Punta Laguna e Yodzonot Laguna
 
 

1. Due comunità maya yucateche.

La ricerca a cui si riferisce questo scritto è stata effettuata durante un soggiorno di circa settanta giorni in due diverse comunità maya dello Yucatan: Punta Laguna e Yodzonot Laguna. Sebbene a soli sei Km. di distanza e di evidente omogeinità culturale i due villaggi possiedono differenze sostanziali dovute in grande misura all’isolamento del secondo. Infatti mentre Punta Laguna è situata ai bordi di una strada asfaltata che facilita comunicazioni e commercio, Yodzonot Laguna si raggiunge soltanto camminando attraverso un impervio sentiero che si inoltra nella selva yucateca. Essi pertengono entrambi all’ejido del municipio di Valladolid e sono pertanto sotto l’amministazione politica dello stato dello Yucatan nonostante si trovino ubicati geograficamente nello stato del Quintana Roo, come testimoniato dal fatto che per percorrere la strada che da Nuevo X-Can porta a Cobà, unica via per raggiungere le due comunità provenendo da Valladolid, bisogna varcare la linea di confine, presidiata militarmente, fra i due Stati.

L’origine delle due comunità è legata ad antecedenti storici differenti i quali sono stati sommariamente ricostruiti grazie al racconto dei membri più anziani dei villaggi, unica fonte attendibile, non esistendo documenti ufficiali o letteratura relativa a queste comunità. In linea generale lo stanziamento di una comunità in un territorio avviene fondamentalmente in relazione all’allocazione delle risorse, in pratica risorse idriche e terra coltivabile. Nel già citato periodo della rinascita comunitaria un’importante fonte di guadagno era il commercio del chicle, la resina estratta dal chicozapote, l’albero della gomma, poi soppiantata dalla scoperta di prodotti sintetici. La selva, disseminata anche di tali alberi, era diventata dunque non solo il luogo di ubicazione storico naturale per una comunità maya, ma anche quello ideale; in essa infatti i Maya potevano trovare con facilità cenotes per l’approvvigionamento d’acqua, disporre in abbondanza di terre da coltivare e alberi della gomma da cui estrarre la resina per il commercio. Punta Laguna nacque circa quarant’anni fa quando Don Inacio, chiclero proveniente da Chemax, un paese situato una ventina di chilometri più a nord, per soddisfare tali esigenze, fondò il nuovo villaggio in una zona particolarmente ricca di chicozapotes ed in prossimità di una bellissima laguna dalla quale poi prese il nome la comunità. La popolazione iniziale del nuovo centro abitato era costituita dalla famiglia di Don Inacio, che vive tuttora a Punta Laguna e da alcuni parenti ed amici che lo avevano seguito, tutti provenienti da Chemax. Yodzonot Laguna ha invece un’origine più remota infatti fu fondata nel corso degli anni quaranta ed il suo nome tradotto significa in cima al cenote (Yodzonot); Laguna è invece il termine usato per distinguerlo dalle molteplici comunità che possiedono tale nome e si riferisce alle numerose lagune (tutte molto piccole) che costellano il territorio intorno al villaggio. La vita comunitaria di Yodzonot ha vissuto periodi alterni, tanto che conobbe un periodo di forte spopolamento dovuto ad una migrazione della maggior parte degli abitanti verso Yo’aktun, un’altra comunità (a circa cinque Km. da Yodzonot ed oggi completamente disabitata) dove era preferibile vivere per la maggior vicinanza a San Nicolas (vedi cartina), località in cui era possibile commerciare ed approvvigionarsi di beni necessari in quanto prossima ad una strada piuttosto frequentata. Non tutti se ne andarono ed alla notizia che si sarebbe costruita la strada che oggi unisce Nuevo X-Can a Cobàci fu un ritorno massiccio alla comunità di origine e Yodzonot si ripopolò tanto che alla fine degli anni Settanta arrivò ad essere abitata da un centinaio di persone e diventò un centro relativamente importante per il circondario dal quale accorrevano gli abitanti delle comunità vicine per la celebrazione di feste patronali, rituali collettivi e riunioni ejidales. La migrazione verso i centri urbani ridusse lentamente il numero degli abitanti in tutte le comunità della zona ma fu un evento naturale sconvolgente come l’uragano Gilberto che nel 1988 costrinse gran parte dei contadini a spingersi verso le città per trovare impiego per qualche tempo come manovali per garantire la sopravvivenza alle proprie famiglie. In molti ritornarono e ricostruirono le case abbattute.

Punta Laguna oggi conta 67 abitanti mentre Yodzonot soltanto 41 (vedi tabella).

Nei dati esposti nelle tabelle sono stati omessi quelli relativi a due nuclei familiari (rispettivamente di sette e cinque componenti) che per motivi diversi sono migrati temporaneamente altrove ma non hanno tuttavia preso la decisione di abbandonare le proprie abitazioni nelle comunità dove tornano saltuariamente.Le abitazioni sono quelle tradizionali costruite interamente con materiale vegetale e pavimentate con terra battuta su una base di sassi; esse sono tutte totalmente prive di acqua intubata, di rete fognaria ed energia elettrica. Punta Laguna è stata fornita dal 1996 di cisterne d’acqua dotate di rubinetti disposte a pochi metri di distanza da ciascuna abitazione e collegate ad un pozzo centrale che le riempie periodicamente grazie ad una pompa a motore che garantisce una fonte d’acqua di comodo accesso. Per questo motivo è stata abbandonata l’usanza di procurarsi l’acqua direttamente dal cenote, luogo ritenuto sacro, che invece continua a Yodzonot grazie all’utilizzo di secchielli e carrucole.
   

Le unità minime che formano le comunità sono i gruppi domestici, costituite dai genitori con i figli non sposati. Ogni unità domestica provvede indipendentemente al soddisfacimento dei propri bisogni, grazie alla suddivisione del lavoro fra i propri membri. Le attività svolte dagli uomini riguardano soprattutto il lavoro nei campi, la raccolta della legna ed i lavori che in genere richiedono maggiore sforzo fisico mentre le donne si occupano dell’ordine della casa, del bucato, della preparazione dei cibi, della cura dei figli e dell’approvvigionamento dell’acqua; anche i figli collaborano con i genitori. I più grandi (a quindici anni sono considerati adulti) danno un grosso contributo e fungono da esempio per i più piccoli che alle volte partecipano alle attività quotidiane con piccoli compiti adeguati alle loro età. Se l’unità domestica in passato rispondeva  da sola a tutte le sue esigenze: la produzione e il consumo, l’allevamento e l’educazione della prole e la sua stessa riproduzione, oggi è importante vederla inserita nell’ambito della collettività che è a contatto con un mercato esterno, una scuola che si occupa dell’educazione dei figli ed altre istituzioni ed organizzazioni che provengono dal mondo esterno e la cui presenza anche quando è minima pesa nel rideterminare i compiti e nel reindirizzare le attività ed il ruolo delle unità domestiche.
   

2.Produttività e risorse economiche.

L’economia delle comunità è sostanzialmente basata sulla produzione del mais.

Esso è la base dell’economia di sussistenza dei nuclei domestici ed è l’alimento fondamentale nella dieta quotidiana degli indigeni. Anche per questo motivo riveste un ruolo simbolico di enorme importanza tanto da costituire un perno ideale sul quale gira l’intera esperienza simbolica dei contadini maya. Alla coltivazione del mais partecipa, in diversa misura, tutto il gruppo domestico che costituisce nel medesimo tempo l’unità di produzione e quella di consumo. Le tecniche di produzione sono fra le più semplici in assoluto, infatti il terreno pietroso ed impervio non permette l’uso dell’aratro ed i coltivatori si affidano per la semina semplicemente ad un bastone appuntito (xul) con il quale praticano solchi nel campo per depositarvi i semi. Il terreno calcareo è inoltre soggetto ad un rapido impoverimento di sostanze e non può essere sfruttato per più di un raccolto, ciò costringe gli indigeni a spostarsi continuamente in cerca di nuovi terreni. L’orticoltura itinerante è resa possibile in queste zone dall’utilizzo della tecnica conosciuta come “slash and burn” (taglia e brucia) che consiste nel disboscamento di una limitata area di selva che in seguito viene fertilizzata dalle ceneri dei tronchi secchi degli alberi abbattuti e dunque resa disponibile alla coltivazione. Il lavoro nei campi è scandito da un calendario agricolo che nelle zone tropicali si accorda ad un clima che alterna una stagione con abbondanti precipitazioni da maggio ad ottobre ad una stagione più secca da novembre a maggio. L’attività agricola annuale prevede quattro fasi principali: la tumba (il disboscamento), la quema (bruciatura di arbusti e tronchi secchi), la siembra (la semina) e la cosecha (il raccolto). Solitamente il disboscamento avviene nei primi mesi dell’anno e vi partecipano, oltre al capofamiglia, i maschi adulti del gruppo domestico; raramente viene richiesto aiuto esterno, a componenti di altre unità domestiche. L’estensione dell’area da disboscare è misurata in mecates quadrati (1 mecate = 20 metri) e varia in relazione alla grandezza del nucleo domestico e della capacità lavorativa dei singoli individui. In media nelle comunità a cui mi riferisco ciascuno possiede una milpa (nome indigeno per designare il campo di mais) di circa cinque mecates (due ettari). Le operazioni di disboscamento possono essere iniziate quando più lo si crede opportuno ma è necessario terminarle con un buon anticipo rispetto alla fine della stagione secca affinché sia dato il tempo a tutti gli alberi abbattuti di seccare completamente e dunque di bruciare perfettamente quando verrà loro appiccato il fuoco. La quema è di fatto un momento molto delicato; bisogna aspettare che il sole abbia seccato a sufficienza la zona disboscata (altrimenti la legna ancora umida brucerebbe in maniera irregolare conferendo scarsa fertilità al suolo) senza però farsi sorprendere dalla stagione piovosa, il che comprometterebbe irrimediabilmente ogni possibilità di ottenere un raccolto. La quema avviene generalmente durante il mese di maggio, il periodo più caldo di tutto l’anno, dopodiché comincia la stagione delle piogge che a volte si manifesta violentemente con il passaggio di uragani, frequenti nei mesi estivi, ma maggiormente concentrati in giugno e novembre.

L’appezzamento di terreno sottratto alla foresta viene seminato nel mese di giugno utilizzando i chicchi di mais delle migliori pannocchie del raccolto precedente. Tanto un uragano quanto una prolungata siccità possono compromettere l’intero raccolto; infatti, per crescere adeguatamente, il mais richiede che piova con regolarità; se piove troppo la pianta cresce incredibilmente, ma le pannocchie non si sviluppano. Durante la semina del mais è frequente che si piantino anche fagioli (diverse specie), zucche e molte varietà di tuberi ed affini come la patata, la jìcama e il camote (patata dolce).

Se nessuna catastrofe naturale avrà pregiudicato la crescita del mais allora potrà cominciare il raccolto che inizia solitamente in settembre e si protrae sino a dicembre con la raccolta delle pannocchie che alle volte vengono lasciate seccare direttamente sulle piante piegate una ad una. Le pannocchie vengono stipate in apposite costruzioni (trojes) dove si conserveranno almeno per un paio di anni e si trovano ubicate direttamente nella milpa quando questa dista molto dalla propria abitazione. Il mais viene poi trasportato alle case quotidianamente e consumato nelle maniere più diverse anche se il suo principale impiego riguarda la preparazione di tortillas, sottile impasto di farina di mais, che accompagna generalmente fagioli, chile, zucca o tuberi e ben più raramente carne di pollo o di maiale oppure di animali cacciati nella selva come quaglie, fagiani, procioni, opossum, cervi oltre ad una notevole quantità di roditori (tepezcuintle, sereque) che popolano il sottobosco. Ad integrare la dieta alimentare quotidiana sono i prodotti provenienti dal solar, una sorta di cortile adiacente ad ogni abitazione, dove sono allevati gli animali domestici destinati ad un consumo saltuario (polli, tacchini e maiali) e dove vengono coltivate numerosissime specie di alberi da frutto (banani, agrumi, papaya, avocado e guayaba fra gli altri). Nei solares, solitamente delimitati da muretti costituiti dal solo accumulo di pietre (albarradas), arte nella quale i Maya sono dei veri maestri, si trovano anche costruzioni minori dove trovano ricovero gli animali domestici durante la notte o, in particolare, il ka’anchè, un piccolo orto sospeso, realizzato grazie ad una struttura in legno che permette di coltivare alcuni ortaggi (pomodori, chiles, cipolle, etc.) ad una certa altezza dal suolo, dove non sono raggiungibili dagli animali. A seconda della stagione ci si nutre anche di frutta selvatica raccolta nella selva oppure di cacciagione e più raramente di qualche pesce pescato nelle vicine lagune.

Un’altra attività molto diffusa è l’apicoltura, praticata maneggiando tanto api europee quanto api autoctone (Xcolel’cab, melìponas). L’ape autoctona è allevata in tronchi cavi di piccole dimensioni tappati alle estremità con fango e dotati di un apertura centrale che permette il transito agli insetti che sono del tutto differenti dalle cosiddette api europee; esse infatti sono di colore nero e sono prive di pungiglione ed il miele che producono è di qualità prelibata. Tuttavia la difficoltà nello scovare gli alveari nella selva e la maggior difficoltà nella sua cura le fanno preferire di gran lunga l’ape europea che viene allevata in colonie all’interno di casse in legno comunemente vendute nei più vicini centri urbani. Tutta la produzione del miele è destinata al commercio, infatti ne viene trattenuta soltanto una piccola parte che viene conservata per un uso domestico saltuario quando viene aggiunto a bevande o zuppe ma sempre in dosi assolutamente minime perché a loro parere si tratta di un miele molto forte e deve essere consumato sempre diluito. La stagione di raccolta del miele è piuttosto lunga e va da ottobre a maggio e il miele ricavato dalle colonie viene venduto ai centri di raccolta (centros de acopio) i quali pur pagandolo miseramente agli allevatori forniscono loro una delle poche possibilità di ottenere denaro contante. Se il clima è favorevole una colonia d’api può anche produrre quindici chilogrammi di miele settimanali. Nelle comunità di Yodzonot e Punta Laguna praticamente tutti sono in possesso di colonie d’api anche se la loro cura risulta complicata dalla presenza di molti nemici naturali delle api, soprattutto formiche e formichieri che alle volte pregiudicano la possibilità ottenere un raccolto.

La differente ubicazione delle due comunità ci permette una prima comparazione in ambito economico nel riscontro di una maggiore possibilità di commercio da parte degli abitanti di Punta Laguna rispetto alle persone che abitano nella selva a Yodzonot. Nei mercati cittadini della regione si trovano comunemente parecchi indigeni che accorrono dalle comunità circostanti per vendere i propri prodotti, siano essi ortaggi, frutta o animali. Gli abitanti delle comunità a cui mi riferisco difficilmente si recano in città, tantomeno per commerciare i loro prodotti. Una spiegazione risiede nel parziale isolamento di Yodzonot che trovandosi nella selva ed essendo raggiungibile solo a piedi non permette il trasporto che di piccole quantità di merce, mentre gli abitanti di Punta Laguna si trovano in una posizione privilegiata potendo commerciare direttamente i loro prodotti a persone che periodicamente transitano per la strada dove si affaccia il piccolo villaggio tanto che l’allevamento degli animali domestici e la coltivazione di certi frutti avvengono anche con lo scopo di commerciarli. La via di comunicazione esistente offre inoltre un’altra importante possibilità di guadagno che riguarda lo sfruttamento del turismo. Punta Laguna offre infatti alcune attrattive che allettano i turisti (pochissimi per la verità) che vengono accompagnati a gruppi di sette o otto persone, in genere due volte alla settimana, per vedere la splendida laguna, alcune rovine preispaniche presenti nella selva ed i parecchi esemplari di scimmie ragno che vivono nei pressi della comunità. Alcuni degli imprenditori turistici delle zone costiere, fiutando un facile affare hanno preso accordi con il capo di Punta Laguna affinché possano periodicamente portare alcune persone a fare una breve gita garantendo possibilità di un reciproco guadagno. Don Serapio (capo di Punta laguna) ha eretto una capanna sul cammino verso la laguna dove viene richiesto il pagamento di un pedaggio e vengono venduti alcuni oggetti di artigianato confezionati dalla moglie oltre ad alcuni vasetti di miele. I figli si occupano di accogliere i turisti e li accompagnano in escursioni nella selva. Lo sfruttamento economico del turismo è totalmente monopolizzato dalla famiglia di Don Serapio la quale gode inevitabilmente di maggiore ricchezza rispetto a tutti gli altri. Tale posizione economica è fortificata indubbiamente dal potere politico che egli rivendica e che nel prossimo paragrafo cercherò di descrivere.
   

3.Organizzazione Politica

Le due comunità sono dotate di differenti strutture politiche interne. Yodzonot è retta da una assemblea democratica alla quale partecipano i maschi adulti che si riuniscono anche quotidianamente, se necessario. Le questioni, dopo essere state discusse, vengono messe ai voti e dal loro esito vengono prese le decisioni. A Punta Laguna oltre all’assemblea, che si riunisce sporadicamente, è presente anche la figura di un capo. Essendo parte di un ejido le comunità debbono proporre un delegado ejidal, che funge da portavoce nelle assemblee degli ejidatarios che si svolgono nella città di Valladolid, che presiede l’intero ejido. Indubbiamente il delegado ejidal gode di un buon prestigio poiché investito di una carica ufficiale, ma il suo voto è ritenuto uguale a qualsiasi altro anche se il suo parere gode di un prestigio maggiore. L’ejido di Valladolid ha un’estensione di circa 25.000 ettari e conta quasi 500 ejidatarios. Un ejido è una terra (alienabile) concessa dallo Stato a chi ne era privo dopo la rivoluzione ed è governato dall’assemblea degli ejidatarios (i coltivatori) ed opera attraverso i commissari ejidales, figure che si occupano più in particolare di agricoltura, allevamento, commercio o amministrazione. Il delegado ejidal di Punta Laguna è Don Serapio. Egli dunque concentra in sé sia una carica ufficiale riconosciuta dallo stato dello Yucatan sia la carica interna di capo di Punta Laguna, rivendicando tale autorità in quanto figlio del fondatore del villaggio e con la sua famiglia primo abitatore del luogo. In realtà egli non detiene un vero e proprio potere decisionale sugli altri in quanto anch’egli deve sottostare alle decisioni dell’assemblea. Egli comunque sfrutta la propria autorità, derivante dalla sua discendenza genealogica privilegiata, per impedire a chi non appartiene alla sua famiglia di partecipare allo sfruttamento delle abbondanti risorse turistiche, il che gli conferisce una posizione di assoluto privilegio economico, ma nello stesso tempo è causa di un forte risentimento da parte degli altri abitanti di Punta Laguna che non tollerano i suoi atteggiamenti e badano a tenersi a debita distanza per evitare dissensi maggiori e a gettare discredito sulla sua persona non appena possibile. Questa situazione rispecchia un modello piuttosto frequente nelle comunità indigene del Messico, conosciuto come cacique, che riguarda la presenza di persone nell’ambito della comunità che sono affiliate ad un particolare partito politico, solitamente il PRI (Partido Revolucionario Institucionàl) le quali sono molto rispettate e spesso investite di una carica istituzionale come delegado o comisario ejidal; essi si occupano della ripartizione degli aiuti provenienti dal governo alle famiglie della comunità e soprattutto si preoccupano di convincere i membri delle comunità a votare per il partito politico al quale sono affiliati e d’altro canto le autorità politiche promettono di dirigere maggiori aiuti ed investimenti alle comunità che sostengono la loro ideologia politica. Pare che il caciquismo non sia più molto frequente come lo è stato negli ultimi venti anni, ma credo che Punta Laguna ne fornisca ancora un esempio piuttosto eloquente.

Emergono dunque le prime differenze fra le due comunità che riguardano soprattutto la sfera economica e quella politica e che si riflettono inevitabilmente sullo stile di vita che si mantiene più tradizionale a Yodzonot rispetto a Punta Laguna che invece è più facilmente sottoposta a sollecitazioni esterne da operatori commerciali e da turisti. Tali differenze sono maggiormente visibili dal punto di vista materiale, ovvero dall’uso di utensili, tradizionalmente costruiti utilizzando prodotti naturali, come sedili in legno, jicaras (ciotole naturali ricavate dall’omonimo frutto), punteruoli d’osso di cervo, ampiamente diffusi a Yodzonot ed invece in progressiva scomparsa nelle case di Punta Laguna sostituiti da oggetti in plastica o articoli da ferramenta che essi possono comperare grazie alla disponibilità di moneta contante che ottengono commerciando. Altre differenze sono riscontrabili in ambiti diversi da quello della cultura materiale e della tecnica artigianale, ad esempio è riservato un diverso atteggiamento nei riguardi del cenote, tradizionalmente considerato il centro sociale e simbolico della comunità, frequente occasione di incontro per le donne che vi si recano per procurarsi l’acqua da trasportare alle case. I cenotes sono protetti da due spiriti detti Kanansayà, rappresentati da croci di legno che spesso ricevono in offerta cibi, bevande e fiori. L’introduzione della pompa a motore che rifornisce le cisterne d’acqua delle case di Punta Laguna ha di fatto determinato l’abbandono della pratica quotidiana di recarsi al cenote per ottenere acqua ma non quella di far visita saltuariamente agli spiriti per deporre un’offerta. Tutto ciò, sebbene abbia sollevato le donne da una notevole fatica quotidiana ha comunque sottratto loro uno dei pochi momenti di incontro sociale, visto che per il resto della giornata sono impegnate soprattutto in casa. Questo ha influenzato in maniera decisiva il cambiamento delle abitudini quotidiane del villaggio che invece permangono inalterate a Yodzonot. In questo modo il cenote è stato relegato in una posizione non più centrale nell’immaginario degli abitanti di Punta Laguna e l’abitudine di curare comunque il luogo dove abitano gli spiriti pare arricchirsi di nuovi significati in aggiunta a quelli tradizionali visto che da qualche tempo a questa parte il cenote è divenuto una tappa dell’itinerario riservato ai turisti in visita. Appare chiaro da questi primi accenni sulle differenze che contraddistinguono lo stile di vita e le abitudini delle due comunità come giochino un ruolo fondamentale la frequenza dei contatti con la società dominante la cui influenza investe immediatamente l’ambito economico e materiale e nei prossimi capitoli vedremo come tali contatti possano anche attraverso altri canali penetrare nella vita delle comunità influenzandone e reindirizzandone il mutamento sociale.

Fabio Pettirino