il periodo di splendore della cultura maya appartenesse al passato gli Spagnoli ebbero grandi difficoltà a sottomettere gli abitanti della penisola ed anche se fu scoperta nel 1517 la conquista non ebbe inizio che dieci anni dopo e fu una campagna condotta a singhiozzo da Francisco de Montejo che durò vent’anni prima che il popolo maya fosse completamente dominato. La spedizione dello Yucatan non ebbe nulla a che vedere con le conquiste rapide e per certi versi spettacolari con le quali gli Spagnoli vinsero la resistenza di altre popolazioni mesoamericane. Ad esempio la conquista dell’impero azteco nel 1521 fu dettata anche da circostanze particolari e dall’incapacità culturale degli Aztechi di affrontare una situazione per loro nuova e sconvolgente (Todorov: 1984).

Il caso dello Yucatan fu differente. A contribuire al ritardo nella conquista della penisola fu in primo luogo lo scarso interesse dei conquistatori per una zona piuttosto arida e dalle risorse poco stimolanti oltre al fatto che Fransisco de Montejo era di frequente convocato per affiancare Cortés in altre spedizioni. Anche la mancanza di un’unità politica centralizzata indigena fu un fattore di ostacolo al perseguimento degli intenti di Montejo che dovette conquistare una per una tutte le provincie in cui era suddiviso il territorio maya e la sua mancanza di perseveranza non gli permise di realizzare i suoi propositi in tempi brevi.

Francisco de Montejo iniziò ufficialmente le operazioni di conquista della penisola yucateca nel 1527 quando prese possesso della città indigena di Xelhà , cui fu posto il nome di Salamanca in onore del luogo di nascita del comandante. Ma in verità i primi bianchi ad approdare sulle coste della penisola furono diversi anni prima Gonzalo Guerrero y Jerònimo de Aguilar, due sopravvissuti ad un naufragio al largo delle coste caraibiche. Aguilar non ebbe fortuna e fu fatto schiavo in uno dei cacicazgos della regione, mentre Guerrero si adattò perfettamente ai costumi indigeni tanto da diventare consigliere del signore di Chetumal da cui ebbe in sposa la figlia ed i cui discendenti sono oggi noti come i primi meticci della storia. Quando Montejo arrivò, Guerrero combattè contro gli Spagnoli al fianco degli indios, mentre Aguilar si incorporò alle truppe iberiche divenendone un importante punto di riferimento per la conoscenza della lingua maya e dei luoghi della penisola. Alla conquista parteciparono attivamente anche il figlio di Montejo detto Montejoel Mozo e suo cugino Montejo el Sobrino i quali ebbero un ruolo fondamentale viste le molteplici assenze di Francisco distratto da altre avventure e costantemente in cerca di nuova gloria. I primi anni della conquista furono caratterizzati da alterne vicende ed innumerevoli battaglie nelle quali gli Spagnoli non ebbero sempre la meglio per il grande coraggio con cui i Maya seppero difendersi, tanto che nel 1529 ottennero una parziale vittoria che decretò la totale espulsione degli intrusi. Ma il popolo maya non seppe mai riorganizzarsi, dopo una vittoria, in un’unità politica che gli permettesse di presidiare il territorio in maniera efficace; i Maya rimanevano un popolo di contadini ed i campi di mais li richiamavano continuamente al dovere di rispettare i tempi agricoli che allora come oggi fornivano l’unica fonte di sostentamento di intere famiglie. Dalla seconda spedizione nella penisola e per tutto il decennio seguente fu una lenta ma inesorabile avanzata dei soldati spagnoli che di conquista in conquista portarono i cugini Montejo a fondare nel 1542 la città che doveva servire come capitale alla nascente colonia; la città fu chiamata Mérida perché le rovine del luogo facevano ricordare ai conquistatori le costruzioni romane della Mérida di Spagna. Durante quello stesso mese si presentò davanti ai Montejo Tutul Xiu, signore di Manì, che si dimostrò amico degli Spagnoli e si offrì di aiutarli nel conseguire più facilmente la remissione di altre provincie. Montejo el Mozo riuscì ad ottenere la resa e la conversione al cristianesimo di Nachi Cocom, il leggendario signore di Sotuta che godeva di grande reputazione fra i Maya; nel contempo Montejo el Sobrino percorse la parte orientale della penisola fondando nel 1543 la città di Valladolid. Quattro anni più tardi il dominio fu completato ed iniziò per lo Yucatan come già per il resto del Messico il lungo periodo coloniale. Durante questo periodo ci fu un incremento dell’economia yucateca i cui frutti, inutile dirlo, furono raccolti dagli invasori i quali ebbero il merito di porsi non come unica classe dominante sulla massa dei nativi, ma di occupare il gradino più alto della piramide sociale nel rispetto della gerarchia già esistente, mantenendo intatta l’organizzazione sociale e sfruttando la posizione con il sistema di encomiendas che permetteva loro di ottenere tributi e consolidare il potere e lo sviluppo economico dello Yucatan, che risultava essere in posizione strategica e dunque di grande interesse per la Corona di Spagna.

Anche lo Yucatan faceva ora parte della Nuova Spagna, dove gli invasori introdussero i principi del diritto romano, dell’amministrazione e della giustizia, sviluppando un sistema coloniale estremamente burocratico e imponendo agli indigeni la lingua, la cultura e le istituzioni spagnole.

La grande organizzazione unificatrice fu la Chiesa cattolica che disponendo di moltissimi territori esercitava un potere considerevole sull’economia coloniale.

Gli ecclesiastici occupavano elevati incarichi di governo ed agivano all’interno della società sia come amministratori, sia come guide spirituali che convertirono al cattolicesimo le popolazioni locali distruggendone completamente l’identità culturale: ebbe inizio lo sfruttamento massiccio delle risorse e l’oppressione della popolazione originaria. Gli indigeni, durante tutti i secoli della colonia, sfruttati e maltrattati, cercarono continuamente di ribellarsi, ma ogni tentativo risultò inutile.

Nel 1549, sette anni dopo la parziale conquista, padre Diego de Landa arrivò a Mérida, capitale dei territori. Si sforzò con tutti i mezzi di estirpare i costumi e le credenze del popolo che lo circondava per convertirlo al cattolicesimo. A tale scopo egli giunse a servirsi di un procedimento che ritienne efficacissimo: un gigantesco rogo in cui vennero bruciati tutti i libri indigeni. La storia, la cultura, la tradizione di un popolo furono distrutte da un gesto inconsulto, irreparabile, del quale il suo autore non colse nemmeno la gravità. Nel 1566 padre de Landa redige la Relaciòn de las Cosas de Yucatàn. Egli riprodusse nella sua opera certi glifi calendarici e segni ancora in uso nello Yucatan al tempo del suo ministero: sopravvivenze di simboli presenti nei libri "blasfemi" che fece bruciare e di cui volle fornire la trascrizione. L'opera di distruzione di padre de Landa fu purtroppo eseguita alla perfezione. Restano soltanto tre codici maya, tutti e tre scoperti in Europa, dove con tutta probabilità erano stati spediti da monaci o soldati al momento della conquista. Si tratta del Codex Dresdensis, del Codex Tro-Cortesianus e del Codex Peresianus. I glifi di questi codici sono identici a certi glifi che figurano sui monumenti del Petén e delle regioni adiacenti, nonché a quelli dell'opera del frate francescano.

Grazie ad essi, si è potuta stabilire la stretta parentela culturale esistente tra i Maya delle terre del sud ed i Maya dello Yucatan.

Il periodo di colonizzazione e dominazione spagnola ebbe una durata di circa tre secoli, sino al 1821, data in cui il Messico si liberò del giogo della madrepatria ed acquisì l’indipendenza. Tale evento storico fu denso di significati per la classe creola che in quel periodo raggiunse una piena emancipazione mentre per la massa dei nativi e dei poveri significò uno sfruttamento ancor maggiore dovuto soprattutto al crescente sviluppo del liberalismo che ebbe come conseguenza principale la vendita di territori a privati e dunque l’esproprio anche di terre di antica appartenenza india, con la conseguente proletarizzazione della forza lavoro indigena ed una sempre maggiore rottura del loro mondo socioculturale. Solo gli indigeni che riuscirono a salvare i propri appezzamenti godettero di maggiore libertà.

 

Fabio Pettirino